Risveglio

Estratto da La tela bruciava
di Alessandro Alfonsi

Anton si era già svegliato da almeno 15 minuti, ma la sua mente stava ancora decidendo cosa fare. Nessun impegno, nessuna commissione, nessuna persona da accompagnare da qualche parte. Realizzò che poteva anche starsene tranquillamente e pacatamente adagiato nel letto, sommerso dalle coperte. Qualora avesse avuto fame si sarebbe alzato per prendersi un po’ di zuppa. Il fuoco non sarebbe stato più un problema ora che aveva scoperto la benzina. Poi pensò a Elisa. Chi l’aveva portata a scuola? Come stava andando la sua giornata? Aveva fatto tutti i compiti per oggi? Sara le aveva dato abbastanza soldi per prendersi il pranzo? O era ieri che mangiava fuori? Non riusciva a togliersi dalla mente l’idea che sua figlia potesse contare solamente su di lui. La morbosità dell’amore paterno strumentalizzava ogni suo pensiero.

Si decise ad alzarsi, dopo qualche ulteriore minuto di pensieri più o meno profondi, ma la sua pelle comunicò al cervello che la temperatura del mondo esterno non l’aggradava. Si arrotolò completamente all’interno di una grossa coperta e scese al piano terra per ravvivare il fuoco e far scaldare un po’ la casa. Poi tornò nel letto, deciso a uscirne solo quando la temperatura fosse stata compatibile con la sua idea di temperatura. Si girò da un lato e cominciò a guardare fuori dalla finestra, per perdere tempo.

La neve. Non si ricordava più quante volte, da adolescente, fosse andato a sciare. Si era scordato anche quanto gli piacesse. Si era scordato un po’ tutto di allora. Gli anni erano passati e degli amici di una volta aveva ancora contatti solo con due o tre persone. Così riaffiorò un po’ della sua vita. Ritornarono le immagini, i suoni e gli odori di quando aveva 18 anni. Era andato con la sua comitiva a sciare sugli Appennini. Si fermarono per tre giorni in un hotel a meno di 100 metri dagli impianti sciistici. Si ricordò anche di una persona che da molto tempo ormai non entrava nei suoi pensieri. Ludovica. La sua immagine non era più definita come una volta, nella sua mente. In compenso il suo odore, fresco, asciutto, con una nota di agro, lo ricordava ancora benissimo. Era stato quel profumo a fargli perdere la testa. Era stato quel profumo a spingerlo a conquistarla, nonostante lei fosse di tre anni più grande. Ed era stato quel profumo ad accompagnarlo nella sua prima volta con una ragazza. Ludovica.

Anche il membro di Anton sembrò ricordarsi di quella volta. Si tirò su con la rapidità del secchione della classe, smanioso di rispondere alla domanda per avere un voto in più.

-Ma sì!- disse ad alta voce Anton. Prese il suo pene in mano e cominciò a dedicare più attenzione ai ricordi che aveva per Ludovica. Il piacere cresceva e il ritmo seguiva il passo. Durò tutto molto poco. Cazzo non ho fazzoletti! L’impulso saliva e saliva e la mente si lasciava influenzare dalla situazione. Fanculo i fazzoletti, fanculo gli strofinacci, fanculo tutto. Anton si alzò, di scatto, senza smettere di muovere la sua mano. La frenesia stava giungendo al limite. Presto tutto si sarebbe trasformato in un po’ di respiri ansimanti e una chiazza bianca schizzata da qualche parte. Un’illuminazione sembrò cogliere Anton. Bianco. Neve. Aprì la finestra, sporse il suo membro appena al di fuori e il suo bianco si mischiò al bianco. Come quella volta. Come con Ludovica, in mezzo alla neve, da ragazzo.

Finito di ricordare il passato, si rivestì abbastanza velocemente e scese di sotto per mettere qualcosa sotto i denti. Prese una monoporzione di marmellata e dei biscotti secchi e si mise a mangiare in salotto, davanti al camino. Il libro era ancora dove lo aveva lasciato la sera prima. La libreria invece no.

Fu solo un momento. Nessuno avrebbe mai potuto dire se fosse accaduto realmente o solo nella mente di Anton. La libreria da cui aveva preso il libro la sera prima, la libreria che stava esattamente davanti al primo scalino per salire in camera da letto, non c’era più. O meglio, non c’era stata più, perché dopo poco tutto era tornato esattamente come prima. Ogni angolo aveva di nuovo i suoi libri gialli, verdi, blu e neri. Ogni lato aveva di nuovo le sue scaffalature. La copia esatta di come era sempre stato. Ma forse era sempre stato così. Forse era solo la testa di Anton che aveva iniziato ad andarsene a puttane.

Qui qualcosa non torna. Per un attimo la libreria non c’è stata. Possibile che dopo nemmeno un giorno stia già delirando per la solitudine? No! Così poco tempo? Assolutamente no! Avrò avuto un momento un po’ così. Magari la pressione del sangue mi ha confuso un po’ la vista. Sì! Dopo la pugnetta, sicuramente la pressione del sangue si è un po’ sballata, poi ho fatto le scale, lo sbalzo di temperatura, non ho ancora mangiato… Ma sì, sicuramente tutte queste cose, mi hanno dato un momento di debolezza e mi è sembrato che la libreria fosse sparita. Ma poi senti tu come sto ragionando! Sto veramente qui a pensare se la libreria sia sparita o meno. Quanto sono coglione certe volte.

Anton scrollò via dalla testa quel momento di confusione e si mise a spalmare la marmellata di more sui biscotti. Li mangiò con calma, gustandoseli e masticandoli a lungo. Voleva far arrivare gli zuccheri in qualunque fibra del suo organismo, in modo da non avere più un momento come prima. Mentre stava lì a masticare di gioia, riprese il libro da terra e si rimise a leggere. Il serpente Miðgarðsormr, questa volta, fu molto meno soporifero.

Le pagine venivano sfogliate, i biscotti mangiati e il tempo passava. Nel mondo esterno le foche se ne stavano tranquille nel loro habitat. Le montagne erano dove erano sempre state (era geologica più, era geologica meno). Il Sole brillava come negli ultimi 5 miliardi di anni. Tutto andava come da sempre andava. Eppure, qualcuno, da qualche parte, guardava Anton e, sul suo volto, un energico sorriso per l’aspettativa comparve, perché tutto questo stava già cambiando.

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