Meo

di Marco Broggini

 

Ok, devo riprendere fiato, se no la situazione mi sfugge di mano.

“Mi avevi promesso che cambiavi! Cogliona io che ci ho creduto!”

Mi sembra di vivere in un film di Woody Allen. Uno degli ultimi, purtroppo.

L’ascensore sbatte. Stai a vedere che è quel vecchio del piano di sotto. È così taccagno che risparmia anche sulla rampa di scale per venire a rompere il cazzo.

“Oltretutto è la tua roba da calcetto! Ci voleva tanto a stendere una maglietta e dei calzettoni, eh,” urla quell’altra di là.

Din don!

Incredibile, quando deve stressare la vita alla gente non gli tremano nemmeno le mani, a ‘sto bavoso. Vado alla porta e tiro fuori il miglior sorriso che i nervi mi consentono.

“Buonasera, come no, arrivederci.”

Gli chiudo la porta alle spalle. Sta provando ancora a bussare, ma nel frattempo Francesca è qui. È un po’ che quando siamo nella stessa stanza ci parliamo come se fossimo in discoteca.

“Sei sempre davanti a quella cazzo di PlayStation e quando non hai quel coso in mano vai a calcetto! Sei cosciente o no che non vivi più a casa con i tuoi?” Mentre sbraita porta la mano intorno all’orecchio e disegna piccole curve. Sono incazzato nero, ma non posso fare a meno di pensare a Luca Toni quando vedo un movimento così. Ora tocca a me segnare il gol del vantaggio.

“Ma sentila, Miss Perfettina! La sua vita è cambiata da quando viviamo insieme, vero? Te lo dico io quando è cambiata veramente: quando hai letto quel merda di articolo su Facebook!”

L’ha vista arrivare, ma non ha potuto pararla: “Le ragazze devono uscire con le loro amiche almeno 2 volte la settimana, ne va della loro salute! Ci sono degli studi a riguardo!”

“Spero che tu esca davvero con le tue amiche!”

“Che cazzo stai insinuando?”

Taccio.

“Vaffanculo!” Mi lancia un libro dietro. “Sono stata proprio una cretina a prendere casa con te!”

In tre minuti si sveste, mette il pigiama, si lava e va in camera. Io sprofondo nel divano. Il gatto si avvicina con aria ruffiana, prende la rincorsa e fa per saltarmi in grembo.

“Non adesso, Meo.” Gli rifilo una manata che per poco non lo fa atterrare sulla schiena per la prima volta nella storia dei felini. Non è il solo che ho offeso oggi, così mi sento sollevato mentre lo vedo uscire dalla fessura della porta.

 

È davvero una bella sensazione avere casa libera per un’oretta ogni giorno, anche se sto stendendo.

“Luca! Luca! Ci sei?”

Appunto. Fra ha messo gli stivali nuovi e fanno un casino del diavolo sulle piastrelle. Non faccio in tempo a salutarla che mi prende a strattoni.

“Meo è scappato!” I suoi occhi sono bagnati come quelli delle mucche.

“Esce sempre, lo sai. Ne ha bisogno. Gli ho fatto il buco apposta nella porta.”

Mi sta dando dei pugni isterici sul petto: “Sono tre giorni, TRE GIORNI che non torna a casa! Non dirmi che non te ne sei accorto!”

Non so che dire.

“Luca, ma a te frega qualcosa di qualcuno che non sei tu? Possibile che non ti sia accorto di non aver più per casa quella povera bestia? Pazienza per me, ma credevo che almeno per lui provassi qualcosa!”

Mi scuote e piange. Mi fa quasi pena, poverina. La verità è che è stata sua l’idea di prendersi in casa quel randagio buono solo a spargere peli.

“Tornerà, vedrai. Ormai si è abituato a vivere qui e non sa più trovarsi il cibo da solo. Noi, quando usciamo, diamo sempre un’occhiata in giro. Ok?”

Ma lei è già nell’altra stanza.

 

Sono le undici e Francesca non è tornata nemmeno per cena. Devo dire che sono preoccupato, perché questa non è una delle sere in cui di solito va in giro con le amiche per tenere fede a Facebook.

Entra e mi vede sul divano. Le giurerei di aver appena messo su un altro giro di lavatrice dopo aver steso, ma so che sarebbe fiato sprecato e decido di prepararmi semplicemente all’uragano, che puntualmente mi travolge.

“Certo che mantieni le promesse come al solito eh! Ti stai proprio dando da fare per il gatto!”

“Parla quella che è passata da due a tre uscite tra best friends la settimana!”

Francesca si mette a frugare nella borsa con uno scatto nervoso.

Adesso tira fuori una pistola e mi spara. E forse me lo merito anche.

“Sei proprio un coglione patentato,” dice mentre dalla Borbonese escono volantini gialli e arancioni con una foto di Meo stampata sopra.

“Li vedi questi? Domani li vedranno tutti, perché li ho sparsi per il quartiere. Altro che uscita di piacere!”

Mi guarda con quell’aria cattiva. Non è odio, è disprezzo. Mi lancia in faccia il plico sottile che le è rimasto e per un attimo rimango lì con ‘sti coriandoli maggiorati che mi volano intorno, senza nulla da festeggiare.

Quando l’ultimo è per terra da un po’ mi vedo tenderle le braccia. Lei si avvicina. Ha un momento di indecisione, ma si lascia abbracciare. Sembra duri un’eternità, poi lei guarda in alto, verso i miei occhi, e stiamo piangendo tutti e due.

“Lo troveremo, non importa se sono già passate due settimane,” mi sento dire.

Fra fa sì con la testa e rimaniamo lì, in silenzio.

 

È passato un mese ma del maledetto gatto nemmeno l’ombra. Le abbiamo provate tutte: volantini, messaggi su Whatsapp ad amici e conoscenti. Abbiamo persino contattato quei patetici gruppi Facebook di fanatici. Ci siamo sbattuti fin troppo per quella palla di pelo ingrata. Quanto a me e Francesca, le cose vanno decisamente meglio. È come se questa ricerca disperata ci avesse riavvicinato, avesse riacceso qualcosa. O forse quel qualcosa non si era mai spento e dovevamo semplicemente evitare di togliergli l’ossigeno sprecando fiato in litigi per cose inutili.

La scorsa notte abbiamo scopato e adesso sono qui avvolto nelle lenzuola, con il freddo mattutino che mi punge le dita dei piedi, e la guardo. È bellissima lì, stesa a pancia in giù, con quel sottile rivolo di saliva che le pende all’angolo della bocca. Mi alzo e mi preparo per il lavoro in fretta e furia, come al solito. Vado alla porta, ma c’è una cosa che devo assolutamente fare prima di andarmene: faccio dietrofront e le stampo un bacio sulla fronte.

 

Attaccare al lavoro la mattina presto ha i suoi benefici, tipo rincasare prima di Fra. Se sapessi anche cucinare, sarebbe proprio perfetto. Parcheggio abbastanza distante, giro l’angolo e mi blocco.

È Meo. Il bastardo alla fine è tornato, dopo tutto questo tempo.

“Meo, ciao! Lo sapevo che non potevi starci lontano per sempre. Sei un viziato del cazzo, dopotutto,” gli faccio mentre mi inginocchio. “Dài, vieni qui.”

Il gatto sembra confuso, diffidente, come se sospettasse di me. È vero, in casa non sono mai stato io il suo migliore amico, ma qualche volta la pappetta nella ciotola gliel’ho messa. Cerco di persuaderlo con la promessa che lo tratterò meglio, addirittura mi scuso con lui ed è come se non fosse l’unico a cui sto chiedendo perdono.

Le mie parole sembrano fare breccia in quel freddo cuore felino. Meo si avvicina e gli bastano due salti per raggiungermi. Mi ha in pugno e lo sa, tanto che si struscia sulle mie mani: si sta praticamente accarezzando da solo.

Mentre mi specchio in quegli occhi gialli sento sopraggiungere qualcosa dalla porta sul retro del mio cervello.

Cerco di scacciarlo. Intensifico le carezze. Sempre più forti, come per lavare via qualcosa.

Sta galoppando. Non posso fermarlo e all’improvviso rivedo il muso di Meo sui volantini che volano nell’aria viziata del soggiorno mentre io e Fra ci abbracciamo in silenzio, lei nuda e sudata sopra di me che ansima mentre facciamo l’amore, io che le preparo la cena, i suoi lineamenti dolci che si contraggono impercettibilmente nel mezzo di un sogno, io che la bacio sulla fronte prima di andare al lavoro.

Momenti felici, come non ne vivevamo da un po’.

Il mio cervello rimbomba. Sembra il rumore di un computer scassato che sta cercando di elaborare una grande quantità di dati complessi.

Risultato: NO MEO.

È tutto così chiaro: da quando non abbiamo più avuto il gatto per casa io e Fra ci siamo riscoperti, ci siamo dati più attenzione. Lei ha persino smesso con le uscite tra amiche made in Facebook. Non può essere un caso.

È come se il mio corpo fosse giunto a queste conclusioni un attimo prima del cervello: con uno scatto nervoso sono di nuovo in piedi. Tutto è al rallentatore. Solo il mio piede si leva in aria in un lampo e un attimo dopo è lì che schiaccia la testa di Meo sull’asfalto umido. Le ossa del cranio fanno cric crac sotto il mio peso. Le zampe si dimenano impazzite, ma nel giro di pochi secondi è tutto finito. Prendo il cadavere per la collottola e lo butto nel primo cassonetto disponibile, avendo cura di non essere visto.

Corro a casa. Le luci sono già accese. Che cazzo… Apro, cercando di sembrare il più normale possibile. Francesca mi corre incontro, mi getta le braccia al collo. Non ho nemmeno il tempo di dire ‘ciao’ che lei mi fa “Vieni.” Mi prende per mano e andiamo in cucina.

Quando lo vedo rimango immobile sulla soglia, come di ghiaccio.

“Lui è Curtis. Ti piace?”

L’aria mi entra nel petto e si accumula, ma mi esce dal naso prima che riesca a dire qualcosa.

“Ci è voluto del tempo, ma ho realizzato che Meo non tornerà. Mi sono messa il cuore in pace. Spero solo che stia bene,” e mi guarda piena di speranza.

“Ma adesso è ora di voltare pagina! Vero Curtis?”

Francesca si china verso il nuovo gatto e inizia a sommergerlo di affetto.

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