Anatomia di un istante 16/22 luglio

Due corpi, una donna e un bambino, probabilmente suo figlio. Corpi e pezzi di nave, indistinti, relitti umani e artificiali alla deriva. Un membro di Open Arms, con la faccia contratta. Non c’è più nulla da fare. Intorno il mare, l’assurdo.

Soltanto il 16 luglio il ministro dell’interno Matteo Salvini chiedeva all’Unione Europea di riconoscere la Libia come porto sicuro. Sembra un’era fa, spazzata via dalle circostanze, dai fatti. Dalla realtà.

Martedì 17 luglio  la ONG spagnola Proactiva Open Arms ha soccorso una donna trovata a pancia in giù, sopra il fondo di un gommone, a 130 km dalle coste libiche. La donna, originaria del Camerun, si chiama Josephine. Ha aspettato i soccorsi per due giorni, 48 ore piene di terrore e speranze, i vestiti attaccati alla pelle, acqua e sale dappertutto. Fino all’intervento di Open Arms, nella persona di Javier Filgueira, che si è tuffato senza sapere cosa si sarebbe trovato davanti, la vita o la morte.

Josephine è l’unica sopravissuta di un barcone di almeno dieci persone. Gli unici corpi recuperati sono quelli della donna e del bambino. I gommoni, distrutti, confondono la successione degli eventi, lasciano ipotizzare terribili scenari sulla guardia costiera libica, sospettata di omissione di soccorso o, peggio, di un intervento lacunoso o colposo da parte dei libici.

Si ringrazia AFP per la foto

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