La gabbia di vetro e il grande destino di Colin Wilson

Quando nel 1956 Colin Wilson pubblicò The Outsider (tradotto come Lo Straniero nella prima edizione italiana di Lerici riproposto come L’outsider da Atlantide nel 2016), i critici pensarono di aver trovato in lui l’autore che avrebbe condizionato i futuri decenni della letteratura inglese. The Outsider è una raccolta di considerazioni, a metà tra la critica letteraria e la speculazione filosofica, in cui Wilson riflette sui concetti di alienazione, genialità ed esistenzialismo. La sua tesi immaginava che gli uomini dotati di una grande visione fossero in grado di distaccarsi dalle banalità della società: «Lo Straniero è principalmente un critico, e se un critico percepisce abbastanza in profondità ciò che critica, allora diventa un profeta».

Nelle pagine del suo libro d’esordio l’autore analizza i processi creativi di una serie di grandi personalità – Nietzsche, Sartre e van Gogh tra i molti – per arrivare a creare un archetipo, un Outsider, descrivendone la lotta tra l’estasi creativa, i picchi di illuminazione e la banalità della vita quotidiana. Il costante tentativo esistenziale di rimuovere tutti gli impedimenti fisici e psichici alla creatività. Lo stesso Wilson non fece mai mistero di rispecchiarsi nel ruolo di Outsider, affermando di considerarsi sin dall’età di otto anni, “un genio destinato a grandi cose”.

Erano le riflessioni di un ventiquattrenne autodidatta che aveva abbandonato la scuola otto anni prima e da allora si era mantenuto con una serie di lavori occasionali. Le cinquemila copie previste dall’editore Gollancz per la prima tiratura erano apparse a molti come un azzardo; due mesi dopo, The Outsider aveva venduto oltre ventimila copie. La visione del mondo di Wilson scatenò l’entusiasmo della critica britannica e termini come “capolavoro” e “maestro” si sprecarono nelle decine di recensioni che uscirono a corredo della pubblicazione.

Poco più di un decennio più tardi, quando The glass cage (La gabbia di vetro) uscì nelle librerie, la sua immagine era già offuscata e quelli che erano stati i suoi critici più entusiasti avevano da tempo ritrattato i loro giudizi. Le sue brillanti considerazioni erano diventate pensieri eccessivamente semplificati; il suo saggio esaustivo e luminoso una serie di studi manipolati per aderire alle tesi dell’autore. Il disamoramento fu rapido quanto l’infatuazione iniziale.

Accanto alle ragioni letterarie, la caduta fu dovuta anche a una serie di scandali da tabloid che videro coinvolto Wilson. Innanzitutto, il divorzio dalla prima moglie e le reazioni legate alla diffusione dei suoi diari sul «Daily Mail», nei quali, accanto ad abbozzi di episodi erotici per i suoi futuri libri – che turbarono la parte più benpensante del pubblico inglese dell’epoca – comparivano frasi in cui Wilson si descriveva come un profeta o come il re filosofo di Platone. Infine, anche la scelta di dedicarsi principalmente al genere della crime novel influì pesantemente sulla percezione della critica, incapace di accettare il thriller come il campo d’azione di un autore che si aspettavano sarebbe diventato il più influente della sua generazione.
Ne La gabbia di vetro sono presenti tutti gli elementi del pensiero di Wilson, quelli che ne hanno causato la fortuna e la caduta. Il romanzo è stato tradotto e pubblicato nel 2018 da Carbonio Editore, che già l’anno precedente aveva dato alle stampe Un dubbio necessario e nel 2019 ci ha portato il primo episodio della trilogia di Gerald Sorme, Riti Notturni, e la speranza di vederla tradotta integralmente in italiano nei prossimi anni.

La trama del romanzo prende l’avvio da quello che potrebbe essere considerato un leitmotiv della cultura britannica; nella città di Londra sono stati commessi una serie di efferati delitti sulle rive del Tamigi, concentrati soprattutto nei quartieri adiacenti a Whitechapel. Accanto ai corpi martoriati, il killer ha lasciato scritte sui muri una serie di citazioni di William Blake, incisore e poeta dell’epoca vittoriana che per tutta la vita sostenne di aver sperimentato delle visioni intrise di misticismo cristiano.

È questo il motivo per cui la polizia decide di coinvolgere nelle indagini Damon Reade, il principale studioso britannico di Blake e Whitehead, un giovane poco più che trentenne che vive ritirato dal mondo nel Lake District, intrattenendo sporadici rapporti umani solo con l’antiquario Urien Lewis e con sua nipote Sarah, una studentessa sedicenne di cui Damon è promesso sposo, non si capisce bene se per un vero sentimento o per non voler deludere l’affetto della ragazza. Le sue relazioni con il mondo esterno avvengono tramite una fitta corrispondenza con altri studiosi di letteratura vittoriana, ed è questa corrispondenza che interessa al sergente Lund che si reca di persona a casa di Reade, della cui innocenza inizialmente dubita, nella speranza che lui possa aiutarlo a identificare, tra i suoi interlocutori, qualcuno con la personalità abbastanza disturbata da poterlo rendere sospetto degli omicidi.

Reade, profondamente colpito dal racconto della vicenda fattogli da Lund e incredulo all’idea che un conoscitore di Blake possa rendersi protagonista di una serie di crimini così efferati, decide di partire per Londra, dove insieme a un vecchio amico e a una serie di nuove conoscenze inizierà a cercare di risalire all’identità dell’assassino.

Presentato in questo modo, sembra di essere di fronte a un thriller abbastanza classico e forse nemmeno troppo originale nella sua trama, ma bastano poche pagine a rendersi conto come Wilson sia più interessato a parlare di altri argomenti, per il cui sviluppo il genere del thriller è semplicemente un genere più funzionale di altri per essere utilizzato come strumento di analisi psicologica e di promozione del suo pensiero mistico-filosofico.

Questo viene spiegato sin dalle prime pagine del romanzo, quando il sergente Lund domanda a Reade perché abbia deciso di occuparsi di William Blake isolandosi dal resto della comunità, e diventa ancora più evidente quando si entra nel vivo dell’investigazione. Alle classiche indagini di tipo poliziesco – sopralluoghi, interrogatori e pedinamenti – è dedicato uno spazio minimo, e tutte le svolte nascono da speculazioni di tipo psicologico. Saranno queste speculazioni a fornire gli elementi per far progredire la narrazione e permettere la comprensione delle motivazioni che hanno portato agli omicidi.

A interessare Wilson non è solo la psicologia dell’assassino, ma come questa entri in relazione con quella del protagonista. Reade è il mistico, il pensatore esistenziale in cui l’autore stesso si rispecchia e nel quale Wilson riversa le sue teorie filosofiche; è una figura in grado di superare gli ostacoli con la forza della volontà in opposizione alla vitalità disordinata e negativa dell’omicida.

Ironicamente, per Wilson ci sarà, a quindici anni di distanza dalla pubblicazione del romanzo, un’altra ragione per poteri identificare con Reade. Negli anni ’80 la polizia britannica lo contattò in relazione agli omicidi attribuiti al cosiddetto squartatore dello Yorkshire. Wilson inizialmente pensò che la polizia cercasse da lui una consulenza per comprendere la mentalità del killer, mentre in verità era stato inserito nella lista dei sospetti.

Wilson fu poi scagionato da ogni accusa. È curioso notare come il vero assassino, Peter Sutcliffe, provenisse da una storia sociale e umana molto simile a quella di Wilson; entrambi erano nati nell’ambiente della provincia del centro-nord dell’Inghilterra – Wilson nel Leicestershire, Sutcliffe nello Yorkshire – da famiglie appartenenti alla working class, entrambi avevano lasciato la scuola durante l’adolescenza per mantenersi con vari lavori occasionali ed entrambi erano ossessionati dalla morte e dal sesso. Sutcliffe espresse questa vitalità in tredici omicidi e numerose aggressioni, mentre Wilson in oltre cento pubblicazioni, molte delle quali aventi come tema il crimine e il sesso.

Wilson non è mai diventato l’Outsider che aveva immaginato di poter diventare. Non ha visto l’umanità compiere quel salto evolutivo che, ancora negli anni Novanta, pensava essere imminente né è diventato il più grande scrittore britannico della sua generazione, questo è abbastanza evidente, però ha creato una delle costruzioni filosofiche più originali degli ultimi anni. Non possiamo però sapere se al termine della sua vita abbia ritenuto di essere davvero riuscito a rompere quella gabbia di vetro che limita il potenziale umano.

Alessandro Buscaglia

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