Il contrario della satira: Natale a 5 stelle e il cinepanettone netflix

E dire che le premesse erano perfette. Prendere un filone come quello dei cinepanettoni, partito come brillante commedia di costume e diventato un campionario di bassezze stantie. Ricominciare da capo, un vero e proprio reboot. In nome della nostalgia, della tradizione, dell’usanza comune di rivalutare i film del passato apponendogli la comoda etichetta di “cult”. Introdurre una satira leggera, su un governo nuovo di facce e di metodo, e farlo per primi.

E tutto questo su una piattaforma come Netflix, per evitare delusioni al botteghino e provare un approccio diverso, più contemporaneo, coraggioso e insieme rassicurante.

Foto ripresa da Zerkalo Spettacolo

E invece no, Natale a 5 stelle, diretto da Marco Risi e uscito su Netflix lo scorso 7 dicembre, nasce con il rimpianto dell’occasione persa. Il soggetto, creato dai fratelli Vanzina prima della scomparsa di Carlo, vuole omaggiare una commedia fatta di equivoci e inganni come Out of Order di Ray Cooney, dove un primo ministro inglese cercava di nascondere alla stampa una storiella di sesso con la segretaria. Natale a 5 stelle non è altro che una versione attualizzata e italianizzata di questo scenario: il premier, interpretato da Massimo Ghini, è un uomo gretto, di tutt’altra pasta rispetto alla caratura che dovrebbe avere un capo di stato. Al punto da avviare, durante un viaggio di Stato in Ungheria, una tresca con una deputata dell’opposizione, aretino e amante degli uomini forti, interpretata da un’incredibile Martina Stella, perfetta nel suo accento toscano e una delle poche, pochissime note positive del film.

Foto ripresa da Coming Soon

Palese, qui, il riferimento a Giuseppe Conte e Maria Elena Boschi, corredato da tutti i luoghi comuni espressi sulla politica: da Renzi bugiardo a Di Maio e Salvini in perenne litigio, dal segretario Bianchini (Ricky Memphis) che nasce togliattiano e finisce per diventare, suo malgrado, un fedelissimo gialloverde al nostro premier che è un illustre sconosciuto rispetto ai colleghi Macron e Merkel, irraggiungibili. Inutile cercate un’analisi più approfondita, più vera, o quanto meno diversa dalle immagini che vi arrivano da parenti e vicini su whatsapp: Natale a 5 stelle si ferma allo sberleffo, alla risata facile che non mette in discussione il sistema né cerca di fornire una chiave interpretativa. Siamo ai livelli del Bagaglino, ma senza l’abilità giullaresca di maestri come Oreste Lionello o Leo Gullotta.

Senza scomodare i grandi classici, siamo lontani dalla brillantezza di Quo Vado, il film campione d’incassi di Checco Zalone, o anche da quel costume italiano tratteggiato dal primo, inimitabile Vacanze di Natale. Se questi due film tratteggiano due modelli diversi e complementari d’Italia, mammona e spensierata, furba e deresponsabilizzata, Natale a 5 stelle si ferma allo scimmiottamento dei potenti, a un’operazione giullaresca più obsoleta delle volgarità gratuite ma catartiche degli ultimi cinepanettoni.

Le citazioni a Le Iene, Striscia la Notizia e Dagospia non bastano a calare Natale a 5 stelle nell’attualità, nel sentire comune. Lo dimostrano le battute fuori tempo massimo su Rocco Siffredi patrimonio nazionale, fino all’apoteosi vintage dell’assolo di sassofono sulle scene più maliziose, reperto degli anni ‘80 e ormai inconcepibile nel 2018, su Netflix.

Rimane un senso di vuoto e un sentimento vago, simile a una certezza: l’atteso ritorno di Boldi e De Sica è l’ultima occasione di riscatto per un genere come il cinepanettone. E se le premesse sono queste…

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