Storia, memoria e ucronie: intervista a Michele Rocchetta

Nella splendida introduzione ad Anatomia di un istante, Javier Cercas spiega come un romanzo abbia la virtù di dare una forma e una struttura a cose che ne sarebbero naturalmente prive. Tra queste la Storia, ovviamente, che a dispetto dei libri che studiamo e provano a riassumerla è di per sé disordinata, non ha una trama, un punto di partenza, una fine. Michele Rocchetta è un appassionato di Storia e uno scrittore di romanzi ucronici, che interroga la Storia del ‘900 ponendosi un dubbio: cosa sarebbe successo se Hitler fosse stato ucciso durante la celeberrima Operazione Valchiria? Rocchetta risponde con una saga esaltante, piena di colpi di scena e di personaggi che conosciamo benissimo: J.F.K., Almirante, il generale Patton, Mitterand, Pertini, il Duce. E insieme il fascismo, la guerra fredda, la bomba atomica.

Questa saga, edita da Edizioni Epoké, si compone di due libri: L’Ombra del Duce ed Extrema Ratio. Ne parliamo direttamente con l’autore, che ringraziamo per l’intervista.

Partiamo da dove eravamo rimasti: potresti riassumerci la storia di L’Ombra del Duce? Senza spoiler per chi non lo letto, ovvio!

Quindi, partiamo dall’inizio! L’Ombra del Duce è un romanzo ucronico. La vicenda è ambientata in un mondo la cui storia diverge dalla nostra per il fatto che il 20 luglio 1944, il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, uccide Hitler. Avendo successo l’Operazione Valchiria, la guerra in Europa finisce i primi di settembre del 1944. In Italia, dove Mussolini riesce a scappare e a far perdere le proprie tracce, si consuma una guerra civile che lascia il paese diviso in due. Al nord, diciamo sopra la linea Grosseto – Terni – Fermo, si realizza la Repubblica d’Alta Italia, stato a ispirazione socialista, nato dall’unione delle Repubbliche Partigiane; al sud, si consolida il Regno d’Italia, in mano guidato dai Savoia, finanziato dagli angloamericani e con una forte componente fascista interna. La narrazione de L’Ombra del Duce è ambientata a metà degli anni ’50. Il protagonista, Alberto Scandellari, è un ex partigiano (nome di battaglia, Vento), ex deportato in campo di concentramento, che ha trovato una propria collocazione professionale nei servizi segreti della Repubblica dell’Alta Italia. In particolare è tra gli agenti dell’SLL (Servizio Localizzazione Latitanti), un reparto specializzato nella caccia ai fascisti e nazisti fuggitivi. In questo senso, la cattura o l’uccisione di Mussolini è il principale obiettivo di Scandellari e dei suoi colleghi. Il romanzo si apre proprio con il protagonista che viene incaricato di raggiungere ed eliminare il Duce nella neutrale Spagna; là dove è stato individuato. Nella realizzazione di questa missione Scandellari, di solito lupo solitario, viene affiancato da un giovane agente dei Servizi francesi, Georges Leconte. L’azione ha successo ma il modo e l’esito insospettiscono i due agenti i quali, abituati a essere i cacciatori, improvvisamente si trovano a rivestire il ruolo delle prede. Inizia in questo modo una rocambolesca avventura dove amici e nemici si confondono e, nel corso della quale, si scoprono intrighi pericolosamente destabilizzanti per la pace europea, che risulta essere davvero molto fragile.

Il Duce, pur comparendo in pochissimi passaggi, era il personaggio attorno a cui ruotava il primo romanzo della saga. Nel secondo la situazione geopolitica cambia: il Duce ha l’appoggio degli angloamericani, lo scacchiere in campo è più vasto, quello di Mussolini è uno spettro importante ma non l’unico. Avevi in mente questa svolta già durante la scrittura del primo volume?

Fino alla chiusura de L’Ombra del Duce non avevo intenzione di scrivere un seguito. Dico, fino alla fine, perché il minuto dopo aver terminato la prima stesura, le idee hanno cominciato a prendere forma. Mi sono reso conto di aver lasciato una grande quantità di problemi irrisolti, di nodi ingarbugliati e molte domande sospese. I personaggi, anche alcuni minori, avevano preso una consistenza e uno spessore che chiedeva sviluppo. Aggiungo che i miei primi lettori hanno chiesto, tutti, “e dopo?” A quel punto ho iniziato a costruire una scaletta, cercando di immaginare una storia molto coinvolgente, e a scrivere. Quasi inutile dire che della scaletta è rimasto ben poco, visto che la storia ha voluto prendere una direzione non prevista all’inizio. Per dirne una, nell’architettura iniziale di Extrema Ratio, oltre ai teatri che vediamo nel romanzo, avevo ipotizzato uno scenario nordamericano gestito da un’agente francese. Poi l’ho tagliato, quando sono stato a tre quarti della scrittura.

Michele Rocchetta

L’andamento dal primo al secondo libro mi ha ricordato l’effetto di una valanga, che si ingrandisce nel tempo e nello spazio. Nel primo volume avevi dato una spinta alla storia, qui ne ritroviamo tutti gli effetti più o meno catastrofici. Per questo cambia anche la tua prospettiva di scrittore: invece di seguire soltanto l’agente Scandellari, alterni fronti e punti di vista. Com’è cambiato il tuo approccio al romanzo dal primo al secondo libro?

Giusta osservazione. Leggendo un dibattito tra appassionati di ucronia (sì, ne esistono in numero sufficiente per generare un dibattito) mi colpì un’affermazione: non ha molto senso provare a immaginare una trama ucronica credibile, oltre i 15/20 anni dal POD (il Point of Divergence). E io sono d’accordo. Questo in ragione di quello che hai chiamato effetto valanga. Si ritiene che dopo quell’intervallo ogni ipotesi si baserebbe su fondamenta troppo inconsistenti. Con Extrema Ratio, mi posiziono al limite di questo lasso temporale e, proprio per questo effetto domino, ho ritenuto che i cambiamenti potessero essere tali da necessitare teatri di azione differenti e un numero di protagonisti più ampio. Così, se nell’Ombra del Duce, possiamo dire che i protagonisti sono essenzialmente due, in Extrema Ratio, sono almeno una decina. Forse, anche in virtù di questa proliferazione di personaggi, il tempo narrativo si è contratto e tutta l’azione si realizza in poco più di una settimana. Si aggiunga che avevo voglia di esplorare anche la parte dell’altro, per dirla con Schmitt, sfidare il lato oscuro, con le parole di Kenobi.

Extrema ratio è un libro di dettagli. I mezzi, i quartieri, le armi. Ci puoi raccontare il lavoro di ricerca e di studio che lo ha preceduto?

Sono partito avvantaggiato dal fatto che ho una passione, fin da bambino, per la storia militare e per il modellismo statico militare; quindi, per molti versi, posso dire che certi argomenti mi sono famigliari da sempre. Aggiungo che la Storia, in generale, mi è sempre stata congeniale (la mia tesi di laurea è stata in storia moderna, sulle rivolte contadine sotto il ministero Richelieu) e ha esercitato su di me un fascino irresistibile, soprattutto dopo aver scoperto l’opera di Marc Bloch. Detto questo, quando si vuole raccontare una vicenda ambientata nel passato e, per di più, ucronico, per poter catturare il lettore e portarlo a girare pagina, occorre curare ogni minimo particolare. Non basta dire che tizio fa certe cose. Occorre raccontare come le fa, con quale abbigliamento, fumando quali sigarette, con i tempi imposti da trasporti più lenti, con informazioni meno accessibili. Quindi, a ogni pié sospinto, mi sono trovato a consultare libri e filmati d’epoca per capire cosa mangiavano, come vestivano, che atteggiamenti avevano, come tagliavano i capelli. Il rischio dell’anacronismo era dietro ogni scenario immaginato. Solo con una robusta – e divertente – fase di studio poteva evitarlo. Internet è un potente alleato, sia dal punto di vista delle informazioni testuali che da quello dell’iconografia. Va detto che di tutto il materiale, la massa di informazioni raccolta, nel romanzo ne ho utilizzato non più del venti per cento. Sono servite soprattutto a me per creare contesto e per poter avere la visione del complesso, per poi narrarne una piccola parte.

Spesso in questi mesi si parla di teorie del complotto, riletture della storia diverse da quelle ufficiale. La tua è una rilettura della storia e dei suoi personaggi. Chiaramente la differenza è sostanziale: il tuo è un romanzo, queste invece sono modi per raccontare diversamente la realtà. Che idea ti sei fatto di queste storie? Qual è il rapporto tra le storie e la Storia?

Nel fare narrativa ucronica io gioco con la storia, ma il patto con il lettore è chiaro: ti racconto una vicenda di fantasia, e lo sappiamo entrambe. Lo studio della Storia è una faccenda divertentissima, ma seria. Si possono passare ore a leggere gli Annales, a farsi domande su quanto abbia piovuto in un periodo e, quindi, quanto abbiano inciso le precipitazioni sui raccolti, sulle disponibilità alimentari delle persone, su come queste abbiano spinto i contadini ad assaltare o meno la residenza del nobile locale. Ma ci vogliono i documenti, ci vogliono le prove. Occorre che le nostre teorie siano supportate da fonti certe. Questo è fare Storia. Se manca il rigore documentale, allora si romanza, ci si può anche divertire (come con le ucronie) ma non si fa studio della Storia. Occorre tenerlo presente, quando si leggono alcuni testi. Faccio due esempi distorsivi: le tesi neoborboniche, nella mia esperienza, si appoggiano sempre su scritti di altri autori neoborbonici. Non si trovano mai riferimenti bibliografici a fonti certe e di valore riconosciuto. Questa non è Storia: è un cane che si morde la coda. Diverso il caso di autori come Pansa, che prendo solo come esempio, che confondono memoria con Storia. Per citare Barbara Kingsolver, la memoria è parente della verità, ma non è la sua gemella. La memoria è individuale, il frutto del ricordo personale di un avvenimento, senz’altro vero, nella propria, privata percezione. La Storia, invece, è la summa di tutti gli avvenimenti, liberati dalla percezione personale. Fermarsi alla memoria può avere un potente effetto distorsivo. Proprio su queste distorsioni si innestano le ragioni del proliferare delle fake news.

Mussolini e Almirante, tra i protagonisti della storia, tornano spesso nell’attualità di oggi, diventando persino trending topic su Twitter. L’Italia sembra non aver ancora fatto i conti con il fascismo. Ci riusciremo mai?

Anche in questo caso il problema nasce dalla confusione tra Memoria e Storia. Rimanere ancorati alla memoria non permette di fare quel processo di elaborazione necessario a definire la Storia. La Storia deve ricostruire la verità, che è una cosa molto complicata, perché dentro alla verità ci stanno le storie/memorie di tutti. Fino a qui, potremmo anche esserci. Il problema sorge quando si tratta di fare il passaggio successivo, ovvero esprimere una opinione, un giudizio di valore. Se non abbiamo superato la fase di memoria e metabolizzato la Storia, ogni volta che qualcuno si troverà a esprimere un giudizio di valore, toccherà il nervo scoperto di qualcun altro, innescando ulteriore conflitto. Quindi, riusciremo mai a fare i conti con il fascismo e con la sua memoria? Mi auguro di sì, ma ci vorrà molto tempo, tanto studio, confronto e la consapevolezza che le questioni sono complesse e come tali vanno affrontate. La semplificazione può essere fortemente divisiva.

Ultima domanda, ma necessaria: ci sarà un terzo capitolo?

Non ti nascondo che, qualche volta, leggendo i giornali, mi nascono delle idee che potrebbero vedere il ritorno di alcuni personaggi dei due romanzi. Poi, però, mi ricordo della regola di non andare oltre i 20 anni dal punto di svolta, e soprassiedo. Per ora, non c’è nulla in cantiere. O meglio, nulla di ucronico.

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