Ebree a metà. Intervista a Cinzia Leone

“Ciascuno custodiva gelosamente la propria zona cieca”.

Il più bel riassunto di Ti rubo la vita, romanzo di Cinzia Leone edito da Mondadori, ce lo regala proprio l’autrice tra gli ultimi colpi di coda del romanzo. Ti rubo la vita è un romanzo che racchiude tre storie, tre donne incredibili legate da un filo sottile e dal loro modo originalissimo e sfrontato di essere ebree. Saga familiare, romanzo insieme storico e d’avventura che attraversa l’Europa e un secolo cruciale come il ‘900 per restituirci il grande interrogativo su cosa sia l’identità.

Come nasce Ti rubo la vita? Quando hai cominciato a scrivere avevi già in mente le tre macro-vicende che compongono il libro?
Il furto di vita in tutte le sue declinazioni, l’omicidio, la sostituzione e l’amore, mi affascina da sempre e da sempre ho messo al centro della mia narrazione le storie delle donne. Anche se in “Ti rubo la vita” sono gli uomini a dare l’avvio all’intreccio, le protagoniste sono, Miriam, Giuditta ed Esther, che raccontano il secolo scorso. Avevo in mente una trama che ruotasse attorno alla zona cieca determinata dai segreti e dagli inganni che attraversano le famiglie e al tema dell’identità, che nella sua accezione peggiore è stato il motore degli orrori del Novecento. Il mio romanzo è una saga familiare che si dipana da Giaffa a Istanbul e poi ad Alessandria D’Egitto, a Basilea, a Roma e a Miami. Il grande affresco di tre donne a cui è stata rubata la vita, dal denaro, dalla guerra e dalle leggi razziali, ma anche dall’amore.

Nel libro si rincorrono temi, situazioni, pensieri che ci fanno immergere, nella cultura ebraica e nelle sue evoluzioni durante tutto il ‘900. Un’operazione tanto riuscita quanto viva, ancorata al reale e al vissuto dei personaggi. Per scrivere Ti rubo la vita che tipo di attività di ricerca hai dovuto fare?
Ebree per forza, ebree in fuga o ebree a metà, Miriam, Giuditta ed Esther sono tre donne fragili e coriacee che diversamente si trovano a scoprire o a confrontarsi con l’identità ebraica. Il popolo ebraico ha una storia unica e drammatica. Il mio romanzo inizia con l’omicidio di un mercante ebreo a Giaffa durante i disordini del 1936 a cui il socio in affari turco musulmano decide di sostituirsi. Come sanno bene gli scrittori, i drammaturghi e gli attori, nulla permette di conoscere l’altro come vestirne i panni. “Ti rubo la vita” finisce per esplorare i nessi tormentosi tra le tre religioni monoteiste, i punti di congiunzione e i conflitti. In un romanzo che inizia nel 1936 e si conclude nel 1992, con tre protagoniste, molti comprimari e una miriade di personaggi minori, governare la trama e lo scenario storico è decisivo. Ho messo a fuoco le cronologie anno per anno. Ho costruito gli alberi genealogici delle famiglie delle tre protagoniste. Ho letto tutto quello che ho trovato sui luoghi del romanzo e li ho visitati più volte.  Poi è stata la volta di una scaletta dettagliata della trama. Un grande lavoro preliminare, affinato in corso d’opera, più e più volte modificato e corretto man mano che la scrittura andava avanti. Mussolini e Hitler sono nominati solo un paio di volte. Volevo che la grande Storia fosse vista dal basso, dalle persone normali che non capiscono fino in fondo la trama oscura che stanno vivendo. Ci si innamora anche in guerra, forse di più.

Ti rubo la vita

Ti rubo la vita

Mi ha molto colpito un tuo passaggio: “Potevo cancellare per sempre la verità, ma sono cresciuta come un’ebrea e non posso cancellare la memoria”. Un tema complesso, su cui si stanno interrogando molti storiografi, come se la realtà fosse fatta da tante piccole parti in comunicazioni tra loro. Siamo cresciuti per anni con il mito della verità, sempre più in crisi, e stiamo riscoprendo il valore della memoria. Ma perché è così importante la memoria?
La verità è un mistero sfuggente e le dune della storia possono cancellarne i contorni. L’unico antidoto alla crisi dell’identità, all’orrore del negazionismo e al dilagare delle fake news è la memoria: conservata e condivisa.

La storia di un mercante turco musulmano che ruba l’identità del suo socio ebreo, barbaramente ucciso, ci dice molto della vacuità di certe distinzioni di razza e di religione che facciamo, del nostro modo di etichettare le persone. Come può aiutarci la letteratura ad andare oltre le apparenze?
La letteratura ha fatto e può fare molto. Mettendo a confronto la natura dei personaggi e i loro conflitti spesso riesce ad incarnare più e meglio di un saggio i conflitti e le vie d’uscita, i tragici inciampi della storia e come gli uomini riescono a superarli. Siamo tutti ibridi, cangianti, marrani. Miriam, Giuditta ed Esther si difenderanno dalle insidie degli uomini e della Storia. Ricuciranno con il filo dell’identità la lacerazione dell’armonia perduta: quella tra la tradizione e la modenità e quella tra uomo e donna. Combatteranno per restare se stesse, qualcuna vincerà, qualcuna perderà. Tutte scopriranno la propria identità, impareranno ad amare e persino a odiare.

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