Mercedes Lambert – Dogtown

Hollywood: il distretto più celebre di Los Angeles, dove le uniche divinità adorate dagli uomini siedono nell’olimpo delle produzioni cinematografiche. Lo stesso cielo sotto cui si agita un mondo di aspiranti vegas, star in inglese, il cui unico sogno è far brillare il proprio nome e il proprio viso nelle scene di qualche pellicola. Un universo a sé, fatto di copioni mal recitati, comparsate, provini surreali, agganci giusti, produttori spietati, registi eccentrici e divi già affermati, che con i loro giochi di potere creano mode, eventi, scandali e cerchie esclusive, dove può entrare solo chi conosce chi.

Hollywood e Los Angeles, due galassie una figlia dell’altra: la più grande, malgrado le stelle e e le strisce porta nel nome un’origine e un destino che prima di ogni altra cosa appartengono ai latinos, autentica anima della metropoli, essa stessa creatura di un abile sceneggiatore che ha voluto insieme mille etnie in un solo grande scintillante girone dantesco pieno di grattacieli. Sì, perché fuori dai quartieri dei boulevards, dei locali e delle ville sorvegliate, la periferia della “città degli angeli” è un’altra storia. Come in tutte le big cities, sono molte di più le trame nascoste di quelle che si vedono.

Quando la luce si accende sulla notte dei quartieri di downtown capita di trovare una ragazza ispanica, a cui una vita non basta: vero, sogna di essere la nuova Marilyn, però non può andarlo a sbandierare alla facoltosa signora borghese che la tiene come colf. Poi il suo ragazzo non le permetterebbe mai di rinunciare a quell’occupazione che torna comoda per tante altre cose, che non hanno a che vedere né col cinema né con un futuro dignitoso da lavoratrice.

Peccato che la facoltosa borghese in realtà viva in un bungalow e che dietro alla storia del cinema ci siano solo i rimasugli dei sogni di una ragazza qualunque, che un bel giorno viene risucchiata nel nulla. Quando accade, la fasulla ricca signora si precipita a denunciarne la scomparsa, ma non alla polizia, meglio di no, dice.

Tocca a Whitney Logan, un’avvocatessa atipica dall’istinto che non mente, che per l’occasione si fa anche investigatrice. Con lei ci aggiriamo per la città, con lei ci spaventiamo quando cominciano a comparire cadaveri che fanno capire come il caso non possa essere mandato a qualche collega che si occupa di immigrazione, no, bisogna capirci di più, per questo chiederemo aiuto a Lupe, prostituta chicana che conosce bene la città e il suo schifo, e che soprattutto parla la lingua, dietro la quale la comunità latina custodisce gelosa tutti i suoi segreti.

Impareremo a destreggiarci tra sessismi razzisti, omicidi depistanti, agenti cinematografici imbroglioni, per conoscere una Los Angeles brulicante, sudata, infida, mai ferma, stracolma di droga, un crogiolo oltre l’immaginazione, dove alla malinconica quotidianità dei giardinieri di classe, dei dog sitter da trecento dollari l’ora e delle limousines si affiancano, dietro l’angolo, le crudeltà di chi per fame o per soldi vive di regolamenti di conti, trasforma droga e armi in cibo per campare, difende il territorio, spara per sentirsi vivo, si vende per non essere venduto, cercando di mettere le mani, magari, sui capricci inconfessabili di quelli che invece vivono comprandosi tutto, dal sesso alla felicità passando per le perversioni, gli stessi di cui Easton Ellis ci racconta nelle righe di Meno di Zero e Imperial Bedrooms.

Nel noir della Lambert troveremo immortalato uno scenario intricato, violento e crudele, dove ad ogni sospetto corrisponderà la conferma di un proiettile già sparato prima di scoprire cosa c’era dietro, ad ogni tassello in più del puzzle seguirà una porta aperta su qualcosa di più torbido, che si muove sotto la città ma che, piaccia o no, ne tiene in piedi al tempo stesso le fondamenta. Respireremo l’odore di ogni singolo momento di caos nel quale la città coi suoi risvolti spietati ci trascinerà, e resteremo vittime della potenza con cui l’autrice ci permetterà di immergerci in quel calderone tragico, misterioso, comico, sensuale, folle e turbante.

Forse David Lynch, nei mille rimandi occulti presenti in Mulholland Drive ha voluto inserire anche Dogtown, e se nel film realtà e sogno non si distinguono, nel libro si avverte nettamente il rimando all’esperienza di vita reale dell’autrice, così profondamente toccata dalla città nella quale svolgeva la funzione di procuratore legale per i minorenni da volerne testimoniare in un thriller gli aspetti più drammatici e veri. Per farlo, ha voluto scegliere anche un nome che fosse adatto, che permettesse di sentirsi anche lei californiana, e non del Connecticut come invece era: Mercedes Lambert invece di Douglas Anne Munson. Mercedes, che nelle comunità ispaniche cristiane è il nome dato alle bambine in omaggio alla pietà di Maria, quella pietà che la città raccontata non concede.

————-

Dogtown di Mercedes Lambert, ed. Einaudi, Torino, 2011, traduzione di Luca Conti

Sito dedicato all’autrice: www.mercedeslambert.com

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.