La Casa sull’albero – La bambina di un milione di anni di Lorenzo Vargas

Data la situazione Covid-19 molte librerie sono state costrette ad annullare e/o a cancellare gli eventi. Sappiamo che è giusto così, anche se ci dispiace molto, soprattutto per gli autori e le autrici i cui libri che stanno continuando a uscire, per tutta la filiera editoriale che si trova in difficoltà. Per questo abbiamo deciso di aprire uno spazio virtuale temporaneo qui su Tropismi, dedicato esclusivamente alla presentazione dei libri orfani di presentazione. Pubblicheremo brevi interviste agli autori, come se ne stessimo parlando in libreria, con qualche domanda e, se possibile, qualche riga di estratto. Non potremo dare a ogni libro il pubblico e il tempo enormi che meriterebbero, ma cercheremo di riservare uno spazio di benvenuto per tutti.
L’ospite di oggi è Lorenzo Vargas con il suo libro La bambina di un milione di anni, edito da Las Vegas Edizioni.

Come nasce l’idea di questo libro?
Dal fatto che ho letto troppi fantasy quando ero una burbetta e crescendo mi sono reso conto con una certa mestizia che tendevano ad assomigliarsi un po’ tutti. Dai cattivi che restano sempre cattivi in sto genere di narrazioni (o vittime edgy incomprese) e i buoni sempre invariabilmente buoni, magari con una sterzatina sul Lato Oscuro giusto per i biscotti. Da The Legend of Zelda, dove link e Ganondorf sono sostanzialmente Neri e Gabriela con meno fantasia per gli alias. Dal fatto che volevo scrivere un film per farmi fare la colonna sonora da Amanda Palmer così da fare amicizia con Amanda Palmer, ma fare i film costa troppo (MI SENTE SIGNORA NETFLIX?). Come reazione a La leggenda leggendaria degli eroi epici del collettivo Nerdheim che si è chiesto cosa c’è dopo la pensione nel mondo fantasy e io che mi chiedo “E dopo ancora?”. Dall’unire l’infinitamente migragnoso all’immensamente, spropositatamente grande. A dare una prospettiva un pelo più realistica sull’immortalità senza cadere nel solito cliché alla Anne Rice.

Riassumi la trama del libro in una frase.
Pensionati cosmici non vogliono essere rotti il cazzo, gli viene rotto il cazzo lo stesso e l’umanità ci fa la solita figura barbina.

Che aggettivo daresti al tuo libro?
Conclusivo. Ma che domanda è?!

Una domanda curiosa! Comunque, quali sono le tue influenze, letterarie o meno?
Neil Gaiman per l’approccio alla mitologia come unicum onnicomprensivo. Douglas Addams per l’occhio spoetizzante sui suddetti meccanismi cosmici. Solaris di Stanislav Lem sul concetto base che solo perché siamo umani non è detto che possiamo vincerle tutte. Anzi. La Parte dell’altro di Eric Emmanuel Schmitt per lo sguardo più compassionevole possibile sull’inevitabilità di certe scelte di vita. Oggi come oggi è impossibile identificare nettamente le fonti di ispirazioni di ognuno. Siamo esposti a talmente tanti media che ci vorrebbe un saggio critico di quaranta pagine per ogni minimo dettaglio. Libri, musica, videogames, fumetti, un vecchio per strada, il contenuto di numerose bottiglie di superalcolici. Va a sapere.

Chi ti piacerebbe che lo leggesse?
TUTTI. L’ho scritto pensando a più persone possibili, di qualsiasi età. Principalmente invento ste storie per me, più che per un pubblico preciso. Non ho un target vero e proprio. PERÒ SIGNORA NETFLIX, ECCO SE CI VOLESSE DARE UN’OCCHIATA, È BREVE, SCORRE CHE È UNA MERAVIGLIA CIOÈ URLA PROPRIO MINISERIE E JA’ AVETE PRODOTTO PERSINO YOU, LO POTETE FARE QUESTO SFORZO DAI, DAI, DAI.

Estratto:
Neri sbirciava il cimitero dalla finestra del Palazzo, immobile nelle sue sembianze di oscuro signore dei morti. Da quando Gabriela aveva tirato fuori la questione Bestemmia (capitava ogni due-trecento anni), gli riusciva difficile non pensarci. Era ciò che di più vicino avesse a un lutto, per quanto fosse sicuro che, da qualche parte nel mondo, la sgraziata creatura continuasse a condurre la sua non-vita in un anfratto tossico e inospitale, magari maledicendolo.
No, Bestemmia non l’avrebbe mai maledetto.
Aveva amato il suo signore in modo incondizionato per millenni; ne aveva venerato la crudeltà e gli strani sprazzi di perverso affetto. In tutto quel tempo non lo aveva mai cercato.
L’uomo lungo intrecciò le mani in complicati disegni e il fumo che filtrava dalle ossa macilente gli si addensò addosso, nelle sembianze del guardiano del cimitero. La malia gli dava una sensazione soffocante che non gli piaceva, come di una spessa colata di gomma. Conosceva altri incantesimi meno fastidiosi, ma tendevano ad avere tutti qualche punto cieco: tridimensionalità, persistenza, odore. Anche la magia, come ogni cosa, pretendeva il pagamento di un prezzo per i servigi offerti. Ovviamente sarebbe potuto semplicemente uscire così com’era, l’incubo subliminale che riposava sul fondo del cuore dell’umanità. Avrebbe seminato il panico, corrotto le genti; in qualche settimana si sarebbe trovato di nuovo attorno la propria corte di psicotici assetati di sangue e abomini nati dagli incubi dei folli. Magari un culto su Internet. L’idea della setta assassina di Montebasso gli strappò un sorriso, ma smise di risultare allettante in pochi secondi.
Aveva chiuso con la distruzione di massa dopo averne compreso l’inutilità. La vita trovava sempre un modo di tornare, anche quelle volte in cui era riuscito a sconfiggere l’Eroe.
«Ok, Etelina, ti ho tenuto sveglia anche troppo.»

La morta posò il cruciverba e seguì docilmente Neri fuori dal Palazzo. Le adagiò addosso un trucchetto da principianti, che rendeva difficile metterne a fuoco la sagoma, una pura formalità. In fondo era tardi e gli ultimi visitatori avevano già lasciato il cimitero. Siccome non gli andava di scavare di nuovo la fossa, si limitò a portare indietro il tempo del tumulo a quando era stato appena smosso. Era una magia che non comportava grandi problemi se ci si muoveva per meno di un paio di settimane. Certo, c’erano delle ripercussioni. Qualcuno si sarebbe potuto svegliare più giovane, o più vecchio. Nel caso in questione, l’unico inquilino di un angusto appartamento di Tianjin perse l’ultimo mese della propria vita, scampando al rapporto sessuale con la prostituta che gli aveva trasmesso l’hiv. Lo avrebbe contratto di nuovo un paio d’anni dopo, in circostanze simili. Neri attese pazientemente che la vecchia si calasse nel feretro e invertì la manipolazione temporale. Una giovane finlandese con il femore fratturato si risvegliò priva di lesioni e con la schiena coperta di piaghe da decubito, per via di un mese intero di inattività.

Sul percorso che lo riportava alla casetta del guardiano, però, trovò un uomo che parlottava a gambe incrociate davanti a una tomba. La lapide era piuttosto vecchia, anche se il nome rimaneva leggibile.
«Mi dispiace, signore, ma il cimitero sta chiudendo.»
Il visitatore si girò, per controllare chi gli fosse arrivato alle spalle. Aveva la testa coperta di capelli corti e grigiastri e un volto stanco dai tratti mediorientali. Vestiva un caftano stazzonato che aveva visto giorni migliori.
«Scusi. Io sto ancora uno poco qui. Saluto mia moglie» gli rispose, articolando la frase alla meglio. Neri si sporse per leggere il nome sulla lapide: terzo bubbola, 1898-1943, milite e patriota. L’uomo aggiunse: «Tomba di un altro. Lei è morta per il caldo nel deserto. Mentre fuggiamo. Non è seppellita. Se la saluto qui o da altra parte è lo stesso. Tanto anche viva non mi ascoltava.» Rise, mettendo in mostra pochi denti mal conservati.
Era uno della comunità araba di Montebasso Vecchia, la più mutevole. Ogni tanto arrivava qualcuno di nuovo, restava un paio di mesi e poi spariva alla volta di qualche città più grande. Di certo il paese non faceva nulla per rendergli il soggiorno più piacevole.
Con sua moglie, il vecchio parlava un elegantissimo farsi, che Neri aveva appreso un’ottantina di anni prima seguendo Gabriela in Iran per una delle sue continue reincarnazioni, quando si chiamava Roozbeh. L’uomo le raccontava di come aveva passato la giornata, dei pasti e si inventava storielle rassicuranti sui figli. Poi le disse dello strano uomo lungo che attendeva paziente alle sue spalle.

La lingua straniera proiettava uno spazio privato tra il vecchio e la tomba, in cui Neri non se la sentiva di introdursi. Non ricordava più cosa volesse dire essere soli coi propri morti. Ne aveva seppellito la propria parte eoni prima e l’evento non si era più ripresentato.
Dopo un commiato pronunciato a scatti, come se venisse di continuo interrotto, il vecchio si avvicinò a Neri perché lo scortasse fuori dal cimitero: «Io speravo di poter parlare di più se lei è morta. Ma nemmeno Allah le ha messo il bavaglio.»
Passeggiarono con calma tra le lapidi. L’aria fresca inchinava ritmicamente l’erba, bisognosa di una tosatura. Nonostante avesse avuto tutto il tempo per imparare, Neri non era stato un buon custode per il cimitero di Montebasso.
«Le piace il cimitero?» Si accorse subito di quanto fosse una domanda stupida. O forse no. Ogni volta che aveva a che fare con le persone, si rendeva conto di esserne del tutto incapace. Il vecchio misurò una risposta: «Non male. Nemmeno bene. Da noi i cimiteri sono diversi. Abbiamo grandi archi e fiori ovunque e niente tombe. Nei cimiteri si ricorda. Lasciamo i nostri morti su montagne di Zagros, dove grandi uccelli mangiano la carne e usano ossa per il nido. Restituire alla natura è importante per ricevere di nuovo.»
«Davvero?» chiese Neri, improvvisamente incuriosito.
«No. È cazzata. Nostri morti li seppelliamo, come tutti. Chi ci fa fare di salire ogni volta su Zagros?» Rise alla sua stessa battuta. Era un po’ che il vecchio non aveva un vero pubblico. «E al guardiano piace cimitero?»

L’uomo lungo smise di camminare, come per concentrarsi: «Non so. Forse non ne vedo l’utilità» ammise, più che altro a se stesso. «Ho perso qualcuno, ma è stato molto tempo fa…» si lasciò scappare un ghigno: «… da allora credo di non aver pensato molto alla morte.»
Il vecchio si voltò a osservarlo e per un attimo sembrò essere molto più antico di lui. Dava l’impressione di essersi fatto tutta la vita a piedi, sotto il sole, senza un momento per riposare: «Ma cimiteri non servono ai morti. Morti sono morti. Servono a noi stupidi che dimentichiamo di dire qualcosa prima che è troppo tardi. La tomba resta lì per raccogliere gli ultimi messaggi di sbadati.»
Nel frattempo, avevano raggiunto l’uscita, un’inutile ma piacevole struttura in ferro battuto, incardinata su rose colonne di cemento armato. Si congedarono sulla soglia, l’uomo che parlava coi morti e quello che pur di non averci a che fare li riportava in vita.
«Come l’ultimo saluto, quando versi un bicchierino di buon alcol sulla tomba. Ci sarebbe da prendere a schiaffi lo scemo che lo fa, ma ci fa stare meglio. Meglio di più quando beviamo resto della bottiglia» concluse, prima di tornare verso il centro storico.
«Ma l’Islam non proibisce di bere?»
Da lontano il vecchio rispose: «L’Islam sì, ma Allah ce lo ha nascosto comunque sulla terra. Perché la vita è difficile e noi siamo soli.»

 

Credits: Las Vegas Edizioni

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