Orrore – Un romanzo breve su ossessioni e misteri

Halloween è alle porte e tra feste, film e colonne sonore spettrali, perché non leggere anche un romanzo? Orrore di Pietro Grossi, edito da Feltrinelli e uscito nelle librerie lo scorso giugno, è un romanzo breve che mi ha tenuto compagnia durante un viaggio estivo. Una storia breve, ma intensa, che fa riflettere il lettore su cosa significhi ossessione e sulle conseguenze che un’ossessione può provocare. Il narratore e protagonista di questa storia è uno scrittore che da tempo vive in America con la moglie e un figlio appena nato. Tornati in Italia per le vacanze di Natale, si ritrovano a cenare con Diego e Lidia, una vecchia coppia di amici e tra una chiacchiera e l’altra i due menzionano allo scrittore e a sua moglie una casa abbandonata vicino la loro vecchia casa. Diego racconta di essere entrato nella dimora da solo perché un po’ brillo e di avere notato cose molto strane.

«Sembra abbandonata anche dentro, però c’è un tavolino di vetro perfettamente pulito e una tazza che sembra usata da poco. Sul tavolo c’è un giornale di dieci anni fa, aperto, come se lo stesse leggendo qualcuno proprio adesso. […] E attaccata al muro, in un angolo, c’è una maschera di paglia e cartapesta con due grandi corna. Sembra un diavolo.»

Forse un po’ un cliché, ma lo scrittore ha proprio bisogno di idee per il suo nuovo romanzo e, appoggiato dalla moglie, decide di rimanere in Italia per qualche giorno per fare delle ricerche su questa fantomatica casa abbandonata. Si fa raccontare tutti i dettagli da Diego e gli domanda anche di portarlo nel bosco per vedere la casa. Lo scrittore decide di affittare una camera in una pensione per portare avanti le sue ricerche. All’inizio è convinto di rimanere solo qualche giorno, ma il tempo passa senza che lui se ne accorga. La moglie lo chiama e – se all’inizio era stata proprio lei a sostenerlo nella scelta di restare – adesso si domanda e gli domanda quando tornerà a casa, alla normalità, in famiglia, da suo figlio.

L’ossessione diventa per lo scrittore una malattia. Ipnotizzato dal mistero che aleggia nella casa, lo scrittore vi entra, vede con i suoi occhi gli angoli puliti e quella maschera di cartapesta menzionata da Diego. Passano le settimane e arriva anche il maltempo, ma questo non ferma il protagonista del romanzo che fa appostamenti di notte e di giorno per cogliere in flagrante chi abiti in quella casa. Ma lo scrittore non si ferma qui: dopo alcune ricerche, riesce anche a reperire qualche nome e, fingendosi un dipendente comunale, va a trovare una coppia di anziani per placare la sua curiosità. Il romanzo procede in questo modo, una lettura angosciante pagina dopo pagina fino a quando lo scrittore non si ritrova in ospedale, è stato aggredito nei pressi della casa ma non sa da chi e non ricorda nulla.

Nell’epilogo, narrato un po’ velocemente a mio avviso, una parte del mistero viene svelata senza troppi dettagli, ma ciò che più risalta agli occhi del lettore è il protagonista avvolto nella sua solitudine e nei suoi rimorsi. Lasciato dalla moglie, allo scrittore rimane solo una cosa: riscrivere tutta la storia, rivolgendosi al figlio, forse un testo attraverso cui scusarsi e difendersi dall’idea di averlo abbandonato.

«Come sai, eravamo dai tuoi nonni, in quei giorni. Ti avevano regalato un piumino rosso. Quella tua testa rotonda ci si incastrava come in una grotta e sembravi molto contento, là dentro».

Un romanzo che di certo fa riflettere sull’essere umano, sulle fissazioni e sul fascino che proviamo nei confronti del mistero e dell’ignoto. Una voce dentro di me aveva preso a bisbigliarmi che non viviamo per confrontarci con il cinquanta o il novantotto per cento dell’umanità, ma con noi stessi, si legge nella prima parte del romanzo. Ma, in fin dei conti, sappiamo che non è poi così facile né così vero. E, probabilmente, alla fine se ne accorge anche il protagonista.

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