Scatole nere: maneggiare con cura

Scrivere una storia e costruire personaggi ha molto spesso a che fare col decidere quale possa essere la posta in gioco: cosa rischia di perdere o è disposto a perdere il protagonista? Quale pezzo di mondo, che crollerebbe in caso di sconfitta, può diventare un gancio emotivo efficace per il pubblico?

Matteo Romiti, psicologo al suo esordio letterario con Scatole nere (Mondadori), sceglie di non rispondere a queste domande, scrivendo un libro in cui il nero del titolo (e della copertina) è solo la punta dell’iceberg.

Nel mondo raccontato da Romiti, una generica landa desolata dove un virus letale e incurabile (ahimè) ha decimato la popolazione, a nessuno è rimasto qualcosa da perdere: donne e uomini trascinano le loro esistenze in bilico tra le memorie di tragedie passate e un futuro di mera sopravvivenza, sommersi da una natura che è cornice immobile, a mollo in un’eterna foschia grigia e pestilenziale che distorce i contorni delle cose. Non c’è più speranza di recuperare un briciolo della vita di prima, non c’è nessuna possibilità di ricostruzione. Si può solo provare a tenere stretto quello che è rimasto o lottare per ciò che si è trovato lungo la via.

La protagonista del romanzo è una donna che assomiglia a tante altre donne, e nessun personaggio viene descritto in modo approfondito né chiamato per nome: sono zombie al contrario, vivi morenti volutamente generici a cui chi legge può dare le sembianze che vuole. L’unico barlume di umanità rimane proprio nella ricerca di questa identità negata, di una famiglia o qualcosa che vagamente le assomigli.

E poi c’è Goran, un bambino di otto anni con un nome e una biografia: lo sguardo innocente che è comodo indossare dentro a queste pagine così scure, la guida con cui tentare di mettere ordine al caos.

Qualcuno ha accostato Scatole nere al genere new weird, quel misto di fantasy, fantascienza e horror caro tra gli altri a Neil Gaiman; ma, forse complici le suggestioni dell’anno pandemico, l’elemento fantastico rimane ai margini, soppiantato da una distopia sporca, dura e realistica. Romiti gioca con il nostro immaginario, e shakera nel suo cocktail apocalittico le atmosfere di The Walking Dead e La strada di Cormac McCarthy con una dittatura nazi-sanitaria che sa di Fahrenheit 451 ed echi da horror della mente che portano dritti a Shutter Island.

Scatole nere è in sostanza un labirinto – ogni riferimento a Shining è voluto – che procede per blocchi narrativi equiparabili alle scatole del titolo. L’autore, in apertura, ci invita ad aprirle nell’ordine che vogliamo, permettendo così un’esplorazione open world (figlia della cultura videoludica contemporanea) e suggerendo implicitamente che l’uscita dal labirinto non sarà lui a indicarcela.

Emarini10, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons

Dentro alle scatole ci si muove attraverso architetture spazio-temporali a incastro, condotte con una voce sempre al presente che osserva e non giudica; uno sguardo da entomologo, che entra ed esce dai personaggi scegliendo sempre la giusta distanza per analizzarli nel loro ecosistema. È una scrittura quasi scientifica, quella di Romiti: il rapporto di un esperimento condotto sul genere umano dove i dialoghi sono forme retoriche senza punteggiatura appropriata.

Zaenon, CC0, via Wikimedia Commons

Scrivere e pubblicare un romanzo così in questo periodo è un atto di coraggio, certo; ma leggere storie del genere è un ottimo esercizio contro l’abbruttimento a cui la razza umana sembra tendere ogni giorno di più. Indurre la nostra fantasia a immaginare una situazione così nera e tragica, ma perfettamente verosimile, è più salvifico di qualsiasi “andrà tutto bene” scritto sui muri o appeso ai balconi.

Il potere della letteratura “di genere”, in fondo, vive da sempre dentro il paradosso di intrattenere – dal latino “tenere dentro”, come in una scatola – per stimolare un pensiero che vada oltre il nostro ombelico o – direbbero gli anglosassoni – out fo the box, fuori dalla scatola. Perché, citando il risvolto di copertina di Scatole nere, “quello che viviamo determina in modo incontrollabile ciò che diventeremo”.

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