Piccoli furti – L’America dei trentenni dai sogni infranti

Articolo di Michela Giordani

Per parlare di questo fumetto si può partire da una semplice domanda che più volte si porrà la protagonista: “Cosa ci faccio qui?”. Perché Piccoli Furti di Michael Cho, edito in Italia da Rizzoli Lizard nel 2017, di base parla di come certe scelte possano diventare delle gabbie, da cui è difficile liberarsi anche se sarebbe necessario farlo per la nostra serenità.

Siamo in America, in una metropoli, senza riferimenti precisi a città, stato o anno in cui è ambientata la storia, ma capiamo subito che si tratta dei giorni nostri. Corinna, che deduciamo essere una trentenne, lavora in una grossa agenzia pubblicitaria.

Si è laureata da cinque anni ormai e ha accettato il lavoro di copy solo per l’ottimo stipendio, in modo da ripagare i debiti universitari. Ma il suo sogno nel cassetto sarebbe fare la scrittrice, quella “vera”, di romanzi, anzi a dirla tutta vorrebbe scrivere un giorno un “grande romanzo americano”. Sogno che le dà la forza di andare avanti, in un contesto che non condivide. Il mondo della pubblicità con le sue falsità, il bisogno di vendere tutto a tutti, persino ai bambini, la disgusta.

Più passa il tempo però, più si è adagiata nella sua situazione. Guadagna bene, ha una bella casa, cose che si ripete per autoconvincersi che la sua vita non è poi così male. Non ha amici, se non i colleghi che non stima più di tanto. Un po’ invidia un po’ odia una collega, più “disinibita”, per la sua vita avventurosa. Corinna passa le serate da sola, davanti alla Tv o al pc, magari su siti di incontri che odia, sorseggiando vino in compagnia di uno schivo gatto randagio, che ha deciso di adottare.

«A volte, quando tutti parlano, mi sento a disagio. Vorrei parlare, ma dentro sono una bambina che agita la mano mentre la maestra è distratta. È come se fossi due passi indietro. E quando apro la bocca, è troppo tardi.»

Ha perso i contatti con le persone che conosceva un tempo nella sua città natale, ma sa apparentemente tutto di loro, tramite i social.

«È tutto quello che so di loro, ormai. Una fotografia in miniatura e uno status.»

Non prova nulla, solo apatia e indifferenza. Neanche ascoltare notizie di catastrofi ambientali o gravi incidenti la smuove.

Per sentire un brivido, e per avere una specie di vendetta nei confronti del destino, commette una volta a settimana un piccolo reato (da cui deriva il nome dell’opera): ruba una rivista in uno dei negozietti vicino a casa (ma in uno di catena, sottolinea la protagonista, altrimenti si sentirebbe troppo in colpa per il danno arrecato al proprietario).

La paura è ciò che principalmente la blocca dal tentare un cambiamento. La paura di non essere abbastanza. E, per essere onesti, il timore di non avere più gli “agi” che al momento può permettersi. Una sensazione in cui è semplice riconoscersi.

Cho ci parla, attraverso una storia semplice, reale, quotidiana, di problemi attuali che affliggono la nostra società. Essere costantemente connessi, non avere più rapporti reali, essere schiavi della pubblicità (nella storia appare una specie di Facebook che tiene conto di tutte le interazioni tra persone dandogli un punteggio, e attraverso quello, le lega a possibili prodotti da acquistare); il catastrofismo dei telegiornali che non suscitano più nulla e distorcono le notizie reali fino a renderle altre, il credere a qualcosa solo se lo si è fotografato o twittato.

«A volte penso che vedo momenti del genere solo attraverso gli schermi.»

«[…] Trasmettiamo un sacco di informazioni su di noi, ma cosa significa? […] Secondo me ci parliamo addosso, non a vicenda. […] Siamo così abituati alla pubblicità che pubblicizziamo noi stessi. Cerchiamo di lucidare e vendere le nostre misere vite.»

Temi all’ordine del giorno, ma talmente trattati da non avere più un’opinione al riguardo, dimenticandocene all’istante, come la stessa Corinna impassibile alla vista di un orso polare morente tra i ghiacci. Cose che ci fanno soffrire, ma di cui siamo assuefatti. Molti di questi rimangono problemi irrisolvibili, ma in parte d’élite. Corinna non è felice del lavoro, ma ha comunque una bella casa, al centro di una metropoli, con uno stipendio soddisfacente. Le tematiche sono tante e tutte sensate, ma trattate in modo a volte già visto e sentito.

Tra i momenti più interessanti, l’incontro con uno sconosciuto, idealizzato tramite i social per il suo successo e l’aspetto affascinante che prima illude Corinna di essere l’uomo dei suoi sogni perché simile a lei, nella sua stessa condizione. In realtà, il ragazzo si rivelerà falso come tutti gli altri e pronto a dirle qualsiasi cosa per portarla a letto. L’illusione di aver trovato un possibile punto di partenza per il cambiamento.

Piccoli furti è la prima graphic novel di Michael Cho, magari con qualche pecca, ma comunque degna di nota. Per l’aspetto grafico, in primis, con la scelta dei colori (una bicromia basata su un tono acceso del rosa) e le vedute della città. Tavole che fanno sentire immersi nel marasma, tra folle di persone, intrichi di grattacieli, strade bombardate da insegne e cartelloni pubblicitari.

Cho è nato a Seul, ma vive in Canada dall’età di sei anni. Ha imparato l’inglese principalmente leggendo fumetti, dai quali poi ha iniziato anche a copiare i disegni. Ha realizzato varie copertine per grandi case editrici, come Random House e Penguin, memorabile quella realizzata per “White Noise” di Don DeLillo. Ha creato un webcomic molto seguito, Papercut, e che ha ottenuto vari riconoscimenti. Collabora con le principali testate americane, come The New York Times, Washington Post, The New Yorker, Wall Street Journal. Si è dedicato spesso anche al mondo dei supereroi, come Batman per la DC e X-Men per la Marvel.

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