Da bambino a ragazzo italiano – Il romanzo di Gian Arturo Ferrari

Il 2 luglio ci sarà la premiazione del Premio Strega 2020 che quest’anno non solo vede concorrere ben sei finalisti al posto della solita cinquina, ma anche il ritorno di Feltrinelli – che manca dal 2016 – con il romanzo Ragazzo italiano scritto da Gian Arturo Ferrari. Un romanzo di formazione in cui l’autore prende spunto dal suo vissuto per raccontare l’infanzia e l’adolescenza.

Ferrari è molto noto sia nell’ambito accademico che in quello editoriale: oltre a essere professore di Storia del pensiero scientifico presso l’Università di Pavia, Ferrari aveva cominciato anche il suo apprendistato editoriale. Lasciata la cattedra nel 1989, ha deciso di dedicarsi totalmente al mondo dei libri diventando prima direttore dei Libri Mondadori negli anni Novanta e poi vicepresidente di Mondadori Libri.

Ragazzo italiano, ambientato durante il secondo dopoguerra, racconta la storia di Ninni dall’infanzia all’adolescenza. Ninni è un bambino un po’ timido, silenzioso, abituato a passare l’anno tra l’immaginaria Querciano, in Emilia, e l’immaginaria Zanegrate, in Lombardia. A fare da sfondo un’Italia segnata dalla povertà, dalla crisi, dalla vita contadina che Ninni vede e osserva intorno al Vaticano, nome dato alla casa di famiglia in cui abita la nonna. Fin dall’inizio si percepisce una solitudine infantile, accentuata dall’imbarazzo che il bambino prova perché “tartaglia” (balbetta), una balbuzie che il padre del protagonista disapprova e che crea fra loro un muro. Dall’altro lato, invece, c’è la madre, protettiva e costretta a bilanciare il rapporto tra sua madre, la nonna di Ninni, e il marito. E poi c’è la Lella, la sorella più piccola, con il quale il protagonista – a poco a poco – si troverà ad avere un buon rapporto, caratterizzato da complicità e dal raccontarsi e condividere segreti e risate.

Dopo una prima parte in cui si conoscono i componenti della famiglia di Ninni e varie questioni familiari di cui parlano i grandi e a cui Ninni presta molta attenzione facendo finta di nulla, il padre decide che è giunta l’ora di trasferirsi a Milano, distrutta dalla guerra ma in ripresa, e di andare a vivere in città, in un palazzo con addirittura l’ascensore e i tram che passano per le vie. Ed ecco che, man mano che passa il tempo, arrivano anche gli elettrodomestici, ma soprattutto il televisore.

A Milano le scuole sono diverse rispetto alla provincia in cui la maestra faceva distinzioni fra figli degli industriali e quelli dei contadini. Ninni così finisce le scuole elementari seguito dal maestro Poli, umile abruzzese, che crede in Ninni e che gli insegna a “esprimersi, a dire e a scrivere quel che si pensa, che si vuole, che si chiede”. A Milano la scuola, popolata da studenti ricchi e poveri, viene vista come un luogo di rivalsa e di promozione sociale: «Ma è anche vero che il maestro Poli […] diceva: “A noi qui non interessa da dove viene uno, se da una baracca o da un palazzo. In generale ci interessa latro, cosa c’è dentro la sua testa. quella ci preoccupiamo di arredare. E comunque, più che da dove viene, a noi interessa sapere dove uno va”.»

Finite le elementari e cominciate le medie, a Ninni accadono due cose: il padre, un giorno, si impunta e decide che Ninni dev’essere chiamato con il suo vero nome, Pieraugusto, perché Ninni, quel soprannome datogli da bambino, non va più bene ed è così che Ninni diventa Piero. Ma soprattutto Ninni/Piero comincia a provare un senso di amore e di attrazione nei confronti delle storie, dei libri.

Ma, pur rinnegandola, non avrebbe mai dimenticato l’emozione di veder emergere davanti ai propri occhi, come una nuova Atlantide dall’Oceano, l’intero continente della letteratura. e insieme l’altra e collegata emozione di intuire che quella era la sua vera casa.

Piero diventa grande, matura grazie alla lettura e capisce di star subendo una metamorfosi: non è più il bambino che tartaglia, ma un ragazzino che prende coraggio, più sicuro di sé. Scopre la masturbazione e i primi amori, sceglie di studiare, si infervora leggendo libri e addirittura fumetti e si iscrive al liceo classico dove, con alcuni compagni, avvia l’operazione “grandi intellettuali rispondono ai liceali” riuscendo a intervistare anche Eugenio Montale (non è specificato, ma è stato raccontato dall’autore stesso, ndr).

Il finale, di cui non faremo spoiler, è ambientato in una località, meta di molti studenti del liceo Classico, mistico luogo quasi di pellegrinaggio: la Grecia, popolata da miti e da personaggi omerici, da suggestioni e da storie.

Si cominciava a intuire che cosa fosse la Grecia, ma solo quando dopo un paio di giorni uscirono da Atene lo capirono. Dovettero però uscire davvero, ancora al capo Sunio, dove si apriva l’autentico mare greco, quello che aveva preso il nome dal re Egeo suicida di fronte alle vele nere di suo figlio Teseo – ogni luogo in Grecia era pieno di storie, tutto riecheggiava –, ancora al capo Sunio c’era troppo chiasso, troppi pullman, troppe macchine fotografiche a immortalare il tramonto.
Incontrarono la Grecia, quella vera, dove finivano le strade asfaltate, polvere e sassi, con le vecchie vestite di nero che vendevano uva passa e fichi secchi, i tuguri di pietra e le ripide pendici delle colline terrazzate. Il segreto della Grecia, amara come il suo odore, stava nel quasi insopportabile contrasto tra quel che si vedeva e quel che significava, tra l’apparenza minima e il contenuto massimo.

Ragazzo italiano è un romanzo sincero, scorrevole, intimo. L’autore dà (e riesce a descrivere in modo minuzioso) una fotografia dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, problematica ma anche animata dalla voglia di migliorare e ricostruire tutto (emblema ne è il boom economico degli anni Sessanta). Che Ferrari abbia provato e provi tuttora un amore spropositato per i libri e le parole lo si capisce da quello che di sé infonde al suo personaggio in fieri: tenero Ninni, deciso Piero. Molto bello.

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