In questo mondo – Il documentario di Anna Kauber sulle pastore d’Italia

È un venerdì pomeriggio come tanti, fuori c’è il sole ma sono chiusa tra le quattro mura del mio ufficio con la mente che vaga sognando camminate e picnic domenicali. Una pausa è d’obbligo e così mi metto a sfogliare il dépliant con la programmazione della Cineteca di Bologna. A un tratto un titolo cattura l’attenzione del mio occhio stanco.
È in questo modo del tutto casuale che inaspettatamente vengo a conoscenza di “In questo mondo”, il documentario di Anna Kauber sulle pastore d’Italia, vincitore del premio Gavioli e del Torino Film Festival nella sezione dei documentari italiani. Ed è così che il giorno dopo mi ritrovo in una sala piena di cinefili di ogni età che il sabato mattina scelgono di rintanarsi al buio nonostante fuori sia primavera inoltrata. In sala c’è la regista e dopo una sua breve introduzione, le luci si spengono e il racconto comincia.
La storia di Anna è quella di un viaggio alla scoperta, o meglio alla riscoperta, di una realtà di cui spesso ci dimentichiamo o della quale siamo del tutto ignari. Un viaggio di due anni tra le montagne italiane in compagnia di donne che hanno scelto di rimanere nonostante quel lento e progressivo esodo che ormai caratterizza le nostre Alpi e i nostri Appennini, espressione locale di un globale trend di spopolamento montano e rurale in favore di un insediamento costiero e urbano in continua espansione.

Il cinema, questa volta con Anna Kauber, si caratterizza ancora una volta per essere un mezzo privilegiato di indagine e diffusione di stralci di microstoria italiana, di racconti raccolti tramite un percorso di diciassette mila chilometri, un centinaio di interviste a donne tra i 20 e i 102 anni e tre anni di lavoro. L’immersione nella realtà pastorale italiana è totale, una realtà dalle profonde radici e dalle antiche tradizioni nel nostro Paese, che tuttavia non era stata ancora indagata attraverso i sudori, gli sguardi, le parole dell’universo femminile. A differenza dell’agricoltura, infatti, la pastorizia è da sempre considerata un’attività lavorativa prettamente maschile e quello che la Kauber fa è scardinare uno stereotipo a cui neanche gli stessi presenti in sala pensavano di essere succubi. L’architetto e regista esperta di paesaggio agrario al femminile, per la prima volta, dà voce a un mondo che pur essendo nascosto, esiste e resiste con coraggio e determinazione per rivisitare un contesto tipicamente maschile e patriarcale come quello della pastorizia.

Il viaggio nel Bel Paese montano inizia in Piemonte con Maria Pia, prosegue in Veneto con Caterina che si definisce autoironicamente “la parodia del pastore” perché “sembra facile, ma niente dev’essere improvvisato”. Nulla, però, le vieta di praticare anche un’altra sua grande passione, la musica. E così, mentre le sue pecore pascolano, Caterina suona il violino creando un’atmosfera surreale tra i pascoli alpini. Si passa poi in Trentino Alto Adige dove la regista scova Rosina, una vivace e allegra signora sulla settantina che consiglia l’uso del forcone e la vita all’aria aperta come potenti antidepressivi, invitandoci a raggiungerla semmai volessimo staccare la spina dalla quotidianità cittadina. Scendendo verso sud, sulla spina dorsale appenninica, Anna va in Umbria, in Abruzzo dalle sorelle Germano, in Ciociaria da Anna e Assunta fino in Aspromonte, terminando facendo un salto in Sardegna dalle giovanissime sorelle Marica e Lucia e dall’anziana Zia Michela che scatena risate di gusto in sala con i suoi racconti sulle pecore che quando era giovane venivano rubate da un particolare tipo di lupo, “quello cristiano!”.
Il documentario di Anna Kauber è una piccola perla del cinema indipendente italiano che andrebbe proiettata e diffusa il più possibile. La scelta di mostrare l’universo pastorale femminile è coraggiosa e non è casuale che proprio di storie di coraggio si parli. Coraggio di allontanarsi dai propri figli, di andare contro tutto e tutti per seguire il proprio istinto e le proprie passioni, coraggio di resistere alle difficoltà, non per ultime quelle economiche, che di certo non mancano in un contesto economico-produttivo che predilige una produzione di tipo industriale più attenta al profitto di pochi che al rispetto di standard di qualità del prodotto e di dignità umana.
Le donne a cui Anna Kauber ha dato voce rappresentano uno spaccato di un’Italia che, lungi dall’essere scomparsa, pratica ancora la transumanza, munge a mano il bestiame, dà un nome agli agnelli e instaura con tutto ciò che vive un legame intimo, potente e viscerale che difficilmente esperiamo in città. Caterina, Zia Michela, Rosina e tante altre sono lo specchio di un mondo di cui abbiamo perso le tracce ma che continua ad esserci. Non è un mondo possibile, ma uno che c’è già e che brama di essere conosciuto e vissuto.

Phcredit: https://www.legambiente.emiliaromagna.it, https://parma.repubblica.it, https://www.mymovies.it, https://www.gazzettadiparma.it.  La prima foto è dell’autrice di questo articolo

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