Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fedor M. Dostojevskij | Paolo Nori

Per Mondadori quest’anno è uscito Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij di Paolo Nori che gli è valso la candidatura a finalista del Premio Campiello. Per gli amanti dello scrittore russo, quest’anno cade il duecentesimo anniversario di nascita. E, credetemi, leggere Nori che ci racconta Dostoevskij è un incanto. Legge da ragazzo (forse a quindici anni) Delitto e castigo e questo romanzo è come una iniziazione e un’avventura allo stesso tempo. La scoperta è violenta. Quel romanzo, pubblicato centododici anni prima a tremila chilometri di distanza, gli fa sentire il sangue pulsare dentro le vene. Quel romanzo apre una ferita che non smette di sanguinare nemmeno oggi.

«(…) il senso di leggere Dostoevskij io non lo so, so che Dostoevskij, anche se non lo leggiamo, ci ha detto, nelle cose che ha scritto, come siam fatti prima ancora che venissimo al mondo, e poi so, bene o male, cosa è successo a me, quando ho cominciato a leggerlo, Dostoevskij.» (1)

Questo romanzo ci vuole raccontare un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. Paolo Nori ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, la sua attualità sconvolgente, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità che gli fece lasciare tutto per dedicarsi alla letteratura.

Questo libro non ha una trama vera e propria, è una biografia atipica, è una prosa leggera a tratti informale, è una ricca e puntuale documentazione, è una galleria di letture, suggestioni e spunti su tutto, di ricordi, di letteratura, di memorie e di una piaga che si è aperta sotto la gabbia toracica. Questo libro è il racconto dell’incredibile vita di Fëdor Dostoevskij, ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura russa, nuovo Gogol’, aspirante rivoluzionario (scoperto, condannato a morte, graziato e mandato per dieci anni in Siberia a scontare la sua colpa), scrittore spiantato vittima di editori cattivi, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi, che riesce a morire nel momento del suo più grande successo.

Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Dostoevskij, con la sua erudizione, le sue conoscenze letterarie, i suoi giudizi, la serietà del carattere e con tutta la sua unicità in un periodo straordinario della letteratura russa. Emergono però anche ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare, attraverso la polifonia di voci non solo di Nori ma anche di Puškin, di Tolstoj che parla di Dostoevskij, di Nabokov che parla di Tolstoj e di Dostoevskij, le parole di Gogol’, quelle di Bachtin.

«I romanzi di Tolstoj, e di Dostoevskij, sono opere d’arte perché non parlano solo la lingua “superiore dell’arte”, non rispondono solo alle “nobili necessità dell’anima”, parlano di me, delle mie miserie, delle mie paure, delle mie ferite, della mia famiglia, del mio essere solo, senza un babbo, senza una mamma, a cinquantasette anni, un ridicolo, vecchio orfano parmigiano che abita a Casalecchio di Reno.» (2)

Alcuni passaggi, raccontati da Nori, annullano la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere, come pensare che oggi, nel 2021, può andare a dormire nella casa dove Dostoevskij è diventato Dostoevskij, oppure sulle sue insicurezze o sui rifiuti ricevuti alle sue proposte di matrimonio.

«Una mia amica dice che sembra Jovanotti da vecchio.
Che, un po’, è vero: Dostoevskij assomiglia a Jovanotti ma è come se gli mancasse l’allegria, di Jovanotti, sembra un Jovanotti al quale hanno fatto qualcosa di brutto e che è consapevole, che gli hanno fatto qualcosa di brutto; è un Jovanotti orfano, se così si può dire, un Jovanotti orfano consapevole della propria orfanità.» (3)

Paolo Nori

Paolo Nori è laureato in letteratura russa e ha tradotto e curato diverse opere di autori russi. La sua passione e le sue conoscenze emergono da queste pagine, e il lettore viene ammaliato da questa trama – leggendo anche con accento emiliano troncando le ultime vocali di alcune parole. Nel libro c’è molto di più della storia dell’incredibile vita del grande scrittore russo: c’è la sua epoca, i suoi contemporanei e tante riflessioni e vissuti personali di Nori, con il suo solito stile di scrittura che ti cattura e con piacere ti accompagna fino all’ultima pagina senza nemmeno accorgertene. 

Questo romanzo non riguarda solo Dostoevskij, ma anche l’essenza di un romanzo, di uno scrittore e un lettore: di cosa vuol dire quando i romanzi determinano la frequenza dei tuoi respiri, guidano il flusso del tuo sangue, comandano il tuo sistema nervoso.

«E ho pensato che per quelli che leggono i libri, che guardan le mostre, che ascoltano le sinfonie, i libri, i quadri, le musiche che hanno incontrato nella loro vita li hanno aiutati in questa cosa così difficile e così strana, stare al mondo, a essere dei nonostante, a rendersi conto delle loro ferite, dei loro difetti, e ad accettarli, perché, come dice un cantante canadese, è attraverso le crepe che si vede la luce.» (4)

Note

(1) Paolo Nori, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, Mondadori, 2020, pag. 8

(2) Ivi, pag. 156

(3) Ivi, pag. 151

(4) Ivi, pag. 11

 

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