La Giordania, Terra di Mezzo

È nota la tendenza degli ultimi anni di sostituire la figura del “turista” con quella del “viaggiatore“. Il primo, infatti, è ormai retaggio del tempo in cui l’arte del viaggio era un privilegio per pochi eletti: ancorato alle comodità, ai “resort”, alle visite – diciamo così – di superficie.Il secondo, invece, è colui che sperimenta e cerca di assaporare, in un periodo limitato, l’arte del vivere in un posto. E così dorme in soluzioni improvvisate o si fa ospitare dagli abitanti del luogo; assaggia i cibi tipici; visita gli angoli più remoti, andando oltre i negozi di souvenir.

Tra le mete che si prestano a questo nuovo modo di viaggiare c’è sicuramente la Giordania: terra arida, “venuta al mondo” per essere rifugio di popoli in fuga da decennali conflitti di cui non fa parte, almeno apparentemente (confina con Siria, Iraq, Israele, Cisgiordania e Arabia Saudita). Il viaggiatore che arriva ad Amman, la capitale, percepisce immediatamente un piacevole welcoming, tipico di chi ha fatto dell’accoglienza la propria ricchezza (anche in senso letterale).
A differenza di quanto si possa pensare, infatti, il popolo giordano è aperto, evoluto e molto vicino all’occidente cui siamo avvezzi, pur mantenendo le sue ineguagliabili caratteristiche. Per un italiano, spingersi da Amman a Petra, magari passando per la riserva della biosfera di Dana, significa fare un salto nel tempo e nello spazio. La storia dei siti archeologici, spesso intrisa di cultura greca e romana, s’intreccia con i profumi e i suoni che scandiscono il ritmo della quotidianità: il tè alla menta, l’hummus, le falafel, il canto del muezzin e i clacson di auto di produzione straniera.


Il viaggio, da nord a sud, può regalare infinite distese incolte e secche fino al deserto del Wadi Rum, dove la sabbia si fa rossa e le rocce riflettono il tramonto, in un’orgia di colori unica e irripetibile. La Giordania però è anche acqua. Acqua che c’era e ora, in molti posti, non c’è più. Acqua che ha scalfito, con il suo percorso, il solco della terra, della civiltà e delle religioni. Un tempo tra le rocce di Petra scorreva l’acqua e il segno del suo passaggio è ancora oggi ben visibile su ogni strato; lo stesso cristianesimo affonda le sue radici nelle acque del fiume Giordano. Oggi l’acqua dona emozioni visive tra i coralli del Mar Rosso, unico affaccio sul mare dell’intero Paese, e dolori – lancinanti, se prima si passa dal canyoning – nel salatissimo Mar Morto, che brucia sulla pelle e redime da tutti i peccati.

Il quadro complessivo, che resta negli occhi di chi trascorre un tempo bellissimo, seppur breve, in questa “waste land” è riassumibile in due parole: meraviglia e contraddizione. Su una strada, che conduce ad uno storico castello, possono vedersi contemporaneamente ciuchini, bambini in guerra contro mosche, che volano in panifici improbabili, ma anche negozi acchiappaturisti e prodotti locali a prezzi irragionevoli (almeno per gli autoctoni). Nel deserto, i beduini avvisano i propri ospiti di usare l’acqua con parsimonia, perché risorsa scarsa e poi chiedono anche un selfie con loro, rigorosamente con l’ultimo modello di iPhone. È tutto incredibilmente surreale. Un viaggio, appunto, in una terra di mezzo, tra la povertà e la ricchezza, tra la guerra e la pace, tra il passato e il futuro.

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