La grammatica delle stazioni: declinazione di un luogo nell’arte 

Sulle stazioni ciascuno di noi ha fatto almeno un pensiero nella vita. Perché non smettono mai di affascinarci, perché ogni volta ci danno modo di riflettere: sul contesto in cui viviamo, sugli altri, su di noi, sugli addii e gli arrivederci. Nella storia dell’arte, in tutte le sue forme, le stazioni ricorrono ora a segnare la fine di un periodo storico, ora a rappresentare l’inizio di un viaggio, un’epifania, uno stato d’animo.

Appartiene alla serie Stati d’animo di Umberto Boccioni Gli addii, un olio su tela del 1911, esposto al Museum of Modern Art di New York. Intriso delle sensazioni dei viandanti, esso rappresenta, al centro, una locomotiva a vapore; sulla parte destra, dei vagoni trasparenti; sulla parte sinistra, dei paesaggi collinari con un traliccio elettrico. Tutt’intorno s’intravedono persone che si abbracciano e i cui pensieri trovano espressione proprio nell’ondeggiare delle immagini appena descritte.

Nelle stazioni si svolge la quotidianità di taluni: dei pendolari, dei baristi, dei senzatetto. Incredibilmente, per questi soggetti qui, la stazione è. Per tutti gli altri, invece, pur rappresentando un semplice luogo di passaggio, può costituire “un’epifania” della vita, “la vita vera”.
Così è stato per Selin, protagonista del libro L’idiota di Elif Batuman (Einaudi). Selin è una diciottenne che crede di essere una ragazza prodigio e vive attraverso i romanzi che legge. Nel corso dei suoi anni ad Harvard, scopre che le persone non sono personaggi e che la realtà è molto diversa dai libri. In questo racconto della giovinezza, l’autrice si sofferma anche su uno dei momenti di “scoperta” della studentessa. Selin, infatti, proprio alla stazione realizza il senso della normalità, semplicemente osservando la gente che «beve[va]il caffè e legge[va]il giornale” e così trascorre[va], […]la vita vera, in cui la gente lavora[va]e sta[va]sveglia e cerca[va]di concludere qualcosa, che a quello serv[iva]il caffè».

Delle stazioni, di recente, ci ha parlato anche Fabio Stassi. In particolare, lo scrittore ha immaginato la stazione Termini di Roma in occasione di un blackout, descrivendola come un luogo tetro e apocalittico, in cui tutto è fermo e le persone si affastellano negli spazi vuoti, nell’attesa che il ritmo riprenda a scorrere normalmente. Stassi narra la vicenda nel piccolo volume Storie dalla città eterna (Sellerio). Nel suo racconto, i veri protagonisti sono i pensieri, i dialoghi e alcuni stralci di vita di un gruppo di soggetti che si trovano in quel luogo, in quel momento: «lo spettacolo di un popolo di profughi che aspetta di essere rimpatriato dopo un bombardamento o una battaglia perduta. Non c’era posto neppure per restare a guardare».

Per le stazioni si vedono culture differenti, si sentono accenti e lingue sconosciute, si annusano odori speziati, acidi, basici, dolci e amari.
Fra le stazioni si fa la differenza, tra nord e sud, tra spazio e tempo, tra ceti sociali. Una rappresentazione “socialmente orientata” della stazione emerge nel film Trainspotting di Danny Boyle, tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh (Guanda). Per Welsh la stazione sancisce il nodo centrale della vita, il momento in cui scegliere se stare dalla parte dei ribelli o delle persone perbene, dentro o fuori i binari.

Alle stazioni, di solito, arrivano prima… i treni? No. Le novità, le campagne pubblicitarie, il progresso, la vie moderne. Questa fu almeno l’impressione che ne ebbe Monet quando, nel 1877, decise di spostare l’attenzione dei suoi dipinti dal paesaggio campestre a quello urbano. E proprio la stazione gli parve l’idoneo “punto di partenza” per rappresentare l’approdo delle costruzioni e la crescita della città. Nel celebre olio su tela La Gare Saint-Lazare, esposto al Museo d’Orsay di Parigi, l’artista francese rappresenta l’avvento del progresso, attraverso la consueta attenzione ai dettagli, anche architettonici.

Dalle stazioni si parte. Si parte per lavoro. Per necessità di trovarlo, il lavoro. Di trovarsi o di ritrovarsi, con se stessi prima che con gli altri. Su binari e treni giusti da prendere, anche il cinema ci ha regalato indimenticabili perle. Impossibile non rievocare Harry Potter e il suo binario 9 e ¾, da cui è partita la saga che ha segnato la generazione dei Millenials.

Come in grammatica la preposizione costituisce una parte invariabile del discorso, che permette di legare parole e frasi, così, nella vita quotidiana, la stazione è una parte “invariabile” della città, che serve a creare, mantenere o dissolvere legami fra persone, umori, dimensioni ed epoche.

Photocredit: www.moma.org; www.musee-orsay.fr

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