False poesie per celebri autori

Attenzione: questo articolo è un work in progress; verrà aggiornato di tanto in tanto basandosi su ciò che circola in rete e sulle segnalazioni degli utenti. L’obiettivo è smascherare il falso storico e restituire la proprietà intellettuale a chi effettivamente ha composto il testo (qualora l’autore non sia ignoto).

Vi è mai capitato di leggere una poesia sui social e vederci spiaccicato il nome di un autore che – contestualizzando – non può assolutamente averla composta? Le centinaia citazioni della Merini, le frasi estrapolate di Bukowski,  i Pasolini ridotti a stringati meme senza alcuna contestualizzazione. La frammentazione della poesia è fenomeno ben conosciuto, e nell’era dell’essenzialità di Twitter, appare evidente che l’unità poetica e letteraria non è tutelata. E sarebbe di certo un danno minimo qualora il binomio testo-autore fosse rispettato, cosa che puntualmente non avviene. Fa caso vedersi poi questi falsi testi riproposti da case editrici o pagine intellettuali, contribuendo in questo modo a diffondere un fenomeno che avrebbero dovuto arginare. Un lettore critico si accorge subito che c’è qualcosa che non va nei testi che andremo a trattare, ma il tempo della condivisione non analizza, si limita a giudicare superficialmente per poi cliccare e diffondere.
L’unico modo per contenere questo fenomeno di false attribuzioni risiede unicamente nel metodo critico: analizzare e contestualizzare i testi può facilmente evidenziare irregolarità, nonché una rapida ricerca in rete può fornire facilmente riscontri. Partire cioè dal presupposto che nulla può tutelarci da bufale o fake news se non la nostra coscienza critica, strumento indispensabile per forgiare uomini che siano tali.

Ecco dunque alcuni testi che ci sono capitati sotto tiro:

1) Shakespeare -> William Jean Bertozzo

In piedi, signori, davanti a una donna,
per tutte le violenze consumate su di lei
per tutte le umiliazioni che ha subito
per il suo corpo che avete sfruttato
per la sua intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata
per la libertà che le avete negato
per la bocca che le avete tappato
per le ali che le avete tagliato
per tutto questo
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.
E non bastasse questo
inchinatevi ogni volta che vi guarda l’anima
perché Lei la sa vedere
perché Lei sa farla cantare.
In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano
ogni volta che vi asciuga le lacrime
come foste i suoi figli
e quando vi aspetta
anche se Lei vorrebbe correre.
In piedi, sempre in piedi, miei Signori
quando entra nella stanza e suona l’amore
e quando vi nasconde il dolore e la solitudine
e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla
quando Lei crolla sotto il peso del mondo.
Non ha bisogno della vostra compassione.
Ha bisogno che voi
vi sediate in terra vicino a Lei
e che aspettiate che il cuore calmi il battito
che la paura scompaia
che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo
e sarà sempre Lei ad alzarsi per prima
e a darvi la mano per tirarvi su
in modo da avvicinarvi al cielo
in quel cielo alto dove la sua anima vive
e da dove, Signori, non la strapperete mai.

Poesia molto in voga in occasione della festa della donna, ma ritornata ultimamente in seguito alla giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 novembre). Cominciamo col dire che questa poesia, in alcuni tratti un po’ banale, non si trova in una versione inglese, e l’unica versione che si riesce a trovare non è altro che una traduzione dall’italiano. Già questo dovrebbe bastare ad escludere il Bardo. Se poi ci si sofferma ad analizzare il testo, è palese il carattere fin troppo contemporaneo del testo. E infatti, con una semplice ricerca, possiamo dire che il testo appartiene ad uno spettacolo teatrale, il Chisciotte (tratto dall’opera di Cervantes) di William Jean Bertozzo:

Non solo, nella versione pseudoshakespeariana sono presenti diversi errori o banalizzazioni, come la sostituzione di un linguaggio più complesso, come il “tarpato” sostituito da un “tagliato”; interessante la parte finale:

 In piedi signori, davanti a una donna,
per tutte le violenze consumate su di lei,
per le umiliazioni che ha subito,
per quel suo corpo che avete sfruttato
per l’intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete tenuta
per quella bocca che le avete tappato
per la sua libertà che le avete negato
per le ali che le avete tarpato
per tutto questo
in piedi, Signori, in piedi davanti ad una Donna.
E se ancora non vi bastasse,
alzatevi in piedi ogni volta che lei vi guarda l’anima
perché lei la sa vedere
perché lei sa farla cantare.
In piedi, sempre in piedi,
quando lei entra nella stanza e tutto risuona d’amore
quando lei vi accarezza una lacrima,
come se foste suo figlio!
Quando se ne sta zitta nasconde nel suo dolore
la sua voglia terribile di volare
non cercate di consolarla
quando tutto crolla attorno a lei.
No, basta soltanto che vi sediate accanto a lei,
e aspettiate che il suo cuore plachi il battito
che il mondo torni tranquillo a girare,
e allora vedrete che sarà lei la prima
ad allungarvi una mano e ad alzarvi da terra,
innalzandovi verso il cielo,
verso quel cielo immenso
a cui appartiene la sua anima
e dal quale voi non la strapperete mai!

Appare immediatamente evidente che questa versione (e ce ne sono diverse interpretazioni, essendo un dialogo teatrale), è decisamente differente da quella più banale che circola sotto il nome del Bardo.

2) Cervantes -> Corrado d’Elia

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari, a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore, a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali, ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti!

Qui il sospetto di falsa attribuzione diviene quasi palese nell’ultimo verso, quando il “Cervantes” parla di “teatranti”. Fortunatamente questo testo in molti siti è oggi attribuito al suo vero autore, il regista Corrado d’Elia; si tratta di uno spezzone di uno spettacolo intitolato “Don Chisciotte, diario intimo di un sognatore”. Solo qua e là su qualche pagina web compare ancora il nome di Cervantes (e purtroppo, su molte pagine facebook, vera piaga culturale). Chiaramente, solo chi non ha mai aperto il Don Chisciotte può pensare che sia un prodotto di Cervantes; e su questo molte pagine di pseudocultura marciano. Il problema appare ancora più insormontabile quando a commentare e ricondividere questo brano sono professori, case editrici o pagine che fanno della cultura il proprio vanto. È evidente il cortocircuito culturale che incappa nel meccanismo della condivisione.

Ragionando, il meccanismo funziona in maniera semplice: viene attribuito ad un brano un autore che sia più conosciuto o autorevole di colui che l’ha scritta, affinché persone con scarso senso critico possano ricondividere e espandere il bacino dei lettori, producendo visualizzazioni, che con i banner pubblicitari si traducono inevitabilmente in introiti monetari. Logicamente, questo testo riferito al Don Chisciotte viene riportato a Cervantes proprio come “garanzia di qualità”, seguendo un principio illogico e irrazione che individua in ciò che è creato da autori del passato come qualcosa di più prezioso e quindi condivisibile rispetto al lavoro creato da un autore contemporaneo come Corrado d’Elia. Questo testo non ha infatti la pretesa di essere una poesia, esso nasce e si rivolge al pubblico silenzioso del teatro. È nell’atmosfera intima del teatro (basti pensare al titolo) infatti che acquisisce un valore poetico. Fuori, depauperato del suo significato, questo testo rischia di cadere nella banalizzazione più totale.

 


Avete altri esempi di fake poetry? Ditecelo con un commento, e noi amplieremo l’articolo citando il vostro nome.


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