Non esiste la felicità

di Emma Piazza

Paris

Sono contenta di essere venuta.

Mh-mh, risponde lui indaffarato in cucina. Non sa ancora cosa preparare, ha sempre paura che non sia abbastanza quando è con lei.

Cosa cucini? Domanda lei avanzando verso di lui. Finge di stare con lui, finge di apprezzare quello che lui le servirà. Finge, e lo ripete a se stessa insistentemente. A lei non basta com’è lui, a lei non basta mai niente.

Non so, non avevo molto in casa, pensavo di portarti da Mc. Cerca di sdrammatizzare lui. Lei ridacchia poco convinta. Ci avrà pensato veramente, medita, infatti è così.  

Lei lo abbraccia da dietro nel cucinino non abitabile con vista all’interno del palazzo. Spunta in lontananza la punta della Tour Eiffel, a qualche centimetro, la luna. Lei non ama Parigi, ma si sforza di far sua l’atmosfera romantica della capitale. Lei più che altro ama l’idea che lui viva a Parigi e lei a Londra e che si incontrino per appuntamenti internazionali. Lui ama l’idea che lei arrivi per trovare lui e che lui parta per trovare lei. Al momento è sufficiente. Anche lui se la racconta. Lui vorrebbe una donna sua, che forse le assomigli, ma che non sia lei. Lei va bene, a tratti riesce a essere perfetta (quando finge), ma non è sua, no, sua sicuramente no. Sente il suo seno schiacciarsi sulla sua schiena. È alta ma lui è molto più alto. Ora la desidera. Nel sesso lei è imbattibile. Ha una sensualità devastante. Ovunque la tocchi sente, è tutta un nervo, come la sfiori contorce qualcosa, gli occhi, le gambe, la bocca. Lei insegna a lui il sesso come se si trattasse di un atto mentale. È tutta una questione di come fai sentire l’altro. Lei lo stringe ancora per poco, poi si stufa e torna sul divano, impaziente. Lei quando ha fame si innervosisce. È vorace, mangerebbe sempre. Lui invece mangia poco, e un po’ lo irrita l’appetito da uomo di lei. Lei dice che gli uomini che mangiano poco non sono sexy, e nemmeno quelli tirchi. Lei lo dice apposta per provocarlo. Lei è così con tutto, è tanta, è ingombrante. Lui invece non sa bene ancora com’è. Non si completano e non si amano, però si capiscono. Sono due buoni amici che ora fingono di avere una relazione in mancanza di una vera. Ora sono a Parigi dove lui sta studiando, e lei lo è venuto a trovare in pullman da Londra viaggiando di notte.

È assurdo che, mentre noi stiamo qui a parlare, nel mondo succeda qualsiasi cosa, suggerisce lei dal divano. Lui è ancora impegnato con la pasta. Farà schifo, prevede, e infatti fa schifo.

In che senso?, chiede mentre la scola.
Sempre per quel discorso della felicità, ti ricordi?
Mh-mh, fa lui. No, non si ricorda, di discorsi ne hanno fatti tanti, forse troppi. È concentrato a impiattare la pasta collosa. Osserva il risultato. Lei non sarà soddisfatta quindi o glielo farà notare, oppure lo tratterà con sufficienza.
Lei afferra il piatto e ringrazia, seduta sul divano.
Sembra buona. Ha optato per la seconda reazione, trattarlo come un  coglione. Lui non ha mai imparato a cucinare, a lei irrita il fatto che lui non impari qualcosa che non sappia fare. Ora lei non ha voglia di irritarsi, ha voglia di continuare il suo discorso sulla felicità. Lui la guarda inforchettare gli spaghetti senza convinzione e infilarseli in bocca. Lei ora ha la faccia perplessa, anche quando solleva un sopracciglio e gli dice buono. Poi lei ridacchia e lo guarda con la sua inconfondibile espressione da chi ti sta prendendo per il culo. A lui fa ridere lei quando fa la stronza così, arrossisce flebilmente e le dice fuck.

Comunque, ti ricordi il discorso o no? Quello che ti dicevo sulla felicità che è una meta ignobile, perché raggiungere la felicità non è altro che un atto di mero egoismo eccetera…

Ah sì, ora mi ricordo. Lui ora si è rilassato, che la pasta faccia schifo è assodato, ma lei la sta mangiando comunque e non sembra delusa. Lei ora vuole parlare della felicità, vuole esporgli il suo ragionamento. Non getterà la spugna facilmente, bisogna darle corda.

Sì, ora mi ricordo. Riprende la sua teoria come se stesse riassumendo una lezione. La felicità intesa come realizzazione personale è una meta tutto sommato facilmente raggiungibile quanto ripugnante perché implica l’isolamento dalla felicità degli altri. Era così, no? Ma sì però allora uno a cosa dovrebbe ambire? Cioè pace nel mondo, cose così, va beh, lasciano il tempo che trovano…

Teoricamente sì, pace nel mondo e cose così sarebbero l’ideale. Comunque quello a cui tutti dovremmo ambire è alla realizzazione di obbiettivi, non al raggiungimento della felicità. O comunque insomma qualcosa che non comprenda solo se stessi.

Chi era che diceva che sì certo, fare il martire è facile, il difficile è sacrificarsi per la felicità di una persona sola. Hai capito cosa intendo? Sprecare tutta la propria vita per UNA persona, immolarsi per UNA causa sola..

Sì, sì mi pare fosse… lei ci pensa un attimo, l’ha già sentito e, anzi, è sicura di averglielo detto lei. Dove l’ha letto non se lo ricorda. Forse il diario di qualcuno. Lei è contenta quando parlano e si capiscono, si eccita, ora lo guarda: finalmente lui la eccita.

Bravo, mi capisci sempre, e gli tira un’occhiata languida, ma lui non la sostiene e si sente avvampare, abbassa lo sguardo. A lei irrita che lui non sia padrone della situazione. Se lei vuole continuare a raccontatasela deve fare finta che lui si senta sicuro, oppure deve convincersi che a lei lui piace così com’è.

Non hai qualcosa da bere? Lei beve molto, beve sempre. La bocca di lei sa sempre di alcool. È una cosa che lui detesta, la trova volgare. A volte lo eccita trovarla volgare a volte la trova volgare e basta. Lui in casa ha solo una birra che tra l’altro è del suo coinquilino tedesco.

Sì, ho una birra, la vuoi? Sì sicuro lei la vuole, la sta bramando da quando è entrata in casa. Lei vuole la birra e poi vuole scopare, prima si sorbisce la birra cercando di convincersi che lui è uomo abbastanza per sbattersela e poi vuole scoparselo arrendendosi al fatto che lui è poco più che un ragazzino. Poco male, la eccitano entrambe le cose.

Sì dai beviamola, tu non la bevi?

Ma sì ne prendo un sorso. Lui è un po’ agitato per questa storia che lei lo è venuto a trovare a Parigi e ora pretende il risarcimento del viaggio notturno in pullman. Comunque per quanto sia stronza e impegnativa lei supera raramente il limite. Non lo umilia e non lo offende, è materna in questo. A lui piace e dispiace che lei sia materna. Lui la guarda mentre lei si scola la birra direttamente dalla bottiglia. Lei lo diverte, lei è forte, fa ridere, è un maschiaccio, anche quando fa l’amante internazionale. Lei pensa di essere molto matura, ogni tanto con lui fa la parte della donna vissuta. A lui fa ridere, e ogni tanto lo fa innervosire. Lui ora la osserva e si convince che lei è solo una ragazzina insicura che si comporta da maschiaccio, e per questo si eccita. Poi quando lei posa la birra e lo fissa negli occhi si arrende al fatto che lei abbia più esperienza di lui e spera che lei se lo scopi con la bocca che puzza di birra.

Dai, vieni un po’ qui, suggerisce lei allontanando il piatto di pasta e posandolo sul pavimento. Lui le si siede accanto sul divano e le passa un braccio intorno al collo. Lui vorrebbe baciarla ma è lei a decidere le dinamiche. Il sesso è ok, ma i baci tra loro suonano fuori luogo. Stanno qualche minuto in silenzio seduti sul divano. Davanti a loro una portafinestra dalla quale si scorge la cappella aguzza della tour Eiffel e l’interno del palazzo di fronte. È notte e si vede anche la luna. Tutti e due provano a rilassarsi e sentirsi felici. Sono contenti di essere insieme anche se sanno di non essere veri amanti. Lei si morde il labbro inferiore e lo guarda intenerita. Gli dà un bacino sulla guancia, a lui piacciono le coccole, lei detesta le smancerie. Lui fa un sorrisetto e le dice qualcosa con la vocina, lei ride e gli tira una ditata nel costato. Lui le molla un pizzicotto delicato, non ha voglia di giocare a farsi il solletico, la vuole tenere ancora un po’ stretta sul divano e immaginarsi che lei sia veramente la sua ragazza. Lei lo sa che lui desidera tanto una donna che si faccia coccolare sul divano e per un po’ glielo concede. D’altronde, lui è il suo migliore amico, si conoscono da molti anni. Lei ha a cuore la felicità di lui, lui ha a cuore la felicità di lei, anche se spesso non trovano il modo di aiutarsi. Lei ama sentirsi fondamentale e trova la maniera di fare per sé e per gli altri. Lui ogni tanto si sente vacillare, non gli è facile trovare soluzioni per se stesso, tantomeno per gli altri. È capitato di ferirsi. Lui l’ha ferita una volta, lei non gliel’ha ancora perdonato. Lei anche l’ha ferito con questa storia di mettere di mezzo il sesso alla loro amicizia, e lei così si sta vendicando. È una continua rivalsa tra loro. Rendere felice l’altro e poi affondarlo, e ancora umiliarlo per aiutarlo di nuovo.

Stanno seduti abbracciati e cercano di abbandonarsi a qualche minuto di serenità e pace. Tutto sommato si sentono felici e tutto sommato in quel momento si amano anche, sono ragazzo e ragazza, lei ha preso il pullman di notte da Londra per venire a Parigi a trovarlo e ora stanno come una coppia normale sul divano abbracciati davanti alla finestra nel palazzo al terzo piano vicino a Pigalle e si possono considerare soddisfatti del risultato. Chi li vedesse potrebbe pensare a loro come una vera, normale, invidiabile coppia.

Dura solo qualche secondo, meno di cinque. Nel primo secondo c’è solo rumore, rumore di vento e di aria che si sposta. Nel secondo secondo il rumore è più intenso ma ancora incomprensibile, è qualcosa di anomalo ma il cuore e la mente ancora non hanno il tempo di concepirlo. Sempre nel secondo secondo c’è un’ombra scura, anomala – avambracci scoperti, gambe con i pantaloni che tentano di aggrapparsi all’aria – passa sfrecciando dietro al vetro della loro finestra. Il terzo secondo è un tonfo sordo di qualcosa non che si spezza ma che si spappola, come un sacco con all’interno qualcosa di solido e di liquido. Alla fine del terzo secondo i vetri della finestra vibrano per lo spostamento dell’aria. Nel quarto secondo i vetri finiscono di vibrare e rimane solo il silenzio. L’aria si è ricomposta e ha ripeso il suo  spazio dietro al corpo in picchiata. Per metà del quinto secondo loro rimangono paralizzati sul divano con gli occhi sgranati dalla paura. Chi ha appena attraversato il vuoto d’aria davanti alla portafinestra ormai è ridotto a frattaglie sul cemento. Sempre nel quinto secondo, prima che si precipitino a guardare giù dov’è appena saettato l’avvocato suicida del quarto piano, loro pensano che ora la luna sembra proprio in equilibro sulla punta aguzza della Tour Eiffel.

 

 

 

 © Immagine di copertina: foto di Cristina Catanese

Vuoi scrivere su Germogli? Scopri come fare qui.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.