L’11 gennaio del 2002 gli Stati Uniti aprirono il campo di prigionia sulla Baia di Guantanamo

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Abbiamo analizzato la storia della Baia di Guantanamo ed il suo essere simbolo della pretesa americana sulla Repubblica cubana. Tutto fu definito giuridicamente nel 1903 con il Cuban-American Treaty: specificamente, nell’art. III dell’Accordo, gli U.S.A. riconoscono la “sovranità ultima della Repubblica di Cuba” sulle zone in questione, mentre Cuba ammette che, per l’intera durata dell’occupazione statunitense, gli USA eserciteranno “completa giurisdizione e pieno controllo” sulle stesse. Sovranità e giurisdizione sul territorio di Guantanamo sono quindi disgiunte ed attribuite a due differenti soggetti internazionali (v. approfondimento).

Le due nozioni  – il concetto di sovranità e quello di giurisdizione – di norma si implicano a vicenda, essendo la giurisdizione una funzione pubblica, espressione di uno dei poteri dello Stato sovrano: così secondo la teoria della separazione dei poteri, elaborata nel XVIII secolo da Montesquieu e principio fondamentale del moderno stato di diritto, che individua tre funzioni pubbliche (legislazione; amministrazione; giurisdizione) attribuite a tre diversi poteri dello stato (legislativo; esecutivo; giudiziario).

Secondo il governo americano, invece, l’extraterritorialità della Baia di Guantanamo rendeva automaticamente incompetenti tutti i tribunali americani, nonostante il contemporaneo insistere della piena giurisdizione statunitense su quello stesso territorio; non è da sottovalutare il fatto che lo stesso ragionamento porterebbe parimenti ad escludere l’applicabilità dei trattati di diritto internazionale.

A questo proposito, si può menzionare il cado del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, che gli Stati Uniti hanno ratificato nel 1992 ( è un trattato delle Nazioni Unite nato dall’esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo): esso vincola le Parti a garantire a tutti gli individui che si trovino sul loro territorio e siano sottoposti alla loro giurisdizione – senza distinzione e discriminazione di alcun genere (art.2, par. 1) – una serie di fondamentali diritti sostanziali (tra cui il diritto alla vita ed al non essere soggetti a tortura o a trattamenti crudeli e degradanti), ma anche processuali.

Nonostante tale Patto adotti testualmente un approccio territorialistico alla nozione di giurisdizione statale, secondo parte della dottrina sarebbe tuttavia giustificabile un’interpretazione non territorialistica di tale disposizione. Quindi, anche la condizione dei detenuti della Baia di Guantanamo sarebbe sindacabile alla stregua del Patto sui diritti civili e politici: questa posizione è stata sostenuta anche nel Rapporto della Commissione per i diritti umani dell’ONU, pubblicato il 15 febbraio del 2006.

Concludendo, la tesi dell’amministrazione americana, se accolta, porterebbe a configurare la Baia di Guantanamo come un legal black hole – così è stata definita la vicenda da Lord Johan Steyn davanti al British Institute of International and Comparative Law, nel novembre 2003 -: una terra senza legge, soggetta alle sole direttive dell’esecutivo statunitense, le quali sarebbero completamente svincolate dalla sottoposizione a controlli da parte di istanze giurisdizionali.

Se è pacifico il fatto che la Baia di Guantanamo non faccia parte del territorio statunitense, vero è altresì che esercitando gli Stati Uniti piena giurisdizione su di essa, è comunque discutibile l’asserzione secondo la quale ivi non siano applicabili né le garanzie previste dalle leggi americane, né quelle disciplinate dalle disposizioni internazionali.

Per tirare le somme della ricostruzione giuridico-politica che si cela dietro alla sorte della Baia di Guantanamo – le sue origini ed i termini dell’occupazione americana – diventa più agevole intuire i motivi della designazione di tale territorio quale sede di un carcere di massima sicurezza destinato a sorvegliare i cosiddetti “nemici combattenti” catturati nelle missioni della “guerra al terrore” dichiarata a seguito degli attentati dell’11 settembre del 2001.

In particolare, Guantanamo Bay rappresentava il luogo in cui l’esecutivo americano poteva agire al di fuori delle previsioni dell’Habeas Statute che garantisce il writ of habeas corpus, ossia il diritto di appellarsi ad un tribunale contro una detenzione ritenuta ingiustificata: si tratta, specificamente, di una richiesta affinché un tribunale ordini al pubblico ufficiale, sotto la cui autorità una persona viene detenuta, di portare il prigioniero davanti ad una corte, per giustificare di fronte a quest’ultima la legalità della sua detenzione.

Questo istituto è un elemento tipico del diritto anglo-americano che risale al XVII secolo, quando alcuni ufficiali inglesi mandavano dei prigionieri in isole e basi militari remote per impedire ogni inchiesta giudiziaria sulla loro reclusione; il Parlamento approvò l’Habeas Corpus Act per vietare questo ricorso alle colonie penali sperdute nell’oceano, dove la legge non poteva arrivare. Si potrebbe dire che l’antico costume militare è esattamente la pratica che l’Amministrazione Bush ha riscoperto.

Tuttavia, sulla legalità di tale pratica si è espressa la Corte Suprema degli Stati Uniti nella sentenza Rasul v. Bush del 2004.

 

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