I sepolti vivi – Rodari per il sociale

«Lo zolfo è oro, oggi più che mai, e domani lo sarà più di oggi.»
Gianni Rodari

Sono nata in Sicilia, a Caltanissetta, una città la cui area – insieme alle province di Enna e Agrigento – è nota anche come “altopiano gessoso-solfifero”, una zona dai grandi giacimenti minerari di zolfo, che ricorda l’oro anche nel colore, sebbene con un tono più livido.

Se penso alle miniere mi ritorna in mente Ciàula scopre la luna, una delle più famose novelle di Luigi Pirandello, studiata a scuola in tutte le salse eppure non mi stanco mai di leggerla o ascoltarla. Quando penso alle zolfare della Sicilia centrale, invece, penso spesso a mio nonno materno. Si chiamava Attilio Colombo e per passione faceva il poeta. Di poesie sui minatori ne ha scritte a bizzeffe perché amava la sua terra, le sue origini e si batteva, molto, tanto, per il sociale.

Laggiù,
tra i labirinti bui d’incastellati livelli,
muta e a tentoni
par che si muova ancora
l’anima ingiallita
della solfara abbandonata.
[…]
Più non si sente – ormai –
l’acre odore dell’acetilene
né gli acuti miasmi dello zolfo fuso
dai tanti, cari, vecchi calcaroni.
[…]
Laggiù – ormai –
in quegli oscuri meandri, senza vita,
niente si vede più, nulla si sente;
non la vivida luce d’una miccia
né il rumore di tanti brillamenti.

Laggiù – ormai –
nella solfara abbandonata,
è scoppiato… il silenzio!

(Attilio Colombo)

Il secolo scorso anche un’altra persona si è battuta tanto per il sociale, non sapeva ancora che sarebbe diventato il padre della letteratura per l’infanzia, che avremmo continuato a parlare di lui e a leggere le sue storie, e che il centenario della sua nascita (che ricorre in questo nefasto 2020) lo avremmo festeggiato a dovere. Sto ovviamente parlando di Gianni Rodari (un approfondimento lo trovate qui), scrittore, poeta, pedagogista, maestro, giornalista.

Ma com’è che le miniere si legano a Rodari? Ci viene raccontato in I sepolti vivi, graphic novel di Silvia Rocchi, nato da un’idea di Ciro Saltarelli, pubblicato da Einaudi Ragazzi lo scorso sei ottobre, e tratto da un reportage dello stesso Rodari pubblicato sulla rivista «Vie nuove» nel 1952.

Non ci troviamo in Sicilia, bensì nelle Marche, precisamente nelle viscere della miniera di zolfo più grande d’Europa, tra Cabernardi e Percozzone, in provincia di Ancona. Lì, il 28 maggio del 1952 moltissimi minatori decisero di rimanere sottoterra per protestare e ribellarsi contro la società Montecatini, che aveva mandato a oltre ottocento di loro lettere di licenziamento.

«Le lettere di licenziamento portano la data del 27 e del 28 maggio. L’occupazione è cominciata il 28. Il turno che era sceso alle quattordici, alle ventidue non risalì. Pochi del turno successivo hanno fatto in tempo a scendere perché la direzione fece bloccare le gabbie degli ascensori. I minatori rimasti in superficie occupano la miniera dall’esterno, per impedire che la Montecatini carichi e porti alle raffinerie il materiale già estratto.»

Rodari racconta questa lotta contro il padronato focalizzandosi non solo sui minatori, ma anche sulle donne, tra cui mogli di minatori, che ogni giorno percorrono dai dieci ai venti chilometri sotto il sole cocente per far da guardia alla miniera o per portare da mangiare ai mariti che a turno salgono su. I poliziotti controllano i cestini con dentro il cibo, temono che dentro ci siano messaggi segreti o le sigarette. Le donne – così come gli uomini – a testa alta e con coraggio da vendere non si intimoriscono e, anzi, accettano di buon grado di dormire pure per terra la notte, per dare un messaggio forte e chiaro: da lì loro non si schioderanno.
Nel graphic novel la dicotomia tra buio – sotto, dentro – e luce – sopra, fuori – è molto intensa grazie alla scelta dei colori e alle espressioni dei volti, stanchi, ma decisi e convinti di continuare a non piegarsi a quest’ingiustizia.

Il giornalista militante, nel suo reportage, narra la storia di Ernesto e Maria, sposati da due anni, che «si vogliono bene alla maniera semplice ed appassionata dei giovani, e soltanto la coscienza di un dovere operaio, accettato con altrettanta semplice passione, dà loro la forza di sopportare il distacco». Ma Rodari racconta anche tante altre storie come queste, cita per esempio quella di Delfino Romei che non ha neanche trent’anni e che si sarebbe dovuto sposare. Il 29 maggio sarebbe dovuto andare a comprare il corredo, ma il 28 scese in miniera e non risalì.

In brevi frasi, Rodari riesce a descrivere un mondo pieno di persone che amano i loro diritti quanto le proprie mogli e i propri mariti. Si percepisce la durezza della scelta, rimanere “sepolti vivi” per non perdere il lavoro o farsi trasferire, per un ideale volto alla comunità e alla giustizia, e non si può fare a meno di dire a Rodari, a Silvia Rocchi, ai minatori e alle loro mogli: «Chapeau!».

«La lotta dei minatori di Cabernardi non è dunque soltanto una vertenza sindacale, per la difesa del posto di lavoro. […]  È una lotta per la difesa dell’industria italiana dalle conseguenze paurose della corsa al riarmo. Politica giusta e lotta sacrosanta. E oggi da tutta Italia si guarda ai sepolti vivi con meraviglia, con stupore, con ammirazione.»

Una lotta sindacale importante che si protrasse per quaranta giorni e non diede i risultati sperati, ma gli insegnamenti di questa storia sono molti e fanno riflettere sulle scelte e sulla propria forza di volontà.

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