Liturgia de Il re Leone: cosa c’entrano Disney, Scar e Shakespeare?

È il 1994. I giornali annunciano l’apertura del Tunnel della Manica, Kurt Cobain si ficca in gola un fucile a pompa modello Remington M-11 e preme il grilletto. In discoteca si balla Think about the way di Ice MC. È in questo panorama fatto di Dr. Martens ai piedi e Twin Peaks alla tele, che la Disney, dopo i successi di La Bella e la Bestia e Aladdin, irrompe nel mercato con un nuovo lungometraggio: Il re Leone.
Il film, diretto da Roger Allers e Rob Minkoff è il 32° classico Disney, e ottiene ottimi incassi e il favore della critica. A consacrarlo come cult sarà però l’immaginario collettivo. Quella generazione made in 90’s che lo ha visto e rivisto fino a consumare il VHS. Un film amato dai bambini, e ancor più dai genitori, visto che insegna valori tradizionali quali l’amore per la famiglia, il coraggio, il rispetto, la lealtà, l’amicizia.

Come prima di lui è successo a Trainspotting (di cui si può trovare un’esegesi qui), o, per voler rimanere nel panorama Disney, a Dumbo e Aladdin, anche Il re Leone ha subito un rimaneggiamento stile 2000. Il mese scorso è infatti uscito un remake del film cult, con leoni che sembrano veri e doppiaggio (per la versione italiana) di Marco Mengoni ed Elisa Toffoli.


Il film, prodotto in live action, suscita alcune perplessità. Non tanto dal punto di vista grafico, dato che gli effetti sono, come ci si aspettava, di ottimo pregio e i leoni credibilissimi, quanto da quello emotivo. Strizzando l’occhio a un mellifluo gusto nostalgico, il re Leone si presenta in tutto e per tutto come una mera trasposizione dell’originale, in una grafica più figa, con effetti speciali più stupefacenti, ma pur sempre la solita solfa. C’era da aspettarselo, però ha serpeggiato in una certa parte di pubblico anche la speranza di vedere un re Leone attualizzato, non solo rimaneggiato secondo il contemporaneo gusto grafico, ma anche ritagliato attraverso una nuova prospettiva, la nostra. Quella di 25 anni dopo. Anni in cui il concetto di famiglia è stato riplasmato, così come quello di gloria e legittimità. E invece, alla fine dei conti, si è trattato solo di raccontare la stessa storia, ma con parole più altisonanti. A renderlo obsoleto è soprattutto uno stile di doppiaggio (sempre nella versione italiana) del tutto impostato e scolastico.

Eppure, forse, quello che apparentemente sembrerebbe un punto di debolezza/un’occasione mancata, potrebbe essere una scelta ben ragionata e costruita. Forse, raccontare sempre la stessa storia significa rafforzare quell’immaginario collettivo di cui sopra, rassicurare il pubblico, dirgli che nonostante il mondo vada a velocità impazzata, nonostante le Torri Gemelle siano crollate e i Brangelina abbiano rotto, esistono ancora delle certezze, dei pilastri logici cui aggrapparsi e su cui costruire la nostra identità. La nostra spina dorsale, la nostra mitologia, i nostri valori sono targati Disney e, come ogni fiaba (perché di questo si tratta in fin dei conti), anche la favola moderna di mondo trova nella ripetizione non solo uno strumento funzionale ma anche sostanza identitaria. In questa costruzione dell’io, nella plasmazione ideologica del nostro sentire, la Disney ha di fatto occupato un posto di rilievo e continua a farlo. Vuoi poiché riprende (o se vogliamo ruba) fiabe, miti, leggende e storie dall’immaginario collettivo adattandole a una propria linea narrativa e valoriale, vuoi poiché si approccia alle menti dei bambini in modo diretto ed efficace.

In questa operazione (più o meno celata) di ricostruzione dell’immaginario, ruolo fondamentale hanno, oltre ai protagonisti, anche e soprattutto gli antagonisti. Scar, il cattivo del re Leone è in questo senso forse uno dei più riusciti e affascinanti cattivi non solo dei lungometraggi animati, ma del cinema in generale. La sua criniera nera, i suoi occhi glaciali, i suoi artigli sempre in vista. La spina dorsale sinuosa, sporgente sulla schiena magra. Già a partire dal suo aspetto, Scar è tutto un programma. Programma in parte non rispettato nella versione 2019 de Il re Leone, che vede uno Scar dello stesso colore di Mufasa (il buono), con un aspetto sì emaciato, ma decisamente meno austero e subdolo.
Scar è il fratello di Mufasa, legittimo re della foresta. Scar (che in inglese significa cicatrice, proprio dalla cicatrice che il leone ha sull’occhio) è dalla parte del male (rappresentato dalle iene) ed è disposto a tutto pur di ottenere il potere, anche uccidere suo fratello, anche far fuori il suo nipotino Simba, legittimo erede di Mufasa. Un personaggio astuto e doppio, ipocrita, viscoso, arrogante, sarcastico, privo di ogni scrupolo morale. In pratica un personaggio che non ha nulla da invidiare a Joker o Michael Corleone in quanto a crudeltà e fascino.

Le teorie intorno alle possibili somiglianze con personaggi storici o storicizzati si sono sprecate. In molti hanno sostenuto una certa somiglianza tra Scar e re Claudio (antagonista nellAmleto di Shakespeare) o addirittura con Adolf Hitler o il doppiatore della versione originale Jeremy Irons.
Si trova poco o niente invece riguardo ad un parallelismo tra Scar e Riccardo III d’Inghilterra, protagonista di un’omonima tragedia di Shakespeare.
L’analogia tra i due personaggi è in primis fisica. Entrambi scuri, brutti, emaciati, con gli artigli affilati il primo e i denti aguzzi il secondo.
La storia di Scar, mai rappresentata al cinema, inizia molto prima della nascita di Simba (punto di partenza de Il re Leone). Nella profonda Africa, Ahadi, re della foresta, ha due figli: Mufasa, il più grande, e Taka. Decide che alla sua morte, il regno sarà una diarchia, perfettamente diviso tra i fratelli. Tuttavia, mentre Mufasa segue i sani principi del padre, Taka conosce le iene, che lo portano sulla cattiva strada. Visto che Taka è sempre più fuori controllo, Ahadi decide di lasciare il regno al solo Mufasa, scatenando le ire del secondogenito. A questo punto c’è uno scontro tra i due fratelli, che si conclude con una vittoria di Mufasa e una evidente cicatrice sul volto di Taka, che, da questo momento in poi, in segno di protesta e di definitiva rottura con il fratello più grande, si farà chiamare Scar. Mufasa sale al trono, si fidanza con Sarabi e da questa unione nasce Simba, futuro erede al trono. Da questo momento in poi, Scar non farà altro che attentare alla vita di Mufasa prima (riuscendo a ucciderlo) e di Simba poi (riuscendo solo a cacciarlo temporaneamente).

Il Riccardo III di Shakespeare, esattamente come Scar, è assetato di potere. Il regno è toccato a suo fratello Edoardo IV, e dopo di lui in linea di successione andrà a suo fratello Giorgio (alter ego di Mufasa). Per questo motivo, Riccardo cospira perché questi venga chiuso nella Torre di Londra (o cimitero degli elefanti) e insieme a lui i suoi nipotini (alias Simba). Tolti di mezzo i rivali, con l’inganno e l’ipocrisia, Riccardo riesce ad essere incoronato re, uccidendo senza scrupoli chiunque si frapponga tra lui e il potere. Alla fine arriverà a scontrarsi con Enrico VII d’Inghilterra nella battaglia di Bosworth Field. Qui Riccardo verrà ucciso e si segnerà la fine della dinastia York e l’inizio dei Tudor.

Dunque, sia Scar sia Riccardo hanno fame di potere. Il loro dramma è esservi così vicini e non poterlo afferrare per un pelo. Entrambi sono l’incarnazione del male, del fiele dell’ambizione e dell’ingordigia che attappa le vene e intossica le loro esistenze. Entrambi vittime di un destino beffardo che ha dato ad altri lo scettro e ha condannato loro all’ombra e all’oblio. Entrambi infastiditi da un nipotino (o due) assai scomodo, incolpevole depositario del potere, detentore ai loro occhi illegittimo di quell’anelata gemma che loro sentono sottratta ingiustamente. Sia Scar che Riccardo sono ipocriti, ingannatori. Entrambi intelligenti e scaltri, ammaliano le folle con la forza della loro verbosità, con la sinuosità delle parole.
Entrambi provano un’attrazione per la moglie del fratello: Riccardo per Lady Anna e Scar per Sarabi. Mentre il primo riesce a conquistare Lady Anna con l’inganno, il secondo subirà un rifiuto. E allo stesso modo sarà rifiutato anche da Nala, futura moglie di Simba. In una scena tagliata infatti, Scar tenta un approccio con Nala che lo rifiuta e per questo viene cacciata nel cimitero degli elefanti, dove poi rincontra Simba.

In conclusione, Il Re Leone è un testo sacro del presente, antologia dei grandi valori del passato risemantizzati attraverso il lessico tipico della Disney. È attraverso capolavori come questo che l’immaginario collettivo ha ricostruito se stesso, riplasmato la propria mitologia. In tale immaginario, ruolo fondante è quello di Scar, incarnazione del male assoluto, atomo opaco di quel male che arde nel nocciolo più profondo del nostro cuore. In questo è assolutamente paragonabile al Riccardo III di Shakespeare, emblema del male assoluto e spietatezza. È la spietatezza il nostro peccato originale, la piaga dei nostri “tempi moderni”. È l’essere spietati che ci fa più che cattivi, disumani.

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