Solidarietà e diritti sociali: intervista a Paola Chiarella

Migranti. È la parola di questi giorni, dei telegiornali, dei quotidiani. Sono esseri umani che l’Europa non vuole e così si deve fare, se no cresce il malcontento dei cittadini o peggio, vincono gli estremisti di destra dalla crisi economica esplosa nel 2008. Ma il malcontento dei cittadini cresce sempre di più perché manca altro, come delle riforme sociali, e gli estremisti di destra vincono lo stesso, anzi di più. Siamo dentro ad un circolo, non vizioso, ma peggiore se è possibile.

La nave Open Arms

Una nave della ONG “Proactiva Open Arms” i cui volontari sono indagati per associazione per delinquere  e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Stiamo rinunciando a mettere i diritti sociali, i diritti umani in generale al centro dell’evoluzione della specie. Dietro le forme di inciviltà e violenza inarrestabili, c’è una strage che viene occultata ogni giorno. Sono centinaia gli immigrati che partono ogni giorno, se non vengono fucilati nei centri di detenzione libici per poi bloccare le navi che li trasportano nei porti dopo un viaggio affrontato in cui il rischio è alto. Non è forse questa una sorta di pulizia etnica, di un genocidio? Non è che l’ostilità verso i migranti è stata alimentata da discorsi che incitano all’odio, da notizie false, da luoghi comuni e da stereotipi?

La solidarietà oggi costituisce anche un crimine. Le infrastrutture autonome create a sostegno dei migranti in transito non solo danno vita a una logistica della resistenza alle politiche securitarie di controllo e di contenimento delle frontiere, ma sono in grado di produrre fratture più o meno temporanee o permanenti nello spazio europeo.
copertinaNel 2014 incontrai una brillante studiosa e dottoranda a Madrid, Paola Chiarella, che ho intervistato dopo aver letto il suo libro “Solidarietà e diritti sociali. Aspetti di filosofia del diritto e prassi normative” (2017). Abbiamo parlato di tanti argomenti, di diritti sociali e solidarietà sì ma anche della dialettica cittadini/stranieri, della moneta unica e di quella grande aspirazione ideale, che nasce proprio dall’idea di uguaglianza, libertà e solidarietà: l’Europa.

So che questo libro è stato una rivisitazione della tua tesi di dottorato. Come è nata la tua ricerca su tale tema lungo il tuo percorso di studi di stampo filosofico-giuridico? Immagino sia stato complesso ricostruire il percorso evolutivo della solidarietà alla base dello Stato sociale e anche nel suo legame con i diritti sociali. Come concetto giuridico, la solidarietà ha radici profonde e antiche. Nell’introduzione al libro scrivi in modo conciso «La solidarietà, nella sua virtualità, appare comunque qualcosa di bello, ma troppo difficile e costoso da potersi affrontare o permettere» [1].

La scelta di questo tema all’inizio del mio percorso di dottorato è stata motivata dall’esigenza di individuare una ricerca che avesse una specifica aderenza alla teoria del diritto in una prospettiva d’indagine che non trascurasse la dimensione attuale dell’integrazione europea. Il corso di dottorato che ho completato presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro ha, tuttora, come indirizzo proprio la “Teoria del diritto e l’ordine giuridico europeo”. Nella tesi di dottorato, da cui trae origine questo libro, ho analizzato a fondo la categoria dei diritti sociali nel quadro della teoria dei diritti fondamentali,  studiando la relazione tra le cosiddette “generazioni dei diritti” e scoprendo le ragioni che per lungo tempo hanno imposto ai diritti sociali un ruolo secondario o accessorio rispetto ai quelli civili e politici. L’analisi dei diritti sociali è stata svolta alla luce del principio di solidarietà da cui essi si irradiano ed in cui trovano ancora oggi il loro senso più profondo. Nell’introduzione si fa riferimento all’idea della virtualità della solidarietà per indicare che nella retorica del linguaggio politico e giuridico è utile invocare la solidarietà, ma è molto difficile assumersi la responsabilità ancora una volta giuridica e politica che essa comporta. La solidarietà implica infatti il farsi carico delle esigenze del prossimo in difficoltà, ma soltanto una società moralmente e politicamente responsabile è in grado di realizzare tale compito.

Alla fine del XIX secolo con l’arrivo dell’industrializzazione e della democratizzazione delle istituzioni politiche, la solidarietà dà voce ad una particolare forma di dissenso generata dalle lotte collettive. E dalla solidarietà nascono i diritti sociali. In particolare è in Francia che nasce la corrente del solidarismo, alla base della nascita dello Stato sociale, ricorrendo alla solidarietà come termine fondamentale da integrare in un’ideologia politica di welfare. La solidarietà interpreta il vincolo sociale con rilevanza politica e sociale come fenomeno normativo, si pensi a Léon Bourgeois in Solidarité (1896) e all’associazione umana che evoca per designare il genere umano legato in una reciprocità di rapporti basati sulla responsabilità reciproca o a Léon Duguit e alla solidarietà sociale come interdipendenza fino a Georges Gurvitch e il suo pluralismo giuridico e la dichiarazione dei diritti sociali. L’idea anticipa il diritto dell’eguale considerazione e rispetto teorizzato da Dworkin e anche la società bene ordinata di Rawls. In termini giuridici la ragione d’essere dello Stato è assicurare la giustizia tra gli uomini e stabilire un equilibrio sociale. Qual è il tuo pensiero come giurista e filosofa su tale concezione solidarista, vista anche a confronto con i nostri tempi?

A ben vedere, la teoria contemporanea della giustizia sociale, che trova i suoi migliori teorici in Rawls e Dworkin (con i loro lavori degli anni Settanta e Ottanta), ha aspetti poco originali se si studia il pensiero francese del XIX secolo che diede proprio vita alla corrente del solidarismo. I concetti del liberalismo americano che cercano di coniugare libertà e uguaglianza, autonomia individuale e responsabilità sociale si trovano ben strutturati ed argomentati in Léon Duguit, Léon Buorgeois e Georges Gurvitch, per i quali la solidarietà è la misura di una società che pone la giustizia come prima virtù (direbbe anche Rawls) delle istituzioni sociali. Oggi più che mai c’è un bisogno istituzionale e sociale di solidarietà. Senza di essa, la lotta individuale per la sopravvivenza in tempi di crisi economica è destinata a polverizzare la società e disintegrare il legame sociale necessario per la convivenza civile e pacifica. L’assenza o la riduzione drastica delle garanzie sociali è da sempre l’iniettore di potenziali conflitti politici.

Passiamo poi alla tua analisi del costituzionalismo sociale del Novecento, quando si riconosce la necessità di riconoscere i diritti sociali su aspetti socialmente rilevanti come famiglia, salute, istruzione, lavoro, abitazione e reddito. Le società iniziano ad essere apertamente schierate a difendere la pari dignità sociale dei cittadini contro i fattori di disagio economico e sociale. La solidarietà concorre a creare il senso di comunità, di appartenenza e responsabilità degli uni verso gli altri. Il problema dei diritti fondamentali relativamente al loro costo, anche e soprattutto oggi, non sta nell’onere in sé ma nella disponibilità di affrontarlo anche quando si tratta di diritti sociali.

Dopo la seconda guerra mondiale la rinascita politica e giuridica degli Stati europei è passata attraverso lo specifico investimento della spesa pubblica in giustizia sociale e solidarietà. Pensiamo al ricco contenuto solidarista della nostra Costituzione del ʾ48 e alla sua proclamazione della pari dignità sociale da realizzarsi mediante l’assicurazione di condizioni dignitose di vita e di lavoro. I gloriosi Trent’anni a decorre dal ʾ45 hanno visto l’edificazione ed il rafforzamento dello Stato sociale, impegnato ad investire nella protezione sociale di cittadini e lavoratori. Tutto ciò fino agli anni Settanta del Novecento, nel quadro di una tendenza mondiale che accusava il welfare di essere responsabile della crisi economica, lembebbed capitalism si è via via liberato dai corsetti della protezione sociale e lo Stato piuttosto che insistere sulla protezione sociale dei cittadini ha normativamente ridotto le garanzie sociali e quindi anche i costi che un tempo era disposto ad affrontare. Quindi, ne è derivato un significativo taglio alla spesa sociale nella convinzione che un mercato florido fosse in grado di assicurare che ciascun individuo trovasse autonomamente i mezzi per soddisfare i propri bisogni sociali.

Purtroppo è nella quotidianità che assistiamo agli esiti di politiche di austerità e di chiusura delle frontiere, assistiamo alla strage occultata del genocidio dei migranti (per esempio in Libia mentre tentano di attraversare il Mediterraneo). Le proclamazioni normative di Carte, Trattati e Carte dei diritti «offrono l’illusione originaria di un fasto antico» o la proiezione di ciò che potrebbe essere ma ancora non è. Dal costituzionalismo sociale del dopo guerra lo spazio dato al mercato e ai rapporti economici si è ingigantito sempre più a discapito dei diritti delle persone soprattutto con la crisi economica. «Un’Europa insicura dal punto di vista sociale è un’Europa che si chiude a riccio, soprattutto se la crisi costringe i cittadini a ripiegare su una condizione di mera sopravvivenza, che ridimensiona gravemente il dramma del prossimo straniero, considerato un fardello insostenibile per una barca già piena ed in pericolo» [2]. La solidarietà, quella fraterna, è negata allo straniero. La cittadinanza è diventata uno dei principali fattori di discriminazione sociale, per Luigi Ferrajoli infatti questa «rappresenta l’ultimo privilegio di status, l’ultimo fattore di esclusione e discriminazione, l’ultimo relitto postmoderno delle diseguaglianze personali in contrasto con la conclamata universalità e uguaglianza dei diritti fondamentali» [3] .

La solidarietà oggi naviga nelle cattive acque della chiusura dell’Europa al resto del mondo che bussa affamato alle sue porte.  La crisi economica, dalla quale sembra impossibile uscire oramai da anni, diminuisce la propensione alla solidarietà ed è facile che l’opposizione cittadini/stranieri venga astutamente invocata per accendere una conflittualità sociale che usa i migranti come bersaglio sbagliato su cui scaricare le frustrazioni contro una politica sociale irresponsabile. È facile colpire il debole, generalmente povero. Non è facile ammettere i propri errori ed orrori della politica economicamente e socialmente fallimentare. La cittadinanza è dunque diventata un’arma con cui speronare, e far affondare, tutti quelli che non hanno il privilegio di essere europei.

«La crisi dell’Europa ha originato una fase di ripensamento dell’Unione, che oscilla tra la seduzione dell’uscita, il rafforzamento delle sovranità nazionali e la promozione di una più intensa integrazione ispirata a più democrazia e più solidarietà. Questa crisi è, però anche crisi della solidarietà, poiché la geografia delle diseguaglianze in Europa si rivela come il segno dell’assenza della pari dignità sociale dei cittadini europei, ingabbiati in un coacervo di pretese insostenibili, peraltro neppure supportate democraticamente» [4]. Jürgen Habermas in “Questa Europa è in crisi” (Laterza, Roma-Bari, 2012) tratta degli insuccessi della politica dei diritti dell’uomo, che in ogni caso non sono motivo sufficiente per privare i diritti umani stessi del loro plusvalore morale e per restringere sin dall’inizio il focus della tematica, e della tarda carriera del concetto di dignità umana. La solidarietà sta attraversando tempi bui, nel pieno dominio del liberismo economico dominante in Europa.

La crisi economica ha rivelato i difetti del processo di integrazione europea, trascurati finché la situazione economica è stata florida. Il progetto economico europeo si è nel tempo aperto ad un contenuto anche politico che, tuttavia, ha trascurato volutamente la piena partecipazione politica dei cittadini europei. L’introduzione della moneta unica ha favorito le economie più solide, mentre ha danneggiato quelle dei paesi che non sono stati in grado di tenere il passo della stabilità monetaria. Le politiche di austerità richieste dall’Europa ai paesi indebitati risultano inaccettabili per i cittadini che si ritrovano sempre più esposti alla vulnerabilità sociale ed all’emarginazione. La ragione di fondo è che l’Unione Europea benché contempli la solidarietà come valore e principio giuridico non ha creato i mezzi istituzionali perché possa operare tra i cittadini europei, tra i quali non vi è “pari dignità sociale”. Il liberismo economico dominante, se ha fatto largo alla mobilità ed al sogno della libertà in Europa, sta nello stesso tempo disseminando un vento di malcontento che può portare all’uscita dall’Unione e dunque ad un ritorno alle vecchie frontiere, nella versione peggiore dell’indisponibilità all’aiuto e nella predisposizione al conflitto. Esattamente ciò che ci si auspicò di evitare al termine del secondo conflitto mondiale.

NOTE

[1] “Solidarietà e diritti sociali. Aspetti di filosofia del diritto e prassi normative” (CEDAM, 2017), pag . IX

[2] op. cit., pag. XIII

[3] op. cit., pag. 156

[4] op. cit., pag. XII

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