TV, Web e Intrattenimento

Il futuro oltre la scatola: TV, web e nuove regole dell’intrattenimento

Sarabanda

Enrico Papi e Coccinella, ancora oggi capisaldi del palinsesto di Mediaset Extra

Ho un amico che guarda la televisione, come me.

Quando parliamo, finisce sempre che uno dei due attacchi con la citazione, rigorosamente dagli anni ‘90, per ovvie ragioni di anagrafe. Gli chiedo se la settimana scorsa ha seguito quel varietà, quella fiction, quel talk, oppure mi scrive per dirmi di cambiare canale, perché c’è Enrico Papi che sta strillando il suo tormentone. In effetti, noi la televisione non la guardiamo. La veneriamo, la approfondiamo, la leggiamo come il Codice di Hammurabi o la Stele di Rosetta. È un paradigma, nell’alveo dell’intrattenimento.

Però ci preoccupa. Siamo come quei genitori apprensivi che aspettano alzati fino a tardi, perché dell’amato figlio non c’è traccia, e quando finalmente risponde al telefono il segnale è disturbato.

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Oggi lo spettatore è bombardato di stimoli – più di quanti riesca a sopportarne – per via dell’abbondanza di interlocutori e dell’eccesso di contenuti. Le tecnologie e il web hanno prodotto un aumento dell’offerta a scapito di una domanda mai così incoerente e spacchettata, figlia di una platea volubile. Finita l’epoca d’oro della TV di servizio, ogni utente da par suo ha preteso (e in parte già ottenuto) un catalogo diversificato; ma quella che poteva essere una conquista dell’audience si è rivelata, invero, la scintilla che ha innescato il conflitto, una battaglia commerciale fra stakeholder assetati di visualizzazioni e share.

Fiorello Viva RaiPlay

Dal karaoke al web il passo (non) è breve

Dentro un palinsesto irregolare, come un liquido che si adatta alla forma del recipiente, i programmi televisivi urlano la loro supremazia, in una sorta di «impressionismo» audiovisivo che si fa hic et nunc. Ma la partita si gioca a un livello più alto: da status symbol che era, il medium ha dovuto prendere atto dei suoi limiti, aprendosi alle piattaforme digitali per colmare il gap con lo streaming a un tanto al mese. Un’evoluzione ineluttabile, che la televisione di casa nostra ha abbracciato con la lentezza di un grande animale costretto a cercarsi un habitat più compatibile, al mutare delle condizioni climatiche e ambientali. Nel caso del servizio pubblico c’è poi lo scotto del canone, che è come il ticket dell’ospedale, ed esige in cambio una prestazione di livello.

Pamela Prati

Caltagirone’s Angels (Fonte: Radio Deejay)

Sull’esempio di Netflix e Amazon Prime, sono arrivati nuovi portali e archivi multimediali, che dei competitor hanno sì la forma, ma non la «malizia». Questione di tempo e di prassi, mentre la singolar tenzone si sposta sulla forza dei contenuti: non più titoli ma brand, come le lattine di pomodori sullo scaffale del supermercato. E la televisione, quella che prima era tubo catodico e oggi sono cristalli liquidi, si adegua, congegna trame e sottotrame, inventa storie che non hanno assolutamente niente di reale se non il riflesso sull’Auditel – d’altra parte Mark Caltagirone ce lo ricordiamo tutti.

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Io e il mio amico lo sappiamo, la televisione di Sarabanda e del Festivalbar non tornerà più, ma quella d’altra parte era solo una tappa del percorso. Nuove sfide attendono l’audiovisivo, e su YouTube qualcuno ha già intercettato il trend servendosi di un microfono e di un paio di luci: ai malevoli sembreranno gli epigoni di certe emittenti locali a basso budget, bamboccioni solitari in cerca di protagonismo; ma a un riesame sarà facile notare un linguaggio diverso, una presa sull’attualità del tutto inedita, con le peculiarità del racconto di genere e l’impronta della cultura pop. Non ci si lasci fuorviare dalle ridondanti parodie musicali o dalle flatulenze di Frank Matano e soci: il dibattito nerd/scientifico/filosofico/politico si fa (anche) sui canali di giovani youtuber che, con un programma di montaggio e un packaging essenziale, sono sul pezzo assai più degli opinionisti da salotto.

Streaming

E tu da che parte stai?

Quindi su YouTube si fa la nuova televisione? Asserendolo, credo si farebbe un torto agli anchorman quanto ai creatori di contenuti sul web. Si tratta di due prodotti distanti, con delle premesse e, al momento, dei pubblici di riferimento ancora troppo diversi: YouTube è la piattaforma di video-sharing per eccellenza, la televisione è quel posto patinato in cui Alessandro Cattelan è da circa un decennio la cosa più innovativa che si sia mai vista. Ma il merito del Tubo è di aver rovesciato dopo decenni l’unilateralità del rapporto, superando la liturgia del palinsesto e incoraggiando la bulimia di contenuti, fruibili a qualunque ora del giorno e della notte. Un «controllo» forse solo apparente (gli algoritmi sono sempre al lavoro), ma che ha bruciato sul tempo l’on demand, le tecnologie smart e gli eventi premium; in attesa della realtà aumentata o di una evoluzione del mezzo in senso (simil-)videoludico.

Un Medico in Famiglia

Lele Martini, l’ultima speranza contro il decremento demografico

Il problema della TV, allo stato attuale, sono i numeri: la guerra dello streaming e i giganti dell’intrattenimento cannibalizzano gli ascolti, così gli sponsor esercitano prudenza, le aziende investono di meno e in prima serata approdano le soap ispaniche a basso costo. Una filiera che penalizza gli show e le produzioni più ambiziose, a vantaggio di un palinsesto affidabile e mai veramente sperimentale. Che poi, io e il mio amico, Un Medico in Famiglia o Quelli che il Calcio ce li guardiamo lo stesso, ma con la stessa sofferta indulgenza con cui abbiamo visto Robert De Niro passare da Taxi Driver a Nonno scatenato.

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Persone ben più capaci di noi stanno già cercando di governare questo passaggio epocale, mettendo alla televisione un vestito nuovo; ma questo non vuol essere un pamphlet fine a se stesso, o uno di quei discorsi vetero-qualcosa. Quindi ecco, in chiusura di articolo, qualche annotazione sottovoce, quando una certa TV – vista l’ora – è già archiviata e un’altra TV è appena cominciata:

Ciao Darwin

Che fa, cincischia?

1)    le reti devono riscoprire la loro identità. In Italia, dall’alba del digitale terrestre, si sono già persi in tanti; viceversa, la crescita di un canale come LA7 è diretta conseguenza del fatto che chiunque cerchi politica, mette sul 7 e ce la trova. Lo stesso dicasi di Real Time per quanto riguarda il factual.

2)    il web è (ancora) disorganico. Fino a qualche tempo fa, in pochi si erano accorti che fosse una risorsa; e in molti, a tutt’oggi, si limitano a mandare in onda i tweet o a leggerli in diretta. E poi c’è Ciao Darwin, che spacca l’internet perché, di fatto, è una fabbrica di meme.

3)    la prima serata è monolitica, pensata per coprire due o tre ore fra access prime time e palinsesto della notte. Ripensare i programmi TV per «momenti», invece, genererebbe contenuti automaticamente spendibili sul web.

4)    le grandi trasmissioni del passato (FestivalbarGiochi Senza Frontiere) sono state rimpiazzate da insulse copie one-shot. La storia recente trabocca di format dalla forte eco, ma dal respiro corto: qualcuno ricorda il Nemicamatissima del duo Cuccarini/Parisi?

Come ti vesti

«Anch’io fondamentalmente ho un cuore.» (Enzo Miccio, 2011, Real Time)

5)    manca una certa dose di coraggio: il ricambio generazionale tarda ad arrivare e scarseggiano gli investimenti sul talento fatto in casa (che poi costa anche meno, in termini di redditività e bilancio).

6)    la generalista deve accantonare l’approccio pedagogico e istituzionale in favore di prodotti più trasversali: oltre allo strazio e al varietà, ci sono infinite declinazioni possibili, in grado di corrispondere a una fascia di pubblico specifica un prodotto su misura (una “utility TV” all’americana, per dirla con Freccero).

7)    nella corsa a un servizio personalizzato, la digitalizzazione dei contenuti è parte di un ecosistema più vasto, che punta a raccogliere informazioni e dati statistici – un po’ come accade coi social network. Guai se la televisione tradisse del tutto la sua vocazione, in ragione del profitto e in spregio del suo pubblico.

Temptation Island

«Né più mai toccherò le sacre sponde / ove il mio corpo fanciulletto giacque»

8)    lo spettatore merita un racconto avvincente, non diteci che l’affaire Caltagirone o le tresche di Temptation Island sono il meglio che sapete fare. Si può parlare a tutti senza sdoganare una narrazione triviale: ci scusi Enzo Paolo Turchi, ma delle sue emorroidi non sappiamo proprio che farcene.

(grazie ad Adriano Pugno per l’involontario contributo)

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