Mitopoiesi di un enciclopedista-esploratore ante litteram: Luigi Ferdinando Marsili

Nel 1658, a Bologna, nacque Luigi Ferdinando Marsili. Di nobile famiglia, sin da giovane viaggiò senza posa per tutta Italia: andò a Napoli, salì sul Vesuvio. Poi, si spinse oltre: nel 1679 arrivò a Costantinopoli capitale dell’Impero Ottomano, durante il ritorno compilò, attraversando la Penisola Balcanica, Osservazioni intorno al Bosforo tracio o vero canale di Costantinopoli.

Finché, a ventiquattro anni, il giovane Marsili si arruolò volontariamente nell’esercito austriaco al servizio di Leopoldo I (Imperatore del Sacro Romano Impero). Si trasferì, prima, nelle terre del Danubio e andò poi in Germania; a quel punto fu il suo grado di generale a permettergli di viaggiare costantemente per ragioni di servizio, soprattutto alla volta di spedizioni militari in Oriente. Così, parallelamente, alla sua carriera marziale, egli, con intuito ed analitico spirito d’osservazione, si impegnò ad approfondire sperimentalmente i suoi studi naturalistici, geografici ed archeologici di valore scientifico e storiografico: raccolse dati per un’imponente opera sullo studio del Danubio e sull’area balcanica corredata da apparati iconografici e mappe per la navigazione; pubblicò un saggio di fisica che è considerato il testo fondante della moderna oceanografia.

museopalazzopoggi.unibo.it

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Nei suoi testi non mancano mai le illustrazioni, dai fondali delle acque solcate alle altre manifestazioni della natura; nacquero così raccolte di erbari, studi di botanica e bestiari: sono famose le 22 tavole con disegni di uccelli fatti ritrarre con la massima verosimiglianza, senza contare i Pesci che nascono nel Danubio e volatili che vivono lungo d’esso, diligentemente delineati ed incisi in tavole. Insomma, proprio come Walter Dias, il protagonista giramondo de L’eredità dell’assente della romanziera portoghese Lidia Jorge, Marsili voleva riprodurre la natura, imitarla in tutto ciò che vedeva in tutto ciò che incontrava, perché non rimanesse solo nella sua memoria, perché potessero contemplarla tutti, immaginarla e sognare.

dalla Collezione Marsiliana

dalla Collezione Marsiliana

Non trascurò di testimoniare tutte le lingue diverse che ascoltò e di descrivere i costumi locali: De turcarum vestitu, ad esempio, raffigura gli abiti della cavalleria turca, turbanti colorati delineati a penna. Tra l’altro portò con sé in Italia un esemplare di Camisia, un grande foglio ricoperto di formule magiche , che i guerrieri ottomani riponevano sotto le divise per essere protetti dai colpi nemici. Stravagante immaginare al primo contatto di Marsili con il caffé: scrisse di suo pugno Bevanda asiatica alla fine del 1600 in cui tratta l’uso dell’oro nero, per la prima volta, come bevanda e non più come medicinale.

Una delle opere più esotiche, conservate nelle teche di ciliegio della Biblioteca Universitaria di Bologna (BUB – intervista), è forse la Carta con la pianta della città di Buda, disegnata dagli stessi turchi: sembra un arazzo acquarellato in movimento, un’opera eccezionale realizzata quando il Marsili  vi si trovava dopo l’assedio, per mediare trattative di pace e per svolgere attività diplomatica nella ridefinizione dei confini danubiani.

ritratto_marsili

Ritratto equestre del Marsili.
Opera di A. Zanchi e A. Calza

Nonostante le prodezze, la sua carriera militare fu irrimediabilmente macchiata dalla vicenda legata alle annali contese di Breisach. Il borgo sul Reno, di grande valore stategico, era molto conteso, quindi campo di aspre battaglie: nel 1648 con la Pace di Vestfalia fu ratificata la sua accessione al territorio francese, poiché il generale Bernardo di Sassonia-Weimar, principe tedesco e condottiero del Regno di Francia, l’aveva conquistato nel 1638. Tuttavia, con il successivo Trattato di Ryswick, la città tornò nella giurisdizione del Sacro Romano Impero; ma, difesa senza successo dal conte Filippo d’Arco, venne riconquistata durante la guerra di successione spagnola dal generale Villars nel 1703. Marsili in tutto questo? Era stato mandato ad affiancare il generale d’Arco e quando vennero sconfitti, entrambi furono sottoposti a processo, tramandato come Giudizio di Bregenz. Mentre il conte d’Arco fu condannato a morte per tradimento, Marsili subì la degradazione, così la sua spada fu spezzata dal boia nella pubblica pizza della città sul lago di Costanza; subì, infine, la confisca dei beni.

Gli scritti autobiografici in sua difesa ed i documenti relativi all’accaduto sono conservati e in esposizione, insieme al grande ritratto equestre dell’artista Antonio Zanchi che lo ritrae con gloria, sotto sono poste le statue della Virtù e accademia_delle_scienzedel Genio realizzate da Petronio Tadolini. Le due allegorie “proteggono” benevolmente una sciabola che fu donata nel 1931 dal Presidio militare di Bologna per ricordare e riscattare l’ingiusta umiliazione di Bregenz. La sua conoscenza dell’Impero turco divenne presto una tra le principali fonti di informazione per la scoperta del mondo ottomano: si spostò per anni da Venezia a Istanbul, fu per due anni prigioniero dei tartari, e, nel 1711, una volta tornato in Italia, decise di donare tutti i suoi beni all’Istituto delle Scienze ai suoi albori, perciò è considerato il fondatore della BUB.

il_castello_biancoE se fosse lui l’ispiratore de Il Catello bianco del romanziere, premio Nobel, Orhan Pamuk? La storia racconta di un gentiluomo italiano catturato da pirati e venduto come schiavo ad un astrologo turco. Il primo appassionato di matematica ed il secondo si assomigliavano come gemelli, insieme portarono a termine le più mirabili imprese scientifiche per il sultano, finchè, durante la costruzione di una potente macchina da guerra, si disputarono brutalmente, finendo per scambiarsi d’identità, uno di loro, poi, tornò in Turchia, ma chi? Una metafora letteraria della relazione tra Oriente ed Occidente che Marsili incarna con mistero, che in parte può essere svelato leggendo La schiavitù del generale Marsigli sotto I Tartari e I Turchi da lui stesso narrata, a cura di Emilio Lovarini (ed. Zanichelli, 1931).

Quello che più affascina della sua figura è la sua avanguardia, la sua freschezza ancora oggi: questa considerazione può sembrare un cliché culturale, ma nel caso di Marsili è realtà. Grande scienziato, esploratore, inventore, egli non era un giovanotto qualunque – uno di quegli studiosi accademici di “scienze ed arti” che supponeva di intendersi di ogni cosa, in modo presuntuoso, impadronendosi di molto di ciò che prima di lui era stato fatto, storcendo la bocca sprezzante di tutto – piuttosto egli si è dimostrato una persona che spinta dalla curiosità e dell’amore per il sapere e l’alterità ha indagato con passione tutto ciò che non conosceva, inventando con creatività metodi, spaziando tra varie discipline. «Uno di quei personaggi eclettici che solo nel Settecento si possono trovare» secondo la Direttrice della BUB, Biancastella Antonino, oppure, potremmo dire in modo più completo, una di quelle anime sapienti che si è sottratta alla frammentazione e al rigorismo classicista della cultura istituzionale, per avventurarsi nell’esperienza e tradurla, mettendola, infine, a disposizione di tutti coloro che desiderano proseguire il viaggio.

«nihil mihi»

Nihil mihi non è solo un cartiglio, bensì era la filosofia che Marsili incarnò: curare il sapere significava per Marsili metterlo a disposizione, farlo circolare, permettendo alle identità di aprirsi al nuovo, di confrontarsi al resto del mondo “sconosciuto”. È rassicurante sapere che tra le antichità dell’UniBo, tra i cimeli un po’ troppo retorici e di rito, è compreso il dono di Marsili, che prima di tutto sta nella sua ispirazione che guida, che indica la via del rischio, della scommessa, della sfida nell’imparare e soprattutto della necessità di rimettere sempre in gioco ogni dogma, ogni fondazione, ogni approdo, per muoversi con plasticità nel tempo e nella complessità dell’esistenteAd publicum totius orbis usum.

Devo l’incontro con Luigi Ferdinando Marsili a Franco Pasti, bibliotecario della BUB, che mi ha guidata attraverso una visita delle sale museali di Palazzo Poggi (per organizzare una visita guardate qui).

Zibaldoni, lingue salvate, generosità, tutte in un incontro, anche se, in qualche misura, trascendente: questa è l’università che vogliamo, non nel fasto dell’antichità, ma nell’occasione, per tutti, del presente.

Photocredit: espresso.repubblica.it 

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