Il bacio è più potente della spada. Storia di un gesto che ha cambiato Sanremo

«Il bacio», secondo una famosa citazione di Ingrid Bergman, «è un dolce scherzo che la natura ha inventato per fermare i discorsi quando le parole diventano inutili».

Mille baci, e poi ancora cento, e poi altri mille, citando Catullo. Baci d’amore, baci di Giuda, baci accademici, baci tra amanti e baci filiali, baci rubati, baci che fanno la storia. Il bacio è un gesto rapido, effimero, che può cambiare il corso delle cose e diventare un significante, nella quotidianità di tutti i giorni come nel discorso pubblico. 

E a Sanremo, dove il privato e il suo opposto si mescolano fino a perdere i confini e le differenze, i baci hanno cadenzato alcuni dei cambiamenti più inaspettati, quelli che a posteriori hanno dato nuovi colori e linguaggi al Festival, rivoluzionandolo nel tempo di uno schiocco di labbra. 

Si potrebbe raccontare la storia di Sanremo partendo dai suoi baci, addirittura.

La prima canzone vincitrice a liberalizzare i baci è Buongiorno tristezza di Claudio Villa e Tullio Pane. Erano i tempi in cui ogni brano aveva la doppia interpretazione, e la censura non permetteva di parlare con troppa enfasi di effusioni e pratiche amorose. Solo un anno prima, Giorgio Consolini aveva portato al successo Tutte le mamme, fondando il gusto del pubblico e della RAI su valori da ancien régime:

Quando in un bacio mi chiese un cuore

le diedi un cuore, perdetti un cuore.

Gli anni Sessanta cominciano con i 24000 baci di uno scatenato Adriano Celentano, in coppia con Little Tony. Una canzone di rottura, che porta il rock’n’roll e un approccio molto più spigliato e disinibito, col Molleggiato che arriva persino a voltare le spalle al pubblico durante la performance: un atteggiamento che mette in imbarazzo i vertici RAI e la critica più reazionaria. Non c’è traccia di amore aulico nel brano: il bacio è bello e catartico, non ha bisogno di sovrastrutture o esegesi.

Gli anni Settanta vedono un momento di generale appiattimento dell’offerta sanremese come dell’interesse del pubblico, e i bassi ascolti sembrano paventare la fine del Festival. Ma Sanremo, e non sarà un episodio isolato, risorge dalle proprie ceneri giocando la carta Claudio Cecchetto, il dj per antonomasia, frequentatore di club e cultura giovanile, affiancato da un giovanissimo Roberto Benigni

Il guitto di Castiglion Fiorentino spariglia la liturgia con un approccio privo di freni, ed è suo il primo, vero bacio sul palco dell’Ariston: dopo una goffa dichiarazione d’amore, si lancia sull’attrice Olimpia Carlisi e la bacia per ben 27 secondi, provocando lo sgomento di un tecnico Rai lì vicino, e probabilmente di migliaia di censori.

Il bacio viene sdoganato a Sanremo, ma con l’avvento del “baudismo” diventa semplice sketch, caricatura, momento di colore. Anzi, Baudo ne fa quasi un tormentone, un dazio da pagare alla macchina dello share: memorabili, infatti, i suoi baci a Luciana Littizzetto (ben due, nel 2003 e nel 2013, come a celebrarne il decennale), a Loredana Berté (altra habitué del “limone” sanremese, da Baglioni e a Ron) fino alla splendida Sharon Stone – più tardi, in un’intervista, Baudo avrebbe rivelato particolari piccanti su una visita fuori orario in albergo alla protagonista di Basic Instinct

«Mi disse di togliermi gli occhiali e lì pulì, poi mi disse “Look me again”, cioè di guardarla ancora. L’ho fatto, ma senza agire oltremodo. Un po’ in ebollizione. Poi abbiamo parlato del suo intervento a Sanremo dell’indomani».

Gli anni Novanta e Duemila sono la stagione dei baci da rotocalco, momenti di show tra goliardia e voyeurismo. Le spalle comiche si strusciano coi conduttori per scatenare il risolino della prima fila, la sera dei duetti è una parata di baci per farsi beffe del galateo, gli attori di fiction concedono un assaggio delle effusioni che si scambieranno in scena, per far venire il languorino a fini promozionali. Il bacio si inflaziona fino a depotenziarsi quasi del tutto, a parte rare eccezioni: nel 2012, la finalissima si apre sulle note di All you need is love, con decine di coppie che si baciano alla francese in una delle costruzioni coreografiche di Daniel Ezralow.

Ma la realtà irrompe nello spettacolo, e allora anche un gesto abusato come il bacio, in un tempo di contatti mancati, assenti, sfiorati, vietati, diventa una forma di riscatto, uno schiaffo alla norma, dentro una cornice in cui la trasgressione si eleva a oggetto d’arte.

Si deroga dai dpcm e dal “comune senso del pudore”, provando a scansare il raggio dei droplet e le reprimende di quel pubblico asserragliato sul divano che ancora brandisce il telecomando come un mazzapicchio medievale. I “maschietti in giarrettiera”, per citare una triste uscita del senatore Pillon sui Måneskin, rimuovono i luoghi comuni, sbeffeggiano il cerimoniale, diventano simboli in carne e ossa di tutti gli amori non eteronormati, sdoganati ovunque meno che nell’anima gretta dei detrattori.

I baci di Achille Lauro e Boss Doms, di Elettra Lamborghini e Myss Keta, scandiscono un tempo che cambia, finiscono in homepage anche se non fanno più notizia: sono il punto esclamativo di una regola nuova, che non può più essere messa in discussione. 

Il bacio è più potente della spada, nella Città dei Fiori. Un gesto svuotato e riempito oggi di altri significati, tutti legati all’amore. La speranza, «quando ne avremo scambiati molte migliaia», è di non sprecarne il valore universale, contro «ogni malvagio» che «ci porti sventura, sapendo quanti sono i nostri baci».

Vittorio Polieri, Adriano Pugno

Proprio in questi giorni, gli autori hanno pubblicato Perché Sanremo è Sanremo. Guida sentimentale al Festival e al suo pubblico per Edizioni Epoké. Potete trovare maggiori informazioni qui.

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