Biblioteca Universitaria di Bologna. Se nemmeno Napoleone riuscì a distruggerci.. (prima parte)

Inestimabilmente preziosa, questa è la formula giusta: la BUB è talmente misteriosa e suggestiva che è stata scelta come una delle scenografie del film Centochiodi di Ermanno Olmi, in seguito – probabilmente come omaggio al regista – la BUB fu locus commissi delicti d’onore per la puntata intitolata “Sangue in facoltà” della serie L’ispettore Coliandro, personaggio televisivo inventato da Carlo Lucarelli (video: minuto 01:25:42).

La BUB è magica, ammirata e conosciuta a livello nazionale ed internazionale, perciò è ancora più difficile comprendere le ragioni della poca cura che, a quanto pare, le riserva l’Università di Bologna. Il paradosso è ancora più inestricabile se si pensa che per anni l’ateneo l’ha corteggiata perché diventasse il suo faro librario, così come i college internazionali più prestigiosi hanno la loro biblioteca ufficiale.

La situazione precaria in cui versa il destino della Biblioteca è ormai noto a tutti, anche perché sempre più allarmati sono gli appelli a cui anche la cronaca cittadina sta dando visibilità. Quest’intervista a Biancastella Antonino, direttrice della BUB, è motivata dalla scoperta di un luogo unico incastonato in via Zamboni, ma è soprattutto spinta dalla necessità di analizzare una realtà complessa che sfugge a chi le passa accanto quotidianamente senza consapevolezza, o peggio, con il sentimento di non poter intervenire o sindacare per la tutela di uno dei nostri più speciali granai pubblici (per riprendere l’espressione di M. Yourcenar e l’approfondimento svolto da Francesca Corno).

Dato che il rapporto tra la BUB e l’UniBo è complicato – nondimeno desiderando indagarlo – occorre fare un passo indietro per raccontare che la Biblioteca non è “universitaria” da sempre: essa era una Biblioteca pubblica nazionale, finché nel 2000 è stata sottoscritta una Convenzione MIBAC che ha creato un doppio regime giuridico. Da quel momento, infatti, l’Istituto è passato sotto la gestione dell’Università bolognese per quanto concerne il profilo amministrativo, mentre il personale – che rimaneva dipendente dal Ministero per i beni e le attività culturali a tutti gli effetti – acquisiva l’opzione per il trasferimento all’ordinamento d’ateneo. Qualcosa, però, non  ha funzionato come avrebbe dovuto.

Torre Libraria nel passato. Disegno di G. Ferri, incisione di G. Rosaspina

Torre Libraria nel passato. Disegno di G. Ferri, incisione di G. Rosaspina

Perciò, all’inizio del 2011, Biancastella Antonino ha deciso di pubblicare sul sito della biblioteca, una Lettera aperta all’Università:

Cara Università, sono trascorsi dieci anni dalla firma della Convenzione tra te e il MIBAC e in occasione di questo “anniversario” la Biblioteca ha pensato di scriverti nella speranza di ottenere finalmente una risposta concreta ai troppi problemi che, aggravandosi col passare degli anni, rendono sempre più precaria la sua sopravvivenza. Dal 2000 l’Istituto è gestito dall’Università sotto il profilo amministrativo mentre il personale dipende ancora adesso dal Ministero per i beni e le attività culturali; non è cambiato nulla, ci risponderai: è vero, e proprio questa situazione è fonte di difficoltà sempre più gravi”.

L’appello che conclude la Lettera indirizzata all’UniBo è molto forte e concreto: “A te, cara Università, sta dunque a cuore la sorte di questa Biblioteca che proprio nel 2011 compie 300 anni di vita? Conosciamo bene le ferite che i tagli alla Cultura hanno inferto anche a te; tuttavia vogliamo credere – e sperare – che l’Alma Mater Studiorum senta la necessità e l’urgenza di prestare attenzione anche a noi, visto che siamo rimasti l’unico caso in Italia di Biblioteca pubblica statale passata dal Ministero della cultura all’Università. E se il risultato di questa sorte dovrà essere “l’estinzione”, allora sarebbe stato meglio lasciarci dove eravamo! Risponderai a questa lettera?”
Ah cominciamo subito con le cose più spinose! No, non abbiamo avuto risposta. Purtroppo.

Può spiegarci l’origine del passaggio della Biblioteca dal Ministero all’Università, rimanendo poi, la BUB, “sospesa” in un doppio regime di competenze amministrative ed istituzional-organizzative?
Tutto iniziò durante il rettorato di Fabio Roversi Monaco, precisamente verso la fine del suo mandato, quando, sulla spinta di una lettera di alcuni professori, tra cui Umberto Eco – nella quale essi chiedevano al rettore come mai l’Università di Bologna, la più antica del mondo, non avesse una Biblioteca universitaria, una biblioteca storica (come, invece Cambridge, Parigi, Berlino, Harvard, et cetera) -, si decise di applicare la norma introdotta nella Legge Bassanini che permetteva alle università di “richiedere il trasferimento delle biblioteche pubbliche statali ad esse collegate” (art. 151 del d.lg. 31 marzo 1998 n. 112, recante Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59).

Un’opzione incoraggiata dal favore accordato al principio di sussidiarietà…
Esatto e questa biblioteca era più che collegata all’UniBo, tra l’altro eravamo ancora nelle sale di Palazzo Poggi, quindi eravamo proprio nell’università. Così, Roversi Monaco cercò di arrivare ad un accordo con il Ministero per il tasferimento della biblioteca all’Università. Dopo il ministro Walter Veltroni, nel 1998, arrivò Giovanna Melandri. La loro linea politica condivisa portò all’emanazione del Testo unico Veltroni-Melandri che accoglieva in sé tutta la precedente disomogenea normativa in materia di tutela del patrimonio, tentando di ripensarla, armonizzarla e attualizzarla nell’ordine di una sempre maggiore partecipazione delle Regioni e degli enti locali alle attività di tutela e di conservazione dei beni; di catalogazione e inventariazione del patrimonio nazionale e di coordinamento degli archivi. Comunque, per il Ministero, furono il sottosegretario pro tempore, l’onorevole Carlo Carli, ed il direttore generale per i Beni Librari le Istituzioni Culturali e l’Editoria, prof. Francesco Sicilia, a firmare la Convenzione che sanciva il passaggio effettivo della biblioteca da statale ad universitaria.

In quell’occasione l’onorevole Carlo Carli dichiarò “E’ lodevole e apprezzabile che l’Università di Bologna, prima fra gli atenei a sottoscrivere un accordo di questo tipo, abbia voluto assumersi questa responsabilità. Ringrazio a questo proposito il rettore che ha saputo mostrare lungimiranza culturale e scientifica. D’altra parte questo accordo va incontro a quanto prescritto dalla legge Bassanini e dalla legge 112 sul decentramento delle competenze a Regioni, Enti locali e istituti di ricerca. Lo Stato rimane comunque proprietario di questo straordinario patrimonio librario e storico-artistico, ma la fruizione verrà garantita grazie alla gestione di cui si farà carico la biblioteca dell’Università di Bologna“. Lei come vide di questa operazione istituzionale e culturale?
Si trattò di un’iniziativa in cui anche io effettivamente credevo, ero convinta che passare ad un’università come quella di Bologna avrebbe significato avere il massimo della valorizzazione e della centralità, anche perché nella Convenzione c’erano diverse rassicurazioni sul futuro della BUB. Mi riferisco, ad esempio, all’art. 7 che prevede l’inserimento della BUB nell’organizzazione universitaria attribuendole la qualifica di “struttura speciale” dell’ateneo, e assicurandole l’autonomia più elevata consentita dall’ordinamento universitario, senza considerare poi quanto disposto dall’art. 3 relativamente ai nostri beni bibliografici e storico-artistici, ossia il fatto che l’UniBo, il Ministero e la regione Emilia Romagna dovrebbero concorrere alla catalogazione e valorizzazione del patrimonio anche attraverso la predisposizione ed il finanziamento di progetti comuni. Infine, e sommamente, l’art. 8, il cui dettato è chiaro nel disporre che nell’ambito del sistema bibliotecario di ateneo, l’università si è impegnata a confermare alla BUB la migliore visibilità scientifica nazionale ed internazionale, eleggendola quale struttura prioritariamente deputata alle molteplici funzioni di biblioteca storica dell’università; biblioteca di storia della scienza; biblioteca professionale; centro di ricerca e di servizi biblioteconomici; biblioteca di cultura generale e di documentazione dell’attività culturale ed editoriale del territorio; biblioteca di supporto alla ricerca e alla didattica universitaria.

Cosa non ha funzionato?
La Convenzione prevedeva una serie di impegni e riassetti burocratici e di gestione, ed anche relativi alla posizione giuridica del personale, tuttavia, gli aspetti più delicati, non furono trattati fino in fondo, molte cose furono lasciate incompiute, specialmente la messa a punto, all’interno del regolamento d’ateneo, di una precisa riorganizzazione interna della BUB, nonché la spinosa questione del personale, il quale, secondo quanto disposto dall’art. 5, avrebbe diritto di esercitare la facoltà di opzione per essere collocato nell’ordinamento dell’università, fatta salva la volontà di permanere nei ruoli del ministero. Con la precisazione che “il personale che esercita la facoltà di opzione viene collocato anche in soprannumero negli uffici del ministero presenti nella città di Bologna”. L’attuazione di questa norma dipende dall’emanazione di appositi decreti del ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, adottati di concerto con i ministri per i Beni e le Attività culturali, del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica e per la Funzione pubblica. Quindi il completamento dell’operazione dipende da una fervida negoziazione che non fu mai realizzata.

Come agirono le amministrazioni rettorali UniBo nel tempo?
Dopo il rettorato di Roversi Monaco, fu eletto Pier Ugo Calzolari che si ritovò questa faccenda che lui stesso definì una patata bollente, in quanto l’ateneo non l’aveva ancora assimilata ed ggi si può dire che non l’ha mai assorbita del tutto. Forse, i vertici d’ateneo non si sono mai resi conto fino in fondo dell’importanza di questa Biblioteca. È iniziata, da subito, una collaborazione col Museo di Palazzo Poggi, ci sono state mostre interessanti, ma imperano per tutti le difficoltà di carattere economico. L’università per accollarsi il personale della BUB avrebbe dovuto fare sforzi economici a cui non si è sentita pronta. Però, sinceramente, non abbiamo mai capito fino in fondo come mai sono state lasciate andare le cose in questo modo. Roversi Monaco continua a ripetere che ci ha nel cuore; spesso gli ho ribattuto provocatoriamente che in realtà ci ha abbandonato.

Attualmente qual è l’assetto della BUB?
Noi che ci lavoriamo rimaniamo dipendenti del Ministero dei beni culturali, tutti, me compresa. Quello che è cambiato non è il lavoro, ma il rapporto,che investe, soprattutto, la direzione e gli uffici amministrativi: per quanto riguarda la contabilità devo attenermi a tutti i regolamenti dell’UniBo. La BUB è inserita nello Statuto d’ateneo perciò ha un Comitato di Gestione e si fa capo al Presidente dello SBA (sistema bibliotecario d’ateneo). Quindi, per quanto attiene al funzionamento ed al bilancio vanno seguite le regole dell’ordinamento dell’UniBo. Invece, per curare l’attività lavorativa del personale si deve fare riferimento al rapporto col ministero, così per le questioni sindacali e contrattuali, per di contrattazione decentrata. Insomma, è una situazione molto più che complessa da gestire.

Si è già rivolta al rettore in carica Ivano Dionigi per vedere come si potrebbe affrontare, finalmente, quanto rimasto incompiuto?
Sì, sono andata insieme ad alcuni colleghi a parlare con l’attuale rettore, il quale ci ha assicurato il massimo dell’interessamento per portare a compimento quest’opera. È un uomo sensibile, è stato un nostro utente, ci conosce come le sue tasche: ha studiato qui, qui ha fatto le sue ricerche essendo un latinista, conosce molto bene i nostri fondi storici.. Nonostante ciò, però, fin’ora sono passati due anni senza che si muovesse alcunché. I problemi intato si fanno sempre più seri e la nostra condizione è sempre più precaria, ormai sono passati quasi dodici anni e il personale si è assotigliato in maniera pazzesca.

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Questa situazione di precarietà ed incertezza come sta degenerando e quali sono le conseguenze?
La mancanza, la riduzione e la vera e propria perdita di personale è molto grave: su un organico di 82 persone, quando io presi la direzione il 31 gennaio del 1998, in servizio ne ho trovate 66. Già allora l’organico complessivo era incompleto. Attualmente, siamo rimasti solo in 28 di cui 4 fanno il part time50%. Siamo meno di un terzo di quelli che dovremmo essere. Gestire una biblioteca, che peraltro nel 1998 aveva un solo ingresso, un’unica sede molto più ridotta di quella odierna, che, ad oggi, conta due accessi, due portinerie, più tutte le moderne sale di consultazione, significa avere un’enorme necessità di manutenzione. Allora, abbiamo dovuto integrare il personale ed il lavoro interno ricorrendo a degli appalti, cc.dd. esternalizzazioni.

Nella Lettera aperta, infatti, è dato conto anche di questa incredibile situazione, incredibile perché non sembra possibile che questa trascuratezza tocchi in sorte alla Biblioteca Universitaria di un ateneo prestigioso come quello petroniano: “il personale della BUB è oggi ridotto a uno sparuto gruppetto di dipendenti che, pur dimostrando una encomiabile buona volontà, non può far fronte a tutte le esigenze connesse ai lunghi orari di apertura e ai molti servizi che sempre la Biblioteca ha offerto e continua a offrire ai propri utenti. Da tre anni a questa parte la gestione delle portinerie, dei servizi di distribuzione e prestito, e in parte la sorveglianza sono affidate a cooperative esterne e a volontari, mentre, a poco a poco, gli uffici si sono svuotati: alcuni dipendenti hanno ottenuto il trasferimento in Istituti dove forse la routine quotidiana è meno irta di ostacoli, molti hanno raggiunto il traguardo della pensione e i pochi che restano non hanno accanto nessun giovane al quale trasmettere la preziosa eredità di un patrimonio di conoscenze accumulato in decenni di vita professionale; cosa accadrà quando anche questi ultimi concluderanno la loro carriera? Il che avverrà già dal prossimo anno”. Come si è arrivati ad esternalizzare e ad appaltare lavoro e servizi senza altre vie d’uscita?
Abbiamo dovuto ricorrere ad esternalizzazioni per poter garantire la semplice apertura della biblioteca! E tutte queste esternalizzazioni sono a carico della BUB stessa, del suo bilancio autonomo. Tra l’altro dovremmo ricevere dall’Università, secondo Convenzione, un finanziamento di circa 900.000 euro erogati direttamente dal Ministero della Ricerca: la BUB, a differenza degli altri dipartimenti di facoltà che hanno una quota che deriva direttamente dalle tasse degli studenti, non dipende dalle entrate dell’Università, sempre per Convenzione i soldi arrivano all’UniBo direttamente dal Ministero della Ricerca e poi ci vengono indirizzati. Questo finanziamento da 900.000 euro ce lo siamo visti decurtare a 600.000 euro, di cui il 40% è speso per appaltare i servizi che non sono coperti con il personale interno. La situazione è pesante.

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E gli investimenti per gli acquisti librari? Sempre sul sito della BUB ho trovato un articolo di Cristiana Aresti che accenna alle altrettante difficoltà che rendono l’economia degli acquisti una vera e propria capacità di risparmio e di pratica strategica certosina..
L’ufficio acquisti per questa biblioteca è importantissimo, perché vanno seguite le uscite editoriali ed i finanziamenti. Fino a due anni fa destinavo, in bilancio, ad acquisti ed abbonamenti circa 200.000 euro. Poi, ho dovuto dimezzare a 100.000 euro, investimento che per una biblioteca come questa è una miseria. Oltre ai volumi scelti, compriamo tutti i manuali adottati dall’UniBo: la collega spoglia letteralmente i programmi, facciamo la lista e li compriamo a tappeto…

I docenti non potrebbero donare alcuni manuali adottati nei loro corsi e di cui spesse volte sono essi stessi gli autori, suscitando il sospetto di speculazione da parte di molti studenti che devono acquistarli?
Purtroppo non succede, non hanno questo riguardo. Addirittura c’è stato un grande aggravio con la legge che impedisce ai librai di fare più del 20% di sconto. Tante biblioteche pubbliche hanno protestato, ma a nulla è valso. A volte mi sento amareggiata quando vedo doni attribuiti ad altre biblioteche o a piccole facoltà, che non hanno nemmeno il posto in cui tenerli, e lo fanno con alla Biblioteca Universitaria. Il perché non lo capisco: abbiamo avuto, nei secoli, nell’Ottocento, tantissime donazioni, lo stesso fondo Pietro Ellero ci è pervenuto grazie al lascito del professor Brini, docente di giurisprudenza. Fino al Novecento, anche durante il fascismo, sono stati fatti vari lavori. Porto come esempio la costruzione dei magazzini nuovi, la cosidetta Aula Seconda, che per per quei tempi era un magazzino tecnologicamente avanzato, in cui furono montate le scaffalature Lips Vago in ferro, particolarmente adatte alla conservazione rispetto alle tradizionali in legno..

meccanismo_librarioAlle spese, credo di poter affermare che si vada ad aggiungere una altrettanto cospicua voce in bilancio consistente nel budget da destinare alla manutenzione dei luoghi: penso alle sale ed agli arredi storici come quelli dell’Aula Magna ed agli archivi dei fondi inestimabili, ma penso anche alle moderne apparecchiature tecnologiche come l’impianto meccanico automatizzato della Torre Libraria…

La manutenzione di una biblioteca come questa è esosa. Solo la neve di quest’inverno ha fatto penetrare nel tetto infiltrazioni d’acqua e non so quanto ci verrà a costare. Questa difficoltà economica ci attraversa, dalle cose più banali ai mobili più pregiati. Quest’anno, ad esempio, ho messo in bilancio circa 5000 euro per cercare di creare un fondo spesa destinato a riparazioni e altre necessità di questo tipo. La Torre, poi, rappresenta il momento in cui il ministero, in cambio delle sale storiche occupate dalla BUB e date all’università, ottenne la Torre, uno scambio che risale ai fondi FIO. Si trattò di un Progetto avveniristico: era la prima volta che un sistema completamente automatizzato veniva progettato ed impiegato per riporre libri. L’unico tentativo dello stesso genere era stato sperimentato in Francia, ma l’apparecchiatura, che era comunque di dimensioni molto più piccole, fu poi dismessa e smantellata. La BUB è quindi l’unica ad averla installata ed in attività.

(l’intervista continua qui)

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