Sentirsi a casa nello spazio. Un’ora con Samantha Cristoforetti

Samantha Cristoforetti è stata invitata dai MagazziniOz in occasione dell’uscita nelle sale del documentario “AstroSamantha. Una donna record nello spazio”.
I MagazziniOz stanno al centro di Torino e sono un luogo fatto di storie e di idee.  Nel pomeriggio organizzano degli incontri chiamati “Passaggi” che coinvolgono personalità da ogni campo della scelta e dello spettacolo. Non è un posto per monologhi studiati o interviste concordate: gli ospiti se la devono vedere con i bambini di Torino e con la loro voglia di saperne di più.
Questa volta sono riuscito a intrufolarmi anche io, e questo è quello che sono riuscito a carpire, la mia personale Guida Galattica.
Ringrazio i MagazziniOz e il mio amico Jacopo “Jack” Naldi per avermi permesso questa esperienza e Silvia Cannarsa per le foto che mi ha gentilmente prestato.

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"Io voglio fare l’astronauta. Essere la prima, la seconda o la decima donna non mi interessa."

“Io voglio fare l’astronauta. Essere la prima, la seconda o la decima donna non mi interessa.”

Fa caldo dentro i MagazziniOz. Una bella giornata di primavera. Ma il sole non si vede, sta da qualche parte dietro la finestra. Un puntino giallo.
E poi c’è Samantha Cristoforetti, che il sole, l’universo e tutto quanto li ha conosciuti da un’altra prospettiva, prima donna italiana a partecipare a una missione internazionale.
“AstroSamantha. Una donna record nello spazio”, questo è il nome scelto per il suo documentario, nelle sale dal 1 marzo. Una definizione che alla Cristoforetti sta stretta: «I record sono cose che lasciano il tempo che trovano. Per gli atleti un record è importante perché è la misura del loro valore, per noi è completamente diverso. Io voglio fare l’astronauta. Essere la prima, la seconda o la decima donna non mi interessa».

Inutile chiedere alla Cristoforetti di parlare di pari opportunità: «Quando sento questi temi penso ai mondiali di calcio, dove in Italia abbiamo sessanta milioni di C.T.
Tutti quanti sperimentiamo le differenze di genere nella propria vita e per questo ci sentiamo tutti esperti. In realtà credo sia un problema sociologico, e per dire qualcosa con cognizione di causa bisognerebbe uscire dai particolarismi personali. E invece sento dire tante banalità, tante stupidaggini, come se le donne fossero tutte uguali, avessero tutte gli stessi problemi, quando invece abbiamo tutte caratteri e obiettivi diversi. Per questo faccio fatica a rispondere a questo tipo di domande, per poter parlare di certe tematiche bisognerebbe avere le competenze adeguate».

Samantha Cristoforetti ha trascorso 200 giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale durante la missione Futura. Ma come si fa a intraprendere la carriera di astronauta?
Ovviamente non esiste un’Università per diventare astronauta. Prima scegli la tua carriera, la tua professione. Per essere qualificato e poterti proporre come astronauta ci sono due strade tipiche: la formazione tecnico-scientifica, di stampo ingegneristico o medico, o più tradizionalmente la carriera da piloti. Il mio percorso è un misto tra queste due aree: ho preso prima la laurea in ingegneria, poi sono entrata in Accademia aeronautica diventando pilota militare e infine sono stata presa dall’Agenzia Spaziale Europea come astronauta. Magari in futuro ci manderemo sociologi, giornalisti e artisti. Sarebbe bello.
A fare la differenza sono l’esperienza internazionale e la tua voglia di metterti in gioco per vivere esperienze diverse in ambienti completamente differenti tra loro. Conta anche l’attitudine allo sport, le attività che fai oltre allo studio.

Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere questo percorso?
Oltre alla formazione è importante l’esperienza all’estero. Do per scontato l’importanza dell’inglese, ma per la mia generazione è fondamentale sapere il russo, visto che lavoriamo costantemente con loro. Magari per il futuro sarà importante il cinese. L’esperienza internazionale in contesti multiculturali è fondamentale per questo lavoro perché ormai tutti i programmi spaziali sono internazionali.
Inoltre bisogna avere il coraggio di uscire dalla comfort-zone, dalla comodità dell’ufficio. Prendo l’esempio di alcuni miei colleghi che hanno lavorato per anni in Antartide o nelle piattaforme petrolifere al largo del Kenya, lavorando in contesti difficili e ristretti insieme a tante altre persone.

"Magari in futuro manderemo nello spazio sociologi, giornalisti e artisti. Sarebbe bello."

“Magari in futuro manderemo nello spazio sociologi, giornalisti e artisti. Sarebbe bello.”

Non è una strada facile, insomma.
No, assolutamente.  Ci vuole anche fortuna. Bisogna trovare al momento giusto una selezione per diventare astronauta. A me è successo nel 2009, mi sono proposta per questa selezione dopo essermi formata come pilota militare. Sono stati anni di addestramento intenso. Era l’inizio della mia carriera militare, e non era semplice abbandonarla visti i sacrifici. Ma diventare astronauta era il mio grande sogno, non ho mai avuto dubbi perché era quello che volevo fare. Ero disposta a rinunciare a qualunque cosa per fare l’astronauta. Spero di tornare presto nello spazio.

Quando hai deciso di diventare astronauta?
È un sogno che ho da quando ero molto piccola. Non è qualcosa che scegli con consapevolezza, è come se ci fosse qualcosa che sceglie te. O almeno per me è stato così. Mi sono ritrovata con questo fortissimo desiderio, e mi sento fortunata per questo.

Cosa stai facendo in questo periodo?
Lavoro al Centro Addestramento Astronauti a Colonia sui programmi post-azione spaziale. Questo è il momento di mettere le basi, di fare proposte concrete da parte degli stati membri per tornare, ad esempio, sulla Luna. Si parla molto di Marte perché va di moda, anche per il film The Martian. Certo che tornare su Marte per recuperare Matt Damon non mi sembra una grande idea. Dobbiamo consolidare le nuove tecnologie, abbiamo tante cose da imparare e da capire su un ambiente molto diverso da quello delle stazioni spaziali, e la Luna è ideale visto che è anche vicina a noi, al contrario di Marte.
Sto anche imparando il cinese perché stiamo intrattenendo delle collaborazioni con la Cina. Ci piacerebbe allargare la cooperazione internazionale anche a loro. Spero di imparare in tempi brevi per poter contribuire a questo processo.

Che esperimenti fate in una base spaziale?
Ci sono due grosse aree: le scienze della vita e le scienze fisiche. Alle scienze della vita appartengono tutti i processi di cambiamento del corpo umano in assenza di gravità. Ci sono vari effetti negativi, come la debilitazione ossea, visto che non si usano i muscoli, o come la debilitazione immunitaria. Il sistema immunitario degli astronauti è completamente sballato. Sono cose abbastanza intuitive, ma mentre prima ci si fermava a studiare il sistema, adesso abbiamo i mezzi per addentrarci all’interno della cellula. Questo serve per aiutare i futuri astronauti e per capire come funziona il corpo umano e come si adatta. Stiamo studiando se l’adattamento si trasmette alla generazione successiva o se è un fenomeno temporaneo. Non ci sono soltanto adattamenti a livello di DNA ma anche epigenetici.
Le scienze fisiche, invece, riguardano tutti quei fenomeni dove gli effetti di gravità mascherano altri processi. Togliendo la gravità possiamo capire meglio questi fenomeni.

Le domande più interessanti, come sempre, sono quelle dei bambini. Uno di loro, ad esempio, si chiede: ma come si fa a bere nello spazio?
In realtà, l’atto di inghiottire un liquido o un solido sono abbastanza simili. Inghiottire, deglutire, mandare il cibo nella direzione giusta funziona comunque, anche nello spazio. Tutta una questione di meccanica, di valvole. Se ti mettessi a testa in giù, potresti comunque mangiare o bere. Ma non ci provare, non mi sembra il caso!
Il problema è dove contenere i liquidi. Ovviamente non possiamo versarli. Li teniamo in buste sigillate. Ci sono dei contenitori d’alluminio vuoti, con scritto acqua. Poi li attacchiamo ad un contenitore d’acqua, con una semplice interfaccia, e questa busta si riempie. Per bere utilizziamo una specie di cannuccia che attacchiamo da questa busta. L’importante è chiudere la cannuccia, specialmente se la busta non è vuota.

Come si svolge una giornata dello spazio?
Sono tutte un po’ simili tra loro. Ci si sveglia tra le 7 e le 7:30. Il bello è che già stai al posto di lavoro, non ti devi neanche muovere. Il lavoro formalmente comincia con una conferenza di pianificazione, in cui gli astronauti si mettono in contatto con Houston per fare il punto della situazione. Serve per la gestione e la risoluzione di eventuali problemi. Dopo ci sono contatti con i vari centri di controllo per la missione spaziale, da quello americano a quello europeo, fino a quello giapponese e a quello russo, che lasciamo volontariamente per ultimo perché i russi parlano sempre un po’ troppo.
Quando inizia la giornata vera e propria, ogni membro ha la sua agenda giornaliera. Alcuni partecipano a degli esperimenti, altri fanno manutenzione. Poi ci sono i collegamenti con la Terra, specialmente con gli studenti universitari che sono interessati a fare domande specifiche. Spesso arrivano rifornimenti dalla Terra, che recuperiamo tramite un braccio robotico. Le giornate peggiori sono quelle di supporto alle passeggiate spaziali. Sono le più complesse, perché bisogna seguire tutte le procedure di sicurezza e ci vogliono dalle cinque alle sei ore di lavoro.

E cosa fate, invece, nel tempo libero?
Non che ce ne sia moltissimo, perché ci fanno lavorare parecchio! Molti guardano dei film. C’è la possibilità di farsi mandare qualsiasi tipo di film dalla Terra. Basta chiedere al Centro di Controllo a Terra e te lo mandano in un paio di giorni. Io non ne ho guardati moltissimi, perché ho tutto il resto della mia vita per farlo. Soltanto qualche volta, quando la sentivo come una bella occasione per stare insieme agli altri. Abbiamo guardato Avatar, Gravity… Io, personalmente, ho portato con me alcuni libri a cui ero affezionata. Ma la mia passione più grande era fare foto e video per condividere quello che facevo e cercare di spiegarlo a chi non è molto informato su questi temi.

I tuoi 200 giorni sono stati seguiti da praticamente tutta Italia. Tra Social, internet e televisioni, abbiamo imparato a conoscerti e a conoscere la tua missione. Pensi che questo tipo di narrazione possa veicolare un maggiore interesse verso l’astronomia?
Lo spero. La nostra attività è rivolta a quello. Ovviamente è un modo facile per catturare l’attenzione, perché il volo spaziale è qualcosa che affascina e in Europa è molto sentito l’interesse nazionale per il proprio pilota che va in missione nello spazio.

"Vedere la Terra da lassù è stata un’esperienza estetica fortissima. Credo che sia paragonabile, come forza, a ciò che sente chi scala l’Everest e finalmente può guardare in basso."

“Vedere la Terra da lassù è stata un’esperienza estetica fortissima. Credo che sia paragonabile, come forza, a ciò che sente chi scala l’Everest e finalmente può guardare in basso.”

Quando hai finalmente cominciato la tua missione, lo spazio e la Terra erano come le avevi immaginate?
Guarda, mi ha fatto la stessa domanda la mia psicologa. Considera che ogni astronauta ha uno psicologo che lo segue prima e dopo la missione. Io le ho risposto spontaneamente che non lo so proprio cosa mi aspettavo. Lei si è messa a ridere e ha detto che è proprio una risposta da Samantha. Prendo le cose come arrivano, senza pensare a come saranno. Tanto è inutile immaginare quello che succederà. Non nego che vedere la Terra da lassù è stata un’esperienza estetica fortissima. Credo che sia paragonabile, come forza, a ciò che sente chi scala l’Everest e finalmente può guardare in basso.

Hai mai avuto nostalgia di casa?
No, davvero. Mi sono goduta ogni singolo giorno, perché sapevo che il mio tempo nello spazio era limitato e che sarei tornata presto a casa. Inoltre sono poco nostalgica di mio, perché fin da piccola, da quando andavo in collegio, sono stata abituata a spostarmi. Sono cresciuta in un albergo, dove ogni due settimane avevo amichetti nuovi perché facevo amicizia con i figli di chi veniva in vacanza. Fin da piccola ho avuto l’abitudine di spostare le mie radici e di sentirmi a casa subito dove mi trovo.

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