Il “modello sovietico”: Glasnost, Perestroïka e dissoluzione dell’URSS

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(La fine dell’URSS vista dal caricaturista francese Pancho nel numero speciale dell’aprile 1989 dedicato da Le Monde su “L’URSS e la perestroïka”)

Alla fine degli anni Settanta, a causa dell’intrinseca debolezza della sua economia, l’U.R.S.S. non è più in grado di assicurare quell’aumento lento ma costante del tenore di vita e quell’ideale di piena occupazione che erano stati i fondamenti del consenso interno. Inoltre, l’urbanizzazione e il crescente tasso di scolarità hanno considerevolmente aumentato i bisogni sociali, che le disfunzioni generalizzate del sistema non consentono di soddisfare.

L’invasione dell’Afghanistan rappresenta una fuga in avanti che è il frutto di una pericolosa miopia politica.

L’avvento di Mikhail Gorbaciov segna una svolta decisiva. Consapevole dell’impossibilità di coinvolgere la società civile in una rinascita economica senza un clima realmente libero che renda credibile il progetto riformista, Gorbaciov punta tutte le sue carte sulla liberalizzazione politica. La libertà di stampa, concessa con qualche esitazione, diventa subito un pilastro intoccabile grazie all’impegno di lettori e giornalisti.

Viene dato nuovo impulso alla ricerca storica su un passato doloroso: le falsificazioni sono smascherate e le vittime riabilitate, i detenuti politici vengono rilasciati dai campi di prigionia e dai manicomi. Le elezioni legislative permettono un riavvicinamento dei sovietici alla politica, mentre si costituiscono centinaia di associazioni e partiti. La prima elezione presidenziale a suffragio universale nella storia russa vede la vittoria di Boris Eltsin. Il mutamento è di rilievo: la società civile reclama per la prima volta la sovranità, opponendosi sia alla teocrazia zarista che all’ideologia “scientifica” del regime sovietico.

Ma il processo evolutivo è lento: i progressisti di ieri sono i conservatori di oggi, e il campo di coloro che nel 1985-1986 avevano sostenuto la perestojka si spacca. Gorbaciov resta fedele alle convinzioni comuniste e ritiene ancora che il sistema possa essere riformato dall’interno, ponendosi così in contrasto con i movimenti democratici di ispirazione più radicale. Nel contempo, il programma economico della perestojka fallisce, a causa dell’eredità catastrofica del collettivismo, ma anche per la paura del mercato libero e per l’assenza di un apparato statale efficiente.

Il progetto Gorbaciov di un nuovo Trattato dell’Unione finisce per convincere la “destra” che egli è incapace di frenare il movimento di democratizzazione e le spinte centrifughe. I conservatori decidono, quindi, di tentare un colpo di stato, credendo che l’impopolarità di Gorbaciov sia sufficiente per assicurarne il successo. Ma il putsch dell’agosto 1991, mal organizzato, compiuto nella più completa incomprensione dell’evoluzione della società russa, soccombe di fronte alla strenua resistenza di un pugno di democratici e grazie alla neutralità di una parte della forze armate. Gorbaciov torna al Cremlino, ma è ormai privo di un reale sostegno politico: i democratici non hanno più bisogno di lui.

I sanguinosi conflitti nazionali e religiosi scoppiati in varie parti dell’Unione hanno aperto nuove ed ardue difficoltà: il rispetto dell’autodeterminazione (nel Nagorno-Karabakh a maggioranza armena) è in contraddizione con il rispetto dell’intangibilità delle frontiere (quelle dell’Azerbaigian) e lo stesso principio del suffragio universale rischia di impedire il rispetto dei diritti dell’uomo, come avviene nelle repubbliche asiatiche e musulmane, dove l’apparato del partito ha mantenuto il potere oppure è stato rovesciato dai fondamentalisti islamici.

L’agricoltura russa resta arcaica, il parco industriale necessita di un urgente rinnovamento, l’economia soffoca sotto un ingente debito con l’estero, mentre l’inflazione aumenta più dei salari e la disoccupazione cresce vertiginosamente.

La C.S.I. – composta dalle vecchie repubbliche dell’U.R.S.S. meno i paesi baltici e fino al 1994 la Georgia – assume così sempre più i tratti di uno stato del terzo mondo.

Fin dal gennaio 1992 inizia in Russia l’applicazione di un drastico piano di liberalizzazione e privatizzazione. Ad esso si accompagna però un processo di iperinflazione che rende più difficile governare l’economia.

Fra il presidente russo Elstin (che gode dell’appoggio internazionale) e il Parlamento russo (la cui maggioranza è contraria alla liberalizzazione dei prezzi e aspira a una politica internazionale più decisa), si apre un drammatico confronto, che si snoda lungo gran parte del 1993.

Il momento culminante della crisi è nel settembre-ottobre 1993, quando dopo un ennesimo scontro con il Parlamento, Elstin ne decreta lo scioglimento. Numerosi deputati, con il presidente del Parlamento Khasbulatov, restano asserragliati all’interno del palazzo, aiutati da alcuni reparti armati. Elstin manda l’esercito a snidare i rivoltosi.  Il Parlamento che esce dalle successive elezioni vede una battuta d’arresto dei riformisti. La Russia rioccupa ben presto un ruolo trainante nella CSI e partecipa attivamente alla politica internazionale.

I conflitti nel Caucaso si aggravano in quegli anni. In Cecenia (una regione autonoma che fin dal 1991 si era dichiarata indipendente) si riaccende la guerra civile, che tocca il culmine con sanguinose battaglie nel 1995-1996. Si giunge, infine, un a un accordo per il ritiro dei Russi, nonché per i diritti dei Ceceni all’autodeterminazione (nel 2001). Alle elezioni del 1996, Elstin è confermato presidente.

Photocredit: www.gazzettadellasera.com

 

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