Una voce di piombo e oro – Ritratto di un’America divisa

Ci sono libri che sono lievi come carezze e forti come pugni nello stomaco. Uno di questi è sicuramente Una voce di piombo e oro di K.L. Going (Piemme, 2017).

Certi giorni dovrebbero arrivare con un avviso di pericolo, tipo: ATTENZIONE! Questo giorno sarà nocivo per la vostra salute. Invece la maggior parte delle giornate comincia in modo normale. A volte anche meglio del normale.
Il che è molto peggio.

Comincia così questa storia, con Tia che racconta.

Tia Rose è una ragazzina bianca e vive a New Orleans, in una casa vecchia e sgangherata, insieme alla madre costretta a turni massacranti in un supermercato. Il padre lo ricorda a malapena, è in galera per rapina a mano armata da quando lei aveva quattro anni. Tia racconta e ci porta con sé in un mondo duro, violento, fatto di quartieri squallidi e terre di nessuno, dove le gang sono i veri padroni e le auto della polizia scarseggiano, dove bianco e nero non sono solo colori ma motivi di scontri.

Ma anche tra la miseria cresce qualcosa di buono.
Perché Tia ha un dono speciale: la sua voce. Una voce potente, che parte dritta dal cuore. Più di ogni altra cosa, sogna di diventare una cantante, non una cantante qualunque, ma una che con la musica faccia la differenza. Allora Tia canta, canta sotto la doccia, canta mentre cammina, canta tutti i giovedì in un coro gospel dove è una delle poche ragazzine bianche, canta insieme a Keisha, la sua migliore amica, con cui condivide sogni e speranze.

Il destino, però, a volte è strano. Proprio un giovedì – il giorno migliore della settimana – la vita di Tia inizia a crollare.

Un minuto prima stavo cantando a squarciagola, estraendo i fazzoletti come un abile prestigiatore e tirando fuori ciò che avevo dentro, e un attimo dopo gli spari avevano spazzato via tutto.

Proprio fuori dalla Chiesa dove ci sono le prove del coro, c’è una sparatoria. Si scatena il panico: i ragazzini sono costretti a nascondersi e ad aspettare. Quando finalmente la polizia interviene, si può tornare a casa, cercando di far finta che non sia successo nulla.

Ma le cose brutte non si possono cancellare, le cose brutte restano lì e prima o poi saltano fuori, a ricordarci di ciò che è accaduto. Non si può nascondere la macchina con il foro di proiettile nel finestrino, come non si può nascondere il fatto che un neonato sia stato ucciso durante un tentativo di furto d’auto. Questo incidente si trascinerà dietro il passato, facendo esplodere verità rimaste nascoste per troppo tempo, e sarà proprio Keisha a dire a Tia quello che gli adulti speravano di tenere segreto.

– Tia, – disse alla fine – se io sapessi qualcosa di tuo padre… qualcosa che mi ha detto mia madre ieri sera… tu vorresti saperla? Cioè, se fosse una cosa brutta brutta, vorresti lo stesso che te la dicessi?
Inspirai profondamente.
Non c’è niente di nuovo da dire su un uomo morto.
Avrei dovuto dire subito di sì. Ma una volta che l’avessi saputo, non sarei potuta tornare indietro. Mai più.

La verità arriva, inimmaginabile, investe Tia come un uragano.
E allora i tasselli di un puzzle più grande trovano posto: gli sguardi diffidenti nel quartiere, i commenti sottovoce, il fatto che sua madre non sia mai venuta a sentirla cantare. Forse perché la vergogna pesa troppo.

Da quel momento, tutto cambia. O crolla.
Non si può tornare indietro, ma come si può andare avanti quando scopri una cosa del genere? Come puoi sentire la mancanza di un uomo, di un padre, tuo padre, che ha commesso il crimine peggiore al mondo? È possibile l’amore, il perdono?

Di fronte a questa verità, Tia ha perso la voce e non canta più.
Cerca di gestire la rabbia, la colpa, cerca risposte, soprattutto alla domanda più difficile: perché?  È per questo che va dalla zingara, la madre del neonato ucciso, sente che c’è un legame, ed è per questo che, nonostante i muri che la madre innalza perché per lei è meglio non rimuginare sul passato, vorrebbe affrontarla, soprattutto dopo aver trovato una vecchia istantanea: lì, sua madre e suo padre, in un tempo che sembra lontanissimo e impossibile, si guardano, luminosi. E si amano.

Fissai la foto.
Dov’era il male? […] La cattiveria non doveva essere qualcosa che si leggeva in faccia?
Sì, eccolo.
Mio padre.
Felice.

Con questo libro – finalista al Premio Andersen 2018 come miglior libro di narrativa oltre i 12 anni – l’autrice racconta di Tia e della lotta per ritrovare la sua voce, racconta di un’America divisa per il colore della pelle, racconta di vittime e di colpa, delle conseguenze della violenza e dei dolori che lascia. E in mezzo a tutto questo, non cerca di trovare una risposta, perché una risposta non c’è. Forse, però, ci può essere amore, ci può essere speranza, perfino bellezza, e la vita può andare avanti, mentre ci si continua a chiedere, perché?

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