Pendulum. Merci e persone in movimento

La Fondazione MAST di Bologna presenta una selezione di 250 opere dalla propria collezione di fotografie, installazioni video e photo-album sui temi dell’industria e del lavoro fino al 13 gennaio 2019. I 65 artisti di tutto il mondo sul tema industria e lavoro: Gabriele Basilico, Luca Campigotto, Mario De Biasi, Robert Doisneau, Vincent Fournier, David Goldblatt, Jacqueline Hassink, Lewis Hine, Rudolf Holtappel, Emil Hoppé, Mimmo Jodice, Peter Keetman, Dorothea Lange, Helen Levitt, Winston Link, Don McCullin, Tina Modotti, Ugo Mulas, Alexey Titarenko, Jakob Tuggener. La mostra celebra i 5 anni di apertura dell’omonimo centro culturale, la Fondazione MAST presenta una nuova selezione di opere dalla propria collezione di fotografie, installazioni video e photo-album sui temi dell’industria e del lavoro.

«L’uomo non conquisterà l’infinito con le macchine ma con se stesso. […]  L’ingranaggio vero siamo noi, la macchina industriale ne è solo una caricatura. Abbandoniamo il nostro essere a vantaggio di una moltitudine di oggetti che cresce di giorno in giorno.»

Saint-Pol-Roux

David Goldblatt, “I passeggeri di KwaNdebele” (1983-1984)

La mostra “Pendulum. Merci e persone in movimento“, a cura di Urs Sthael, propone una riflessione sul tema della velocità che caratterizza la nostra società a livello globale. Il pendolo simboleggia il moto perenne del mondo e dei suoi abitanti nello spazio e nel tempo. Il suo oscillare è sinonimo di cambiamenti improvvisi d’opinione, di convinzioni che si ribaltano nel loro esatto contrario. La sua immagine evoca il traffico pendolare, i milioni di persone che la mattina presto per lavoro raggiungono il centro delle città e la sera tornano stanche ai loro quartieri dormitorio, evoca quel perenne scambio di merci a fronte di altre merci, di denaro, di promesse. I lavoratori, fotografati da David Goldblatt, scomparso lo scorso anno, affrontano un viaggio in autobus di quattro ore. Salgono sul bus all’alba per raggiungere il posto di lavoro e poi la sera riprendono l’autobus, ripercorrendo lo stesso tragitto dopo un turno di dieci ore. Trascorrono così ben diciotto ore della loro giornata, per tutto il resto – mangiare, riposarsi, vivere un’esistenza da esseri umani – ne restano solo sei. L’opera intensa spinge all’estremo ciò che Karl Marx aveva definito “risurrezione” della forza lavoro,
Da decenni si continua ad aumentare la velocità e il ritmo, costituendo un ciclo ininterrotto, una gara cui partecipiamo tutti, o realizzando profitti o subendo perdite o per altri percorrendo tragitti lunghi e faticosi per recarsi a lavoro.

La mostra illustra visivamente le energie contrastanti e diametralmente opposte che si sprigionano da questi due fenomeni: da una parte la forza prorompente dei motori, l’enorme accelerazione, i mezzi di trasporto trasformati in feticcio del nostro tempo e dall’altra il rallentamento, la brusca, violenta frenata, il blocco dei flussi di persone che migrano sotto l’eco degli abusi del colonialismo. Gli unici ostacoli alla velocità sembrano essere i perdenti locali e globali della modernità. Sono le persone che nella loro diversità non possono adeguarsi alla norma della velocità.

Xavier Ribas, “Nomadi/Nomads” (2008)

Nella mostra c’è ad esempio la testimonianza fotografica con un’installazione “Nomadi/Nomads” di 36 pezzi dell’artista Xavier Ribas di quando nel febbraio 2004 a Barcellona dei macchinari pesanti entrarono in un’area industriale dismessa, occupata da una sessantina di famiglie zingare. In pochi giorni venne demolita la pavimentazione in cemento del posto, gli zingari fuggirono terrorizzati. Rimase un cumulo di macerie, quasi un muro orizzontale come per tenere sgombro il posto, quasi come i resti di un popolo dominato. Questo metodo di dissuasione dimostra solo quanto la violenza e la distruzione per il controllo dello spazio finiscano per avere un potere senza pari, economico chiaramente.

Richard Mosse, “Skaramaghas”, dalla serie “Il castello” (2016)

Richard Mosse con il suo lavoro “Skaramaghas” lungo 7 metri – dalla serie di heat maps “The Castle” (2016) elaborata con una termocamera militare – associa il commercio globale alle migrazioni: Skaramaghas è il campo profughi di Atene.  Sul margine sinistro Mosse fotografa container con delle merci che verranno trasportate lungo le rotte globali, sul margine destro gli stessi container che vengono utilizzati come abitazioni per i migranti, individui rimasti bloccati  che non possono andare avanti né tornare indietro e che attendono il momento in cui sapranno se hanno ottenuto o meno il permesso di soggiorno. Richard Mosse negli ultimi anni si è dedicato alla rappresentazione della crisi legata alle migrazioni di massa che vedono coinvolti Medio Oriente, Nord Africa ed Europa. Al centro del suo lavoro c’è la volontà di interrogarsi sulla percezione e sul trattamento dei rifugiati da parte dei governi e delle società civili. Il suo ultimo progetto è una meticolosa documentazione dei campi di accoglienza disseminati lungo le vie migratorie che vanno dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale all’Unione Europea e mette a fuoco gli ambienti punitivi dove i migranti sono trattenuti in una sorta di limbo, divenendo spazi concepiti per la sorveglianza e il controllo per dare visibilità a situazioni generalmente non rappresentate. Il risultato sottolineato da Mosse è una denuncia di come profughi e migranti siano volutamente esclusi dal partecipare o contribuire alla vita delle società moderne, che di fatto ne precludono l’integrazione. L’unica barriera al mito della mobilità globale è il flusso migratorio, l’obiettivo è rallentare il ritmo fino alla stagnazione.

Se si pensa alla genialità e all’energia che negli ultimi due secoli hanno spinto gli uomini a progettare mezzi e infrastrutture per muovere merci, persone e dati, si pensa forse anche a un moto senza posa su noi stessi.
La forza prorompente dei motori, della produzione di veicoli fino alla loro trasformazione in metafora, feticcio, in simbolo di status sociale, di uno stile di vita. La locomotiva a vapore simboleggia la progressiva accelerazione, le nuove opportunità di conquista del territorio, il trasporto di merci e persone da un estremo all’altro di un paese, di un continente. Ma arriva anche per il mezzo un incidente, rottami di veicoli e la sostituzione. Siamo pronti così a fermare tutto con forza perché in fondo l’accelerazione, abbinata all’irrealizzabilità delle promessa di una salvezza, al continuo afflusso di immagini nuove, prospettive nuove, prodotti nuovi è il motore del capitalismo che divora tutto e a una velocità ben maggiore di quella umana, forse anche più di quella della luce.  È il buco nero della nostra società.

Note

In copertina Annica Karlsson Rixon, “Camionisti bianchi”, 1994-1999© Annica Karlsson Rixon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.