Richiami e risposte emotive: intervista a Mimmo Locasciulli

….Ogni sera lo stesso desolante spettacolo. Le entraîneuse avevano i volti stanchi: le maschere della passione colavano impietose. Le ragazze si toglievano le scarpe, e sedute a terra si massaggiavano i piedi senza curarsi di noi, poi vagavano nella sala senza nulla cercare, senza nulla offrire; sbrindellate come zombie. Qualcuna ostentava ancora un bicchiere nella mano. Il sonno era l’unico pensiero. Parlavano tra di loro bisbigliando come in un confessionale. O forse recitavano salmi per la loro purificazione, avevano la sacralità del proibito nei loro fiati. I muri erano bagnati e imbrattati di vino, di champagne, di liquori; macchie di inganni premeditati. Le ragazze, durante la serata, fingevano di bere e riuscivano, nel buio della sala, a rovesciare i bicchieri alle loro spalle, sul muro o per terra, sui passi noncuranti degli avventori. I clienti non se ne rendevano conto e continuavano a offrire loro da bere, pregustando quel sapore di una troppo scontata ricompensa.

Una malriposta speranza….

La mia educazione musicale ha avuto luogo in una macchina, quella di mio padre. Forse per questo preferisco la musica dei suoi tempi, o forse perché era semplicemente meglio, chissà. Ma non divaghiamo. Ho rivissuto i suoi primi balli con i Platters, le canzoni di Battisti da cantare ai falò con una chitarra e la notte intorno.

Ma a colpirmi, soprattutto, è un cantautore che non avevo mai sentito. Ha la forza di una malinconia allegra, di chi guarda al futuro e al passato con serenità e gratitudine. Una sincerità spiazzante, un modo di intendere la musica diverso da quello che avevo sentito. E un nome, Mimmo Locasciulli, che non si poteva dimenticare.

Come una macchina volanteIl suo primo libro, Come una macchina volante (ed. Castelvecchi), è una bella rivisitazione dei temi trattati nelle sue canzoni. C’è dentro una vita intera, per quanto condensata nei primi anni, quelli in cui si sviluppa la doppia carriera di medico e cantante. Forse i più belli, sicuramente quelli in cui un artista scopre veramente se stesso. Ne ho parlato con lo stesso Locasciulli, che ringrazio per la disponibilità.

Sono tante, tantissime le biografie scritte da artisti o da persone che lavorano nel mondo dello spettacolo. La maggior parte delle volte sembrano fatte con la mano sinistra, lontane dalla forza comunicativa di chi le sta scrivendo. Come una macchina volante, invece, ci consegna immagini bellissime, con una scrittura delicata che ci fa immergere in quella che è la tua poetica, il tuo mondo interiore. Come ti sei approcciato alla stesura di questo libro? Qual è la difficoltà più grande per un uomo abituato a scrivere canzoni?

Nel mio mondo artistico non ci sono regole e non ci sono scalette, in genere mi lascio guidare da quello che io definisco “il richiamo”. E’ così quando scrivo le canzoni ed è stato così anche quando mi sono trovato a scrivere quello che poi è divenuto l’inizio del libro… ho cominciato a raccontare, mi venivano in mente immagini della mia infanzia che mi destavano emozione. Era bello e ho continuato a raccontare. Solo dopo mi sono reso conto che stavo cominciando a scrivere un racconto.

Sono andato avanti con molta facilità, ed è così anche quando compongo una canzone, mi lascio guidare, mi lascio trasportare…

Quando hai sentito l’urgenza di scrivere una tua biografia, di mettere nero su bianco una parte del tuo percorso di vita e di artista?

A dire il vero non si tratta di un’ autobiografia. Il libro vuole essere il racconto del perché e del percome, a cominciare dall’età di cinque anni, ho cominciato a costruire determinati programmi, a percorrere determinati percorsi e a compiere determinate scelte che poi hanno prodotto il risultato della mia duplice e anomala vita: quella artistica e quella scientifico-professionale. In tutto questo, naturalmente, sono presenti tutti i personaggi che hanno recitato parti di primissimo piano in questo percorso, a cominciare dalla mia famiglia, da mia moglie (che allora era la mia fidanzata), dagli amici che ho frequentato e da tutte le persone che, in qualche modo, hanno influenzato le mie scelte. Tra questi Giancarlo Cesaroni, anima del Folkstudio, e il chirurgo che mi ha insegnato la professione.

Il periodo che racconti è volutamente incompleto: va dal 1949, anno della tua nascita, al 1975 circa, con il matrimonio e i primi concerti al Folkstudio. Tralascia gli anni del successo, gli album più famosi, il grande pubblico. Come un grande romanzo di formazione, l’opera attraversa i tuoi anni da ragazzo, le aspirazioni, i primi successi e gli ostacoli da affrontare. Come mai questa scelta? Nostalgia, o forse la voglia di far conoscere un Locasciulli diverso?

Come ho già detto, non è una biografia, non voleva essere la descrizione cronologica delle cose che ho fatto nella mia vita. Avevo dei sogni e dei programmi, che ho fortemente voluto realizzare: laurearmi in tempo e fare il medico, sposarmi e avere una famiglia e, non ultimo, coltivare in qualunque maniera il mio amore per la musica. Per una magica combinazione di eventi, tutto questo si è realizzato nel 1975. Mi rendo perfettamente conto che il libro finisce con un inizio, ma se avessi continuato a raccontare gli anni successivi sarei scaduto in una autobiografia autocelebrativa.

Intorno a trent'anni

Come una macchina volante non può che cominciare a Penne, il tuo paese natale. Una dimensione bucolica, un piccolo mondo attraversato da una guerra vissuta da voi bambini come una storia, un’avventura fantastica. Si sente l’asperità, la purezza dell’Abruzzo più vero. Poi ci sono gli anni perugini e la Roma tanto agognata, la vita universitaria, le prime esibizioni. Il tuo primo album si intitolava, non a caso, Non rimanere là. Cos’è per te Penne, oggi? Che legame hai con i tuoi luoghi d’origine?

Ho descritto in una pagina e poco più quello che è il mio inizio. I luoghi dell’infanzia, le persone che hanno attraversato gli anni della mia adolescenza, gli odori, i sapori, i suoni della mia terra, i tramonti, gli inverni e le primavere, il magnifico mondo contadino che mi circondava…. ero una carta assorbente e mi è rimasto tutto dentro. Non sarebbe stato possibile qualcosa di diverso.

Mentre leggevo non ho potuto fare a meno di ricordare l’incipit di una delle tue canzoni più belle: “E si consumano le scarpe da pallone dentro la polvere, e i più grandi si prendono il campo tutto per se; e li guardi andare via mentre fantasticano su di te, dalla linea laterale, ma dal di qua.” Il futuro che non arriva mai, le conclusioni, le recriminazioni: hai mai seriamente pensato che non saresti mai diventato un artista di successo, o forse, più semplicemente, un artista?

Ho cominciato a suonare e cantare a 14-15 anni. Le prime volte nelle feste da ballo che si organizzavano in case private, poi nei dancing e nelle balere, poi nei night… ore e ore di prove, caricare e scaricare gli strumenti, tornare a casa all’alba, distrutti.. io e i miei amici eravamo felici. Non pensavamo ad alcuna forma di successo. Volevamo solo suonare e cantare davanti ad una forma qualunque di pubblico e questo ci bastava per essere felici. Sono cresciuto così, con questo sentimento. Quando il Folkstudio ha pubblicato il mio primo disco pensavo che poteva anche essere l’ultimo, ma ero felice. E’ stato così anche con il secondo, pubblicato dalla RCA. Le vendite furono scarse e mi diedero la liberatoria. Pensavo di aver chiuso… A dire il vero questa sensazione è durata fino al disco del grande successo (“Intorno a trentanni”) ma io ero felice, comunque, perché continuavo a suonare e a cantare nei locali e nelle piazze. Il successo non era una priorità, semmai un valore aggiunto.

Mimmo Locasciulli 2Il Folkstudio è insieme crocevia e punto d’arrivo, il sogno che percorre tutta la tua biografia e si realizza nel modo più bello e imprevedibile. Al Folkstudio hai conosciuto artisti incredibili come Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Enrico Pieranunzi e tanti altri. Senti ancora qualcuno di loro, magari per condividere questa parte così importante della tua vita?

Al di là degli amici e colleghi musicisti, con i quali tuttora mi vedo e mi sento, mi porto dentro una sensazione magnifica di quel luogo e di quei tempi. E’ come se il Folkstudio avesse in sé un meccanismo di autoselezione: tutte le persone con le quali ho avuto rapporti di amicizia o di semplice frequentazione hanno fatto qualcosa di bello nella loro vita, indipendente dalla musica. Non amo abbandonarmi alla nostalgia, la vita segue un ritmo naturale e aggiorna continuamente le tue risposte emotive, ma qualcosa mi manca di quel tempo.

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