Anatomia di un istante 4/9 settembre

Serena Williams, infuriata, indica l’arbitro. Lo punta, senza paura, con la potenza che è solita dimostrare in campo, quella che le ha fatto vincere 23 titoli e che non la abbandona adesso, nel suo difficile ritorno dopo il parto, appena un anno prima.. Lui, l’arbitro, risponde con uno sguardo indifferente, poco interessato, ottusamente impeccabile.

Us Open, finalissima. Naomi Osaka contro Serena Williams, l’astro nascente contro la leggenda, il mito da abbattere. Ma il vero protagonista di questo match, come spesso succede, è l’arbitro. Nel primo set, sul 4-1 per Osaka, l’allenatore della Williams Patrick Mouratoglou fa un gesto con le mani, come a suggerire di andare più spesso a rete. Gesto dubbio, ma non per l’arbitro, che fischia l’infrazione e dà un warning alla Williams per coaching: gli allenatori non possono parlare con i tennisti durante un match. Ma è solo la prima schermaglia: durante il secondo set, complice la frustrazione, la Williams spacca la racchetta per terra. Gesto visto più volte, nella solitudine del tennista che può sfogarsi solo con una racchetta. Ma l’arbitro, inflessibile, dà il secondo warning e un punto di penalizzazione. Troppo, per una leggenda come la Williams, che si infuria con l’arbitro. Parole come lava, parole di un’atleta che rivendica di non avere mai imbrogliato, di avere una figlia e giocare per lei.

“I don’t cheat…
You own me an apology…
I have never cheated in my life..
I have a daughter and I stand for what’s right for her…”

L’arbitro, fedele a se stesso, punisce la tirata con un terzo warning e la penalizzazione di un intero game.

Normale dialettica sportiva, forse. Una pressione tutta nuova per la Williams, non abituata a questo ruolo di madre che deve rincorrere, che deve dimostrare di essere ancora la numero 1. Ma il dubbio, amaro, è che l’inflessibilità dell’arbitro, il pugno duro, l’indifferenza, siano quanto meno accentuate dal suo essere donna, in uno sport che ha visto ben di peggio nella sua controparte maschile. Forse sono veleni inutili, accuse immotivate. Ma il fatto stesso che esista il dubbio, che tutto sommato possa essere anche così, fa parte di quel sessismo che è ancora lontano da estirpare.

Si ringrazia Jakee per la foto

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