Santa Teresa di Lisieux, un ritratto di Ida Magli

Sainte-Thérèse de Lisieux è stata nominata dottora della Chiesa – la più giovane tra tutti i canonizzati (morì prima di compiere venticinque anni) – una domenica de 1997. Precisamente, il 19 ottobre di quell’anno Giovanni Paolo II dichiarò pubblicamente: “a nessuno sfugge che oggi si sta realizzando qualcosa di sorprendente. S.Teresa dì Lisieux non ha potuto frequentare una università e neppure studi sistematici. Morì in giovane età, e tuttavia da oggi in poi sarà onorata come Dottore della Chiesa, alto riconoscimento che la innalza nella considerazione dell’intera comunità cristiana, ben al di là di quanto possa farlo un titolo accademico”.

La storia di Teresa è semplice ed al contempo controversa: nata nel gennaio del 1873, in una famiglia borghese di commercianti di tessuti, crebbe nella provincia francese insieme ad altre quattro sorelle. A cinque anni perse la madre, Zélie Guérin, malata di un tumore non curato al seno. La sua infanzia fu, dunque, segnata dalla perdita e dal forte attaccamento per la sorella maggiore Pauline, proiezione dell’amore materno. Anche quest’affetto incontrò la disperazione dell’abbandono, poiché Pauline decise di entrare in convento. Il sogno della vita consacrata era stato espresso anche dai genitori, tuttavia essi si votarono al matrimonio ed il loro desiderio fu realizzato dalle figlie, nessuna esclusa. Dopo Pauline, infatti, anche la secondogenita Marie fece ingresso nel monastero delle carmelitane di Lisieux.

Così, tra maturità ed immaturità, vocazione e solitudine, tra infanzia ed adolescenza, a soli quattordici anni, Thérèse – Martin all’anagrafe – ispirandosi a Santa Teresa d’Avila, chiese di poter diventare novizia. Troppo piccola per i canoni stabiliti dalla Chiesa gerarchica, il vescovo di Bayeux le negò il permesso. Convinta della sua abnegazione profonda, convinse il padre ad intraprendere un viaggio a Roma per incontrare il Pontefice Leone XIII. Per l’occasione – capitale per il suo futuro – decise di raccogliersi i capelli in uno splendido chignon che le conferisse esternamente l’aspetto serio ed autorevole, speculare alla realtà interiore dei suoi propositi; un gesto simbolico di autonomia, risoluta com’era, a fare una cosa che era assolutamente proibita: rivolgere la parola al Papa durante l’udienza concessa ai pellegrini francesi. Una ragazzetta di quattordici anni rompe all’improvviso il silenzio reverente del pubblico davanti all’anziano Leone XIII chiedendogli in ginocchio il permesso di entrare al Carmelo.

A quindici anni compiuti, il 9 aprile del 1888, Teresa entrò nella “beata prigione del Carmelo”: un piccolo monastero sconosciuto in cui una ventina di religiose (tra cui le sue due sorelle maggiori) seguivano la regola riformata di Santa Teresa d’Avila.

Soeur Geneviève (Céline), Mère Agnès (Pauline), prieure en exercice, Mère Marie de Gonzague ancienne prieure, Sœur Marie du Sacré-Coeur, l’aînée des quatre sœurs Martin carmélites (1894). Tratta da crc-resurrection.org

In un passo autobiografico, Teresa scrisse: “Io sento dentro di me la vocazione di sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire. [… ] Nonostante la mia piccolezza vorrei illuminare le anime come i profeti, i dottori…”, secondo questa confessione, Giovanni Paolo II ha scritto di lei definendola “apostola degli apostoli”.

Le narrazioni teologiche e laiche intorno alla vita di questa giovane donna, dal suo dramma umano alla sua trascendenza canonizzata sono abbondanti e coinvolgono anche i profili critici del pensiero che fonderebbe il messaggio teresiano sulla “scienza dell’amore divino”. Filosoficamente indagando, Simone Weil si dichiarò in disaccordo con l’analisi di Teresa in merito alla Grazia divina: l’amore di Dio – secondo Weil – non è riducibile ad una concezione troppo intimistica e personale, essendo piuttosto strettamente legato all’amore per il prossimo. Ma Simone era un’alpinista del pensiero, guidata dalla sua rigorosa intransigenza morale, alla ricerca disperata della verità assoluta, nulla concedendo ai suoi interlocutori/interlocutrici, veri o potenziali che fossero (cfr. Gianfranco Bertagni).

La personalità e l’iconografia di Teresa sono state riprese anche dal pensiero contemporaneo: Gianfranco Lamendola ha definito la sua riflessione come il mistero vertiginoso della Grazia. L’epifania teresana “échappe” (sfugge) come ha dichiarato Jean-François Six dialogando con René Laurentin a proposito delle poesie e dello slancio della santa, arrivando a paragonarla al genio di Picasso nel suo periodo blu: un’esplosione di energia che spezza le catene del XIX secolo, allo stesso modo “on sait la profondeur de Thérèse sans la saisir vraiment..” (si sa la profondità di Teresa senza arrivare ad afferrarla veramente. In “Verse et Controverse: Le Chrétien En Dialogue avec le Monde”).

Tra i testi di approfondimento, quello più lucido e rispetto della realtà mistica e (a)confessionale della vicenda di Santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo mi pare la biografia scritta da Ida Magli, docente di antropologia e saggista, impegnata nella scoperta politica della spiritualità, soprattutto, con un occhio d’attenzione per la storia laica delle donne religiose.

“Santa Teresa di Lisieux. Una romantica ragazza dell’Ottocento” (ed. Rizzoli, 1984), propone la figura di Teresa sotto una luce diversa – non banalizzata all’icona rassicurante del mito “santa delle rose” – piuttosto concentrata a spiegare come i suoi scritti e, ancor prima, le sue azioni siano state lette in modo semplicistico sulla falsa riga di una devozione infantile alle virtù emblematiche del martirio e del sacrificio della vittima virginale esemplare, allo scopo politico ecclesiale di “normalizzare”, assolutizzandolo, il suo cammino, offuscandone le premesse e le folgorazioni anticonformiste.

Ida Magli non confuta l’adesione di Teresa all’ideale femminile beatificato in opposizione alla schiavitù affettiva e morale riservata alle donne dell’epoca, ma fa un passaggio più alto: scorge nella figura di Teresa l’autrice di un’opera d’arte simbolica, Teresa è prima di tutto simbolo di sé stessa, come ne La Tomba di Antigone di Maria Zambrano. Entrambe, due fanciulle sulla soglia del mondo istituzionale con le sue leggi, in una posizione al limite dell’entrata in una dimensione separata dal mondo; entrambe perfetta rappresentazione o ri-presentazione (cfr. Maria Inversi, in Antigone e il sapere femminile dell’anima, ed. Lavoro, 1999) della realtà della vita.

«io voglio credere»

 “So bene che la vita non è che un sogno.. ma in questo sogno io voglio essere tutto. Senza dubbio questi tre privilegi sono ben la mia vocazione, carmelitana, sposa e madre, tuttavia io sento in me altre vocazioni, sento la vocazione del guerriero, del sacerdote, dell’apostolo, del dottore, del martire

Teresa è figlia del suo tempo, di un Ottocento che punta su un eroismo immolato alle appartenenze. E Teresa, a suo modo, nell’interdetto femminile insegue la strada dell’infinito come Giovanna d’Arco (che Teresa definisce ‘sorella‘), quindi, Teresa non ha scelta, nel momento in cui cerca disperatamente la sua unicità: essere Teresa nel mondo, è costretta a fuggire, a sottrarsi al destino comune, diventando l’immagine ideale, assoluta, che il mondo vuole. Teresa farà, dunque, del sogno la realtà e della realtà un sogno; una realtà vissuta tutta dal di dentro, in cui ogni negazione assume il segno positivo divento vera, concreta.

«il genio della piccolezza»

 “Non capisco il ritiro che faccio, non penso a nulla, in una parola sono in un sotterraneo pieno di oscurità. Accetterò di camminare tutta la mia vita per la via oscura che sto percorrendo, pur di arrivare un giorno al termine della montagna dell’amore, ma credo che questo non avverrà mai quaggiù

È la stessa Teresa a confessare in una lettera alla sorella Pauline la sua consapevolezza di non avere la vocazione con allusioni ad una vita interiore priva di fede. Teresa, dunque, si è sbagliata e lo sa, fin dal primo momento. Ma proprio perché non le è possibile nessuna altra strada, nessuna grandezza, nessuna ‘vita’ che sia adeguata ai suoi ‘desideri immensi’, a quegli ‘orizzonti sconfinati’, a quelle ‘lontananze infinite’, Teresa rimane sola con sé stessa e fa della sua giornata, dei suoi gesti, ‘piccoli’ gesti quotidiani, del suo corpo, della sua malattia, il campo di battaglia dove si rivelerà chi vince e chi perde.

la confessione come genere letterario 

Un altro spunto che mi ha colpita come traccia da approfondire è lo stile con cui è Teresa, negli ultimi anni di vita, durante il calvario della tisi che la consumava – su richiesta della sorella Pauline – compose il manoscritto autobiografico “Storia di un’anima”. Non mi sembra lasciato al caso nemmeno il genere di quest’ultima opera: la confessione. Nel 1943, la filosofa spagnola Maria Zambrano ragionò su La Confésion como género literario portando all’attenzione come, nella cultura occidentale, si tratti del luogo e della forma di espressione propri dell’individuo in crisi per aver avvertito il terribile abisso spalancato dall’inimicizia fra la ragione e la vita e dalla loro eventuale irriconciliabilità. Come ci tramanda S. Agostino, la confessione è parola a viva voce, capace di manifestare e restituire i frammenti dell’esistenza personale e la sensazione di essere frammenti incompleti. Così, attraverso la confessione – che è verbalizzazione del risveglio dell’inconscio – l’individuo in crisi cerca sé stesso e, forse, va incontro alla sua conversione spirituale (anche aconfessionale).

Teresa sembra confessarsi, lasciando ai posteri un “diario” che è memoria del suo tentativo di trasformare odio in amore, e l’amore puro in amore mediatore tra anima e coscienza e che diviene amore per capire, amore per accogliere, amore per conoscere (cit. Alessandra Riccio).

Innamorare la vita

Teresa non poteva, da sola, in quel tempo, arrivare all’amore per scegliere, perché per costruire un passaggio di libertà anche per altre, è dovuta prestarsi come eco del grido del sapere dell’anima a cui ha dato alfabeto ed immagini.

Un alfabeto che Ida Magli ci permette di ascoltare e vedere, per rivelare la vera misura dei significati che si celano dietro allo sforzo personale di Teresa che è riuscita ad arrivare fino a noi, eroicamente, permettendoci di andare oltre nella liberazione del sé in relazione al mondo ed alla storia che ci è stata consegnata e che consegneremo, con gli strumenti della nostra epoca: “la vita deve essere conquistata dalla verità e questa conquista può essere realizzata solo innamorando la vita, vincendola senza suscitare rancore, altrimenti la vita stessa si dichiarerà in ribellione”.

Phcredit: www.pelerin.com

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