Tributo alla terra – Il genocidio culturale dei Dene raccontato da Joe Sacco

La letteratura ambientale attrae sempre più interesse da parte di giovanə e meno giovanə. Il desiderio di comprendere le contraddizioni del mondo in cui viviamo, infatti, passa anche dal narrarlo. Da qui nasce la rubrica Tributi alla terra, un nuovo spazio dedicato alla recensione di romanzi, saggi, fumetti (e molto altro) dove l’ambiente è protagonista in tutte le sue sfaccettature. Ogni due mesi, Tributi alla terra – titolo ispirato dall’omonimo graphic novel del fumettista Joe Sacco – vi terrà compagnia con nuove storie da leggere per (ri)conoscere le disfunzionalità del nostro tempo e provare a trasformarle prima di tutto con nuove parole e nuove immagini.

Tributo alla terra, il graphic novel di Joe Sacco pubblicato da Rizzoli Lizard nel 2020, è la dimostrazione che coi fumetti si possono raccontare storie serie e complesse, come quelle del genocidio culturale che ha indelebilmente segnato la vita delle comunità indigene del Canada settentrionale. Con Tributo alla terra, Joe Sacco, fumettista e giornalista maltese cresciuto in Australia e da anni residente negli Stati Uniti, realizza ancora una volta un reportage di graphic journalism degno del migliore giornalismo d’inchiesta, presentando al grande pubblico la storia illustrata di secoli di soprusi e persecuzioni che hanno plasmato l’assetto sociale e culturale del popolo Dene, una comunità che ancora oggi abita i Territori del Nordovest, un territorio che si estende per più di un milione di km2 nel Canada settentrionale. Tramite un lavoro etnografico profondo e appassionato, Sacco narra le vicende di uno dei Popoli del Nord per i quali la proprietà privata è (era?) un concetto inconsistente, non è mai esistita distinzione tra natura e società, e la terra, in quanto simbolo di nuova vita, dev’essere adeguatamente ringraziata.

“Se torni alla natura dopo tanto tempo, devi trattarla con gentilezza. Non puoi tutto a un tratto scavare buche o darle troppo fastidio. La Terra si prega e si paga”. “Le versi un tributo – spiega Fred – Un proiettile, dell’acqua o del tabacco, del tè. È come far visita a qualcuno. Porti un regalo alla terra” J. Sacco, Tributo alla terra, p.50.

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Quella che Sacco si trova davanti, tuttavia, è anche la storia di una popolazione alle prese con l’infiltrazione insidiosa di un sistema capitalista – di tipo economico ma che ha bisogno della violenza dell’appropriazione culturale per andare avanti – che considera la natura come fonte da cui estrarre, producendo profitto per pochi e restituendo ambienti tossici per chi questa natura la abita. Dai bellissimi disegni di Sacco, emerge un quadro in sei capitoli piuttosto drammatico che ritrae territori non-contaminati e comunità indigene far fronte agli effetti di un’industrializzazione tentacolare che avanza espropriando, espellendo, devastando ma soprattutto disintegrando la storia, la coesione sociale, la cultura di un popolo che per sopravvivere e andare avanti deve necessariamente fare i conti sia con un passato doloroso sia con un presente di cambiamenti radicali.

“Le concessioni che avevano ottenuto per l’estrazione di gas e greggio erano solo per la trivellazione tradizionale. Ma passarono al fracking…” Il fracking lo preoccupa “perché non ne conosciamo gli esiti”. È molto diffidente a causa dei veleni chimici che compongono la miscela che viene sparata nel terreno. “Quello che iniettano nella terra dovrà tornare su da qualche parte”, J. Sacco, Tributo alla terra, p.37.

I luoghi vissuti dai Dene sono bellissimi. Immense distese color ghiaccio che si perdono per chilometri e chilometri, popolate da animali che si cacciano in primavera perché poi col freddo spariscono (parliamo di temperature che raggiungono i 40° sotto zero per intenderci) e disseminate di foreste millenarie il cui legno è sempre servito a costruire, proteggersi, scaldarsi prima dell’arrivo del gas e del petrolio. Ma le terre su cui i Dene vivono sono anche quelle che le multinazionali del gas naturale hanno scelto per espandere i loro progetti di fracking, un processo di estrazione del gas che frantuma le rocce attraverso l’immissione nel sottosuolo di un fluido ad alta pressione, solitamente costituito da un mix di acqua e agenti chimici tossici, cancerogeni e spesso radioattivi. I potenti macchinari del capitalismo estrattivista sventrano le terre indigene con la complicità del governo canadese erodendo pratiche, costumi e conoscenze che i Dene hanno custodito e tramandato per secoli, di generazione in generazione, lontano dai comfort della società occidentale ma anche, soprattutto, dai meccanismi corrotti di un sistema che incentiva la creazione di nuovi bisogni e consumi, di nuovi stili di vita alimentati da tipologie di produzione insostenibili.

“è imbarazzante…ci sono tre diversi tipi di persone in questa città: quelli decisamente contrari al fracking. Quelli come me che dicono: “oh, io seguo la corrente. Qualsiasi cosa succeda, mi ci adattero”. E quelli che dicono: “be’, sì, il fracking crea lavoro. Dai, riproviamoci” J. Sacco, Tributo alla terra, p.37

Com’è consuetudine per un reportage di valore, le numerose interviste condotte da Sacco nel corso del suo viaggio-inchiesta non restituiscono l’immagine di una società che risponde opponendosi in massa al gigante industriale. Il popolo Dene non è un monolite, al suo interno c’è che chi vede l’industrializzazione come il male assoluto, chi lo accoglie con sospetto e chi vi si adegua “perché porta lavoro”. Il conflitto tra occupazione, tutela ambientale e cambiamenti socio-culturali è costante tra le tavole di Sacco proprio perché costantemente presente nella quotidianità dei Dene fin dall’arrivo dei primi europei i quali, attraverso inganni e omissioni, hanno lentamente sottratto terre e diritti, privando i Dene della loro autodeterminazione. La Resistenza, naturalmente, non manca. Ma non è cosa semplice resistere se ti hanno tolto tutto. Non è semplice combattere se la tua comunità è afflitta dalla piaga dell’alcolismo, se i lasciti dell’educazione cattolica nelle residential schools (collegi istituiti con il beneplacito del governo canadese attraverso cui il Canada si è macchiato di crimini sistematici nei confronti delle popolazioni native e solo qualche anno fa sono stati identificati come atti propri di “genocidio culturale”) sono ancora troppo visibili, se i tassi di violenza domestica sono tra i più elevati del paese, se le morti per assideramento – dovuto a un consumo di alcol fuori controllo – aumentano, se l’emarginazione cresce, se le giovani generazioni se ne vanno.

Margaret Jumbo spiega che Trout Lake ha fondato questo ente per trattenere qui le giovani generazioni, specialmente i ragazzi. Raccoglie fondi governativi e appalti per progetti locali. “Ma non funziona. Mi sa che sta andando a rotoli” […] “Molti di noi lasciano la città in cerca di lavoro, io per primo” J. Sacco, Tributo alla terra, p.169.

Come se ciò non bastasse, i Territori del Nordovest sono anche uno tra i luoghi più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Per una regione come quella artica, l’aumento delle temperature comporta una serie di conseguenze che rendono impossibile girarsi dall’altra parte e far finta di nulla. La rabbia è palpabile come la sete di giustizia. I Dene sono tra le comunità meno responsabili della crisi climatica eppure tra quelle costrette a subirne i danni peggiori. Danni non solo ecologici, come l’eutrofizzazione delle acque che allontana le trote e richiama i lucci (predatori) amanti delle acque calde, ma anche sociali. Il cambiamento climatico, infatti, emerge come potente motore di trasformazioni indirette che erodono abilità, pratiche e conoscenze tradizionali, modificando gli stili di vita, il rapporto con la terra, il concetto di collettività.

Nella narrazione che vede i Dene protagonisti di una storia meravigliosa quanto brutalmente segnata dalla piaga del colonialismo e dello sviluppo capitalistico, passato, presente e futuro si intrecciano in modo indissolubile tenuti insieme da un filo sottile ma tenace come tenace è il Popolo, mai passivo, mai impotente, mai rinunciatario. Quella che Sacco sapientemente racconta, mettendo in discussione i principi malati del colonialismo industriale e al tempo stesso interrogandosi sulla genuinità del suo ruolo di etnografo [colonizzatore sotto mentite spoglie?: “«Che differenza c’è tra me e una compagnia petrolifera? Siamo qui tutt’e due per portare via qualcosa” (p.107), si chiede Sacco a un certo punto del reportage], è l’esperienza lunga e tortuosa di una comunità lentamente avvelenata dagli interessi del capitalismo neoliberista che, tuttavia, non ha mai perso la determinazione nella ricerca di un antidoto, di un’alternativa per un futuro da costruire sulla base della preziosa capacità di immaginare il mondo che si vuole, come lo si vuole. Tributo alla terra è la testimonianza cruda, commovente, dolceamara e potente che la ricerca di quest’alternativa non avrà mai fine.   

Joe Sacco (1960) è autore di altri reportage di spessore. Tra questi vi sono: Palestina. Una nazione occupata (Mondadori, 2002) e La grande guerra (Rizzoli Lizard, 2014).

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