Blandine Le Callet, il classicismo nella science fiction

Blandine Le Callet, romanziera francese contemporanea, è una delle rivelazioni letterarie degli ultimi anni.

“Fiori di Zucchero” – fiori_di_zuccheroQuesta è la sua prima opera dal titolo francese “Une pièce montée”: formula con evidenti richiami alla tradizione letteraria classica che agli amanti di Flaubert non sfuggirà, nonché indizio di stile poiché, entrando subito nel vivo, risulta evidente l’evocazione di una della pagine più celebri della letteratura francese: il fastoso matrimonio di Madame Bovary. Del resto, lo sfarzo di una cerimonia di nozze secondo galateo culmina al momento del dolce; così un’alzata che strappò grida di ammirazione divenne il simbolo eccellente della borghesia manierata e moralizzatrice. L’ancoramento al capolavoro flaubertiano è un indizio sul plot: una domenica, in campagna, un rito nuziale. Basta poi scompigliare l’ordine delle parole per accorgersi che l’anastrofe monter une pièce è un abile gioco di retorica chesuggerisce lo stile della poetica: è come uno spettacolo, capisci? Noi siamo i protagonisti e gli invitati sono al tempo stesso comparse e spettatori. Come in una pellicola di Altman, l’incipit è affidato allo sguardo infantile: Pauline, piccola damigella, nota con bruciante delusione gli atteggiamenti discriminatori dei parenti nei confronti di un’altra bambina, imperfetta, dunque imbarazzante. Estensione di questa indignazione sono i sentimenti del curato, padre Bonnelier, che distratto dallo spirito frivolo e vacuo dell’occasione finisce per raffazzonare la messa, diventando il primo neo di una lunga sequela di imprevisti. Peggiore tra tutti il tardivo ripensamento dello sposo, Vincent che si ripete fino all’autoipnosi di amare la moglie. Per convincersene? Altrettanto esilarante è lo scandalo provocato da Marie, l’antieroina nel cui animo convivono gli aspetti della diversità e della goffa dissimulazione quale tentativo estremo di adeguarsi al protocollo famigliare. Regolarmente schernita dalla madre e dalle sorelle per il cattivo gusto e la malagrazia, scende dalla sua Twingo calzando non un cappello, piuttosto l’incrocio tra un pappagallo e una scultura cubista. Intrigante è l’intuizione di renderla caricatura del provincialismo borghese che a discapito della apparenze suntuose cela il ridicolo e il violento. Infine, la matriarca Maddy. Ritiratasi prima degli altri, lontana dall’oscena torre di Babele di bignè alla crema, confiderà un segreto sconvolgente alla nipote. Ogni famiglia ha un scheletro nell’armadio: esso rappresenta lo scarto tra maschera e profondità. Allo stesso modo l’opera è intrisa di un grottesco triste, registro molto meno leggero ed indulgente di come appare in superficie (recensione scritta per Leggere Donna e pubblicata sul n. 154).

In Francia, il successo di questo romanzo è stato tale da ispirare anche l’omonimo film, del resto il punto di vista narrante zoomava e applicava un effetto dissolvenza agli episodi come l’obiettivo delle telecamere puntate sui protagonisti di un reality show mette a fuoco la scena.

Ciò che a Blandine Le Callet sta a cuore ripetere è – il “décalage” – lo slittamento che intercorre tra l’apparenza scanzonata della storia e lo sguardo inquietato che la permea, la rappresentazione non così “rosa” delle maschere ebbre di cerimoniosità che vivono e recitano secondo un copione ormai usurato, ma ancora fortemente ancorato nell’immaginario collettivo. Una vacuità superficiale, certo, ma grave perché è proprio la superficie che si leviga sempre di più a scapito della sempre maggiore complessità della realtà della condizione umana e del contratto sociale che ne regola la convivenza.

Tutto ciò, può apparire démodé, ma solo finché non si fa mente su ciò che viene propinato e rispolverato sull’onda lunga del motto panem et circenses: campioni di incassi e seguito televisivo sono attualmente trasmissioni su wedding planners, abiti da sposa, da damigella, oltre al restauro del mito – un po’ retrò, un po’ disneyano – dei matrimoni principeschi delle case reali europee, che, in un momento di crisi politica universale, fanno ancora sognare chi vorrebbe sfuggire al peso della responsabilità di reazione rispetto agli inganni politici, alla crisi economica, alla forza ed alla necessità, cioè, di trovare il coraggio per cambiare rotta facendo la propria parte.

Questo elemento parodiato – del pericolo di abdicare alla coscienza per costruirsi un mondo illusorio nel conformismo così abbagliante da apparire iperreale – è il tratto di congiunzione con la seconda opera di Blandine Le Callet: La ballata di Lila K.

“La ballata di Lila K” – la_ballata_di_lila_kIl romanzo, come genere, sconta spesso il peso di un immaginario già costituito e la difficoltà di raccontare secondo modalità inedite. Dalla cruna dell’ago passa però la rivisitazione di qualsiasi stile purché sia garantita alla narrazione una certa distanza ironica. Ciò suppone che chi scrive accetti la possibilità di una doppia lettura: il pubblico meno coltivato accoglierà la storia come fosse nuova, mentre il più onnivoro riconoscerà le relazioni che la struttura romanzesca intrattiene con i modelli del passato. Esordendo con Fiori di Zucchero l’autrice ha infatti proposto una cronaca sociologica in chiave moderna: una parodia melanconica sulla classe borghese che rievoca i classici della letteratura francese, come a misurare stallo e progressi della civiltà. Invece La ballata di Lila K si pone in grande discontinuità rispetto alla tradizione affabulatrice: si tratta al contempo di un romanzo d’anticipazione e di un noir metropolitano che ambienta l’amore tormentato tra una madre e la figlia nell’umanità del futuro deformata dalle logiche normative e politically correct, simulacri delle democrazie contemporanee, applicate all’estremo. La distopia politica si abbina alla vicenda intima di Lila, bambina traumatizzata, afflitta da amnesia, ormai incapace di mangiare, camminare e sopportare qualsiasi contatto. C’è sempre un prima e un dopo: prima l’arresto violento dalla madre, dopo un Centro di recupero per apprendere il valore della parola e l’adattamento al mondo, poi le ricerche segrete per recuperare la memoria in una Parigi post umana in cui i libri cartacei si presumono tossici, convivono automi e chimere, ed ogni aspetto della vita è sorvegliato e medicalizzato. Allo stesso modo sguscia nella nostra epoca la censura: la rappresentazione di comportamenti perseguibili o non auspicabili è confusa con incitazione e quindi impedita, sopprimendo lentamente la libertà di espressione, di coscienza e di cronaca. In Francia, il regista Tati ha perso la sua leggendaria pipa sui manifesti pubblicitari sotto pretesto che fumare è contrario alla salute, ed è solo un esempio divertente, ma quando i libri verranno definitivamente sostituiti da supporti elettronici, numerati, spurgabili? Nessuna morale in quest’opera, solo uno sguardo critico e pieno di suspense nei confronti della resilienza: eccezionale forza vitale capace di sottrarsi al potere e ai suoi dispositivi, anche alle tecnologie più insidiose, perché sgorga invisibile, di sorpresa e sfugge ad ogni controllo (recensione scritta per Leggere Donna e pubblicata sul n. 154).

la_ballade_de_lila_kSe Fiori di Zucchero rimanda ad un universo sgargiante, La Ballata di Lila K è piuttosto un lungometraggio in bianco e nero trapuntato di piccole poesie colorate come il personaggio del gatto multicolore e degli alberi che costellano gli Champs Elysées. Mentre, relativamente alla collocazione di questo secondo romanzo, c’è chi traccia delle connessioni abbastanza immediate con la tradizione fantascientifica e distopica di Bradbury e Orwell, ma ciò che non viene sufficientemente rilevato è l’assoluta novità dell’immaginario rappresentato dai protagonisti: una coppia femminile, la relazione madre-figlia ed il suo ribaltamento focale, figlia-madre. Blandine Le Callet ha creato un’opera la cui struttura si fonda sull’alleanza di due filoni: quello intimista che indaga il legame più misterioso che esista, ossia quello tra una madre ed una bambina ed il registro del futuro anteriore della science fiction. La chiave di lettura è l’analisi delle dinamiche e delle risorse spirituali ed umane come fotografia prospettica ed indice reale per riflettere sull’avvenire politico delle nostre società. E, ancora una volta, lo sguardo di una bambina, la sua crescita ed il suo risveglio sensoriale ci restituiscono la comprensione della realtà, come una profezia su chi salverà il mondo salvando la propria umanità.

A proposito di censura, Blandine Le Callet porta molti esempi quando parla delle ragioni che l’hanno interrogata, ed oltre alla pipa di Tati sostituita da una piccola girandola, cita la decisione recente degli editori americani di modificare il testo del romanzo di Marc Twain “Huckelberry Finn” rimpiazzando il vocabolo “nigger” con il “slavo”. Dato che il termine “nigger” è considerato impronunciabile perchè associato al razzismo, si è preso a dire “the N word”. Ma modificando il testo di Twain, si rifiuta sempliciemente di ammettere che all’epoca in cui egli scriveva, in una società largamente razzista, era così che venivano chiamati i neri americani. Blandine Le Callet ha spiegato: per me, si tratta di una forma di falsificazione molto grave, come se si iniziasse a rendere consuetudine il fatto di non sopportare che un testo storico sia il prodotto della sua epoca riflettendone anche i pregiudizi. Questo ritocco parte da una intenzione sicuramente lodevole, ma sarebbe stato più corretto, a mio parere, aggiugnere, semmai, una intoduzione o delle note destinate a situare il testo nel suo contesto storico e sociale, affinché il lettore, in qualsiasi tempo, abbia la possibilità di misurare fino a che punto il mondo è si è evoluto.

Actio libera in causa e le derive della democrazia

blandine le calletTornando al percorso iniziatico di Lila, potremmo definirlo come una ricerca mistica, la ricerca della madre e delle radici psicologicamente rimosse che conduce alla scoperta di sè e del mondo. Un movimento che non è solo proiettato “in avanti”, ma che comporta lo sforzo di passaggi a ritroso perché il risveglio sensoriale è permesso ed accompagnato dal resuscitare della memoria, bloccata da traumi sepolti e affogati dall’anestetizzante società ansiogena ed autoritaria in cui Lila è nata. I problemi psichici del nostro tempo, definito secolo delle passioni tristi, sono intimamente legati alla frattura sociologica occidentale che tende ad una deriva claustrofobica. In un’intervista rilasciata a Terrafemina, Blandine Le Callet ha dichiarato:

“Nel mondo di Lila K, la società è arrivata ad assicurare ai sui membri privilegiati una vita che sembra invidiabile: sicurezza assoluta, comfort materiale, sorveglianza sanitaria, scienza medica di alto livello fino all’eugenismo, tutto è organizzato e normato.. La contropartita è la sorveglianza continua, la moltiplicazione delle condizioni da rispettare e degli interdetti. La domanda che il libro pone è:fino a che punto siamo pronti ad arrivare nell’abdicazione del nostro libero arbitrio e della nostra libertà per assicurarci comodità e sicurezza? Non credo che sia così irrealistico immaginare che la nostra società possa un giorno spingersi così lontano nel controllo, nella vigilanza e nella prevenzione di ogni preteso pericolo all’ordine costituito, perché queste esigenze di sicurezza e garanzia – da parte dei cittadini nei confronti degli Stati – in tutte le forme (protezione dalla violenza, sicurezza sanitaria, sicurezza alimentare et cetera) si esprimono attualmente già in maniera molto forte come richieste di protezionismo e paternalismo. Perciò mi sembra possibilissimo che molte democrazie pensino che instaurare questo tipo di società sia vantaggioso, in parte per disattenzioni, in parte per pigrizia o per il fatto che esse subiscono delle pressioni economiche. Ma ciò di cui sono certa è che se questo tipo di società dovesse veramente nascere, allora ci saranno delle forme di resistenza e ribellione perché non venga soppressa ciò che potremmo definire l’avventura umana, con la sua precarietà ed i suoi pericoli, ma libera. La libertà ed il caos trovano sempre il modo di ribellarsi e di passare nelle fessure del sistema. Un barlume di speranza in tempi bui”.

Quello dell’actio libera in causa è, allora, un paradigma da non sottovalutare: la responsabilità di ciascun individuo di scegliere avendo la capacità, la coscienza e la volontà delle proprie azioni e dei propri pensieri, senza abdicare alla propria sfera di signoria su di sé e sulla possibilità della coscienza di discernere ed evolvere. “Mi sentivo come dopo una catastrofe, quando tutto è devastato e non resta più nulla, solo il silenzio”.

Strategie di libertà: pensiero, fatalità, resilienza

Avevo superato troppe prove, disobbedito a troppi divieti per lasciarmi abbattere. Dovevo avanzare, la paura non cambiava le cose

La resilienza, etimologicamente “saltare indietro”-“rimbalzare”, altro non è che la capacità trasformativa del simbolico, scioglimento di percezioni cristallizzate nella coazione. Lila non rifiuta questa immensa scommessa, nonostante gli sforzi e la fatica di trasformarsi da bambina a giovane donna. Non rifiutando la propria natura e la propria identità, nonostante i limiti di un mondo sigillato da divieti, Lila riesce a sviluppare i mezzi che le permetteranno di esprimere la propria differenza, la avvieranno al proprio destino, che non è solo privato, ma che si sconterà con l’esigenza di unirsi agli altri per espandere un mondo diverso, per dare spazio, nella realtà, alla speranza. Così, Lila, davanti ai primi progressi ed alle prime reminescenze afferma “come ritorno alla vita, nonè stato molto glorioso, ma sapete ciò che si dice: è il primo passo che conta”.

Ciò che ha modificato la sua percezione della realtà ed ha attivato la sua capacità di resilienza è stata la forza del desiderio che libera anche dalla forza di sensi di colpa ereditati come dovere e prigionia di paralisi, mentre, a volte, “non è colpa di nessuno, soltanto la colpa non ha possibilità”. E l’unico modo di prendersi cura di sè senza sfuggirsi o perdersi è “trovare le risposte alle domande che vi tormentano. Facendo il vostro lutto. Dopo, forse, sarà il tempo di iniziare a vivere”.

Dalla tradizione graco-latina si affaccia un’altra indicazione: “il ricorso al fato può rivelarsi un mezzo perfettamente razionale per effettuare una scelta problematica”. Ananke per i greci – come ci ha ricordato Victor Hugo – in riferimento alla grammatica ed alla dinamica ontologica, Casus per i latini, con l’accezione di “caduta”: qualcosa, inaspettatamente, accade, ci cade di fronte. La realtà che muta in tutta la sua potenza fenomenologica: c’è sempre un prima e un dopo, appunto.

di Sebastien SORIANO/ Le Figaro

di Sebastien SORIANO/ Le Figaro

La portata sapienziale della cultura antica è un pilastro nella produzione e nella biografia di Blandine Le Callet che è laureata alla Normale di Fontenay-Saint Cloud di Lione e membro del “Centre d’études sur la philosophie et la rhétorique hellénistiques et romaines”. Inoltre, è maître de conférences di latino all’Université Paris 12-Val de Marne. Ha consacrato la sua attività di ricerca all’arte ed ai simboli dell’antica Roma.

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Del classicismo romano, Blandine ha fatto tesoro anche di un altro simbolo: il mostro nella forma delle statue di pietra, decori architettonici, feticci pagani. Non a caso l’excipit è affidato alla un demone, quando Lila fa sfilare i suoi propositi: sarò calma. Non avrò paura. Incrocerò le mani sul mio petto, disegnerò un sorriso sulle miei labbra, come un gigante di pietra. Come un gigante di pietra, chiuderò gli occhi. E vi aspetterò.

rome_et_ses_monstresMostro combattuto, mostro interiore e mostruosità che è nel mondo. Mostro ferale, ma anche demone dell’energia che sgorga dalla disperazione. Mostro come divinità invidiosa, competitiva, invisibile, ma onnipresente col suo antagonismo.

Certe leggende antiche sostengono che gli dei non possono sopportare la felicità dei mortali. La trovano oscena, rumorosa, un insulto per tutti coloro che sono infelici. No, gli dei non amano le persone felici. Per farle stare zitti, gli dei si inventano delle sofferenze terribili che facciano passare il gusto di vivere”.

L’ambivalenza contiene, quindi, anche il mostro come sfida per divenire all’altezza di ciò che si è, per andare incontro al proprio avvenire. Partendo dal principio: dalla nascita. Incipe cognoscere matrem. Sforzandosi di nominare ciò che si comprende ed incontra, dandosi parola e trovando segni per significare quello che la vita ci presenta e che ancora non è trasmissibile. Dare voce al discorso della realtà trovando la propria lingua. Questo il cammino terreno di libertà, di conoscenza, di convivenza.

Libertà completa. Non è semplice. Dopo tutto il tempo vissuto in mezzo alle costrizioni, non sapevo bene che pesci pigliare con la libertà”.

Stare in questo sforzo, ossia nella sproporzione e nella differenza tra sé e il mondo inventa strategie, modifica lo sguardo, fa sorgere visioni di un immaginario nuovo, sempre nuovo, da esplorare.

 

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