Perché, dopo 10 anni, abbiamo ancora bisogno di Walter White

Cosa fa il pesce palla, Jesse? Il pesce palla si gonfia, si espande fino a diventare 4-5 volte più grande. Ma perché lo fa? Per mettere paura agli altri pesci, ecco perché. Per spaventarli. E questo sei tu, tu sei il pesce palla… Capisci, è tutta un’illusione, nient’altro che aria! Ma ora chi oserà mettersi contro il pesce palla-Jesse?

Dieci anni fa andava in onda il primo episodio di Breaking Bad, il capolavoro seriale distillato dall’immaginazione di Vince Gilligan, un eccentrico signore di Richmond reduce dagli allori di X-Files e di un certo cinema badass. Non c’erano Instagram e WhatsApp, a quel tempo, forse correvamo più piano, parlavamo in un altro modo, ma le grandi storie ci lasciavano già attoniti.

Sono centinaia le ragioni per cui Breaking Bad è la miglior serie televisiva di sempre, e si finisce puntualmente per dimenticarne qualcuna: l’inestimabile script, la compiutezza dell’arco narrativo, lo spessore dei caratteri, la trapezistica oscillazione fra pathos e attesa, come una buona tazza di caffè bollente – bisogna soffiare e indugiare, per non restarne scottati. E la bravura degli attori, la scomodità di certi dettagli, finanche l’aria greve che si respira dentro il Fleetwood Bounder beige del 1986.

Breaking Bad è la prescrizione di un buon medico per provare a capire quanto le storie che raccontiamo tradiscano della nostra più inconfessabile natura. E ora che un fortunato prequel e un film schedulato per il 2019 puntano a chiudere il cerchio, che cosa risponderemo a quelli che ci chiedono se vale la pena scavare tanto a fondo nell’autodistruzione?

Breaking Bad è un viaggio. È una lunga rincorsa per spiccare un grande salto. È un manuale di scrittura televisiva. È un ordigno a orologeria. È il record mondiale di apnea quando il blu si fa sempre più nero. È la costruzione di un impero. È la storia di un professore di chimica che scopre di avere il cancro e si mette a cucinare metanfetamina. È un grido liberatorio. È una minaccia velata. È il mio territorio. È il ronzio di una mosca che non vuole morire. È Aaron Paul. È un campanello. È Bryan Cranston. È un vecchio western. È l’opera struggente di un formidabile genio. È una ballata del 1972.

Guess I got what I deserve.
Kept you waiting there, too long my love
all that time, without a word.
Didn’t know you’ld think, that I’d forget, or I’d regret
the special love I have for you, my Baby Blue.

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