Musso Frank

 

testo e illustrazione di Lorenzo Palloni

Chi ha fame non ha nemici.
Anonimo

 

“Eccolo”, disse Cassie togliendosi gli occhiali da sole. Si voltò a guardare Briggs, che stava sbuffando richiudendo la porta per lasciare dietro di sé il deserto affamato di sole e sudore.
L’ Hungry’s Lunch era un piccolo locale polveroso a pochi chilometri ad est di Belmont Shore, dove il Vecchio andava ogni giorno da quarant’anni. Tranne per i quindici anni in cui era stato a Pelican Bay, ovvio, ma le vecchie abitudini non muoiono. Erano andati sul sicuro: nel monolocale a Leimert Park non ci metteva piede da sei giorni. Il Lunch era vuoto, Vecchio a parte. Affamato di clienti, pensò Briggs mentre salutava con un cenno la cameriera dietro al bancone e alzava il dito indice: “Uno Speciale e un tè freddo.”
La cameriera sfoderò un sorriso stentato e sparì nella cucina, oltre la tenda di perline.
Briggs osservò il Vecchio, seduto in un separè accanto alla vetrata opaca: incurvato, glabro, magro come non mai, quasi nuotasse in quella lanosa camicia a quadri. L’avrebbero visto da Seattle che stava morendo. Era chino su un hot dog mangiucchiato ai lati. Si sedette con calma accanto al Vecchio, impedendogli l’uscita. Cassie si mise di fronte, spostando i capelli rossi senza un filo di bianco dal viso perfetto, con una leggera ragnatela di rughe. Non male per una cinquantenne. Briggs si lisciò i baffi neri e guardò la donna con cui aveva lavorato vent’anni tirare fuori la Glock d’ordinanza e il distintivo. Il Parker Center guardava Briggs dritto negli occhi, lucido. Nella realtà era molto più freddo e deprimente. Cemento, come tutto il resto.
“Ciao, papà”, disse Cassie. “Come va?”
“Ciao”, disse il Vecchio in un turbinio di saliva. “ Scusa se non smetto, ma ho fame. Non posso smettere, piccola, sennò il ketchup si raffredda. Ho fame, piccola, tanta fame.”
“Guardami, papà”, mormorò Cassie: “Lo so che mi odi, ma guardami lo stesso.” Il vecchio alzò il capo leggero, stanco, e fissò la figlia con occhi ingrigiti, socchiusi.
“Non hai fame? Prendi qualcosa, piccola. Io ho sempre fame ultimamente. Ma non basta mai, piccola. Non basta mai. È come se il sapore riempisse i denti, sì, i denti sì, ma non la lingua, e poi non c’entra nello stomaco, non c’entra… sembra troppo piccolo…”
Cassie si passò la mano sugli occhi umidi. “Papà, cazzo. Guardami. Lo sai perché sono qui? Guarda…”, indicò la pistola e il distintivo sul tavolo. “Sono qui non come poliziotto, ma come figlia. Tua figlia.”
La cameriera si accostò a passi piccoli, quasi svelti, al tavolo. “Speciale e tè”, annunciò con voce rauca.

Briggs prese la ciotola marrone e il cucchiaio di legno, annusò la brodaglia rossa: il miglior chili di L.A. dagli anni ’60 a oggi. Cassie afferrò il tè freddo e lo bevve a sorsi brevi, fino a metà, come Briggs le aveva visto fare per vent’anni. La cameriera era sparita di nuovo dietro la tendina. Il poliziotto assaggiò il chili: perfetto. Il gusto esplodeva ogni attimo sulla sua lingua, prima caldo, poi così piccante da sopire ma non uccidere gli altri sapori, sprigionati dalla carne di manzo tenerissima, esaltata dalle cipolle, inumidita dai fagioli, imbrigliata dai chiodi di garofano… Ogni volta che deglutiva lo faceva controvoglia.
“Non hai ucciso tu la mamma”, disse Cassie. Il Vecchio smise di addentare il moncherino di hot dog, ma non alzò gli occhi. Briggs continuava a mangiare il chili.
“Michael ha scoperto un po’ di cose che non tornano…”, continuò la donna, indicando Briggs. “…bastano e avanzano per far cambiare idea al procuratore. Certo, questo lo sai anche tu, l’hai sempre detto di essere innocente, e nessuno ti ha creduto, nemmeno io, e mi sento da schifo, papà, e… mi dispiace.” Briggs posò la ciotola vuota sul tavolo e si sistemò la giacca. Il Vecchio era immobile. Cassie piangeva: “ Lo so che nessuno ti ridarà quindici anni della tua vita… ma voglio che tu sappia che… dio… ero… sono tua figlia, e dovevo crederti, lo so, fidarmi di te… invece ti ho arrestato.” Si passò una mano fra i capelli, si asciugò gli occhi con i palmi della mani e scolò quello che restava del tè freddo. Fece scivolare in bocca i due cubetti di ghiaccio e cominciò a masticarli con un rumore sordo. Come sempre.
“Lo sapeva già, Cassie”, disse Briggs con calma. “Sapeva tutto.”
Cassie sentì qualcosa di umido e denso battergli in petto. “Che vuoi dire?” Il cuore. No, non può essere.
“L’unica cosa che non sapeva era chi avesse ucciso tua madre… sua moglie… chi avesse aumentato la dose di insulina… né come avesse fatto…”, sospirò, “…e io c’ho messo quindici anni a capirlo.” Il bicchiere vuoto rotolò sul tavolo, impuntandosi sul bordo. Cassie sentì la camicia inzuppata di sudore, si guardò le mani, e capì che non ce l’avrebbe fatta a far smettere il tremolio. Alzò gli occhi rossi di lacrime e si sforzò di guardare il Vecchio: la stava fissando, gli occhi fermi, diversi, e la bocca una linea sottile, dura.
“Il ghiaccio…”, mormorò la donna mentre la testa si faceva leggera, le braccia pesanti, la vista appannata.
Briggs annuì. “Mi fidavo di te, Cassie. Mi hai preso per culo per tanto di quel tempo. Non c’è legge che tenga.”
Il Vecchio ingoiò l’ultimo pezzo di hot dog, guardandola: “Questa è l’unica cosa che ci può sfamare tutti e tre.”
Cassie chinò la testa sul petto, gli occhi ancora aperti. Un rivolo di bile filava dalla bocca alla camicia azzurra. Il veleno era stato rapidissimo. “Merda…” sospirò Briggs, e si passò il tovagliolo di carta sui baffi sporchi di chili.
“Brucia all’ inferno, piccola”, sussurrò il Vecchio. Ma Cassie non poteva sentirlo, ormai. Lei era già lontana quando Briggs e il Vecchio uscirono fuori, nel deserto nudo. La cameriera li aspettava in una vecchia Subaru.
Briggs capì subito che era affamata di chilometri.

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