Questo giorno che incombe

Tu lo sai perché uno ha paura quando è solo?

Quanto può diventarci estranea la nostra vita? La realtà a volte può incombere come il rombo di un tuono che fa tremare le pareti di casa in un pomeriggio di sole, mentre cerchiamo di scansare via il pensiero della pioggia che inevitabilmente arriva a coprire con la sua coltre di umidità i nostri balconi fioriti.

Antonella Lattanzi ci racconta esattamente questo in Questo giorno che incombe (HarperCollins, 2021). Lo fa partendo da un fatto di cronaca accaduto negli anni ottanta a Bari, che ha toccato la sua vita quando era bambina fino a trasformarsi in qualcosa da elaborare da adulta e che utilizza magistralmente per scrivere un romanzo che è insieme un thriller, una storia d’amore e una narrazione sociale.

Francesca, la protagonista, è una donna che crede di avere tutto: una nuova casa, un marito che ama, due figlie meravigliose e una nuova prospettiva di vita. L’autrice ce la presenta con un incipit che però ci fa immediatamente capire quanto presto arriverà non solo il rombo del tuono, ma soprattutto un devastante temporale. Lo percepiamo chiaramente quando ci troviamo di fronte ad un cancello rosso e al segno di un cattivo presagio. 

Siamo nella periferia di Roma, in un quartiere dove la realtà sembra quella di una favola: un condominio dove tutti si conoscono, nessuno ha le tende alle finestre e i bambini giocano in cortile mentre i vicini chiacchierano sotto i mandorli fioriti. 

Quando l’incidente accade, per Francesca tutto è già cambiato. Il profumo dei fiori, che l’aveva accolta al suo arrivo, è diventato quasi un puzzo e quella che sembrava un vita perfetta si è sgretolata sotto il macigno di una nuova realtà in cui lei, donna indipendente e volitiva, si è ridotta a essere solo una funzione, quella di madre. Le sue figlie la soffocano, non riesce a concentrarsi sul lavoro, i giorni diventano tutti uguali, a tal punto da non riuscire più a ricordarli. La Lattanzi ci mostra questa trasformazione facendola scivolare tra i primi capitoli del libro, allungando e comprimendo il tempo in una fisarmonica di pensieri che tracollano, fino a rendere insopportabile il peso delle responsabilità e a farci pensare quanto possa essere difficile il dovere dell’amore incondizionato e quanto cari si pagheranno certi errori.

Imprigionata in un mondo che avverte popolato da mostri, Francesca si domanda se sia lei la pazza o gli altri i folli. Cerca di rifugiarsi nel lavoro, quel libro per bambini in cui vuol narrare come si possa fare amicizia col buio, ma i cui disegni, da colorati e gioiosi, si sono trasformati in cupi e grigi e vengono fuori di getto, trasportandola in una realtà lontana. Le sue figlie, Angela e Emma, vivono nel mondo privilegiato dal tocco della fantasia, ma avvertono il dolore della madre, quasi con piglio da adulte, fino a spingerla a chiedersi quanto questa sua sofferenza le segnerà (Chi è infelice ti divora).  

Francesca prova a sopravvivere, a non ascoltare l’urlo di libertà del suo io profondo, tentando di schiacciarlo con il tono severo del senso del dovere. Non riesce a stringere amicizia con vicini che le appaiono chiaramente diversi da come si mostrano e soprattutto non riesce a parlarne col marito: il suo matrimonio si è rivelato diverso da quello che credeva. Massimo nutre sentimenti di cui lei non aveva idea o che forse non aveva voluto scorgere: quegli intimi, cattivi pensieri che le coppie si nascondono più spesso di quanto possano ammettere.

Francesca è sola e ha paura: paura di non essere più in grado di controllarsi e di non riuscire a proteggere le sue bambine dai mostri, con la sensazione ossessiva che uno di quei mostri potrebbe essere lei. 

E poi arriva, inevitabile, il perturbante alla porta. Un rumore, un’ombra che si muove a pochi passi da noi: ma l’abbiamo vista davvero o è solo il vento tra le fronde? La sensazione di terrore è però profonda e reale: il pericolo fra le mura di quello che dovrebbe essere rifugio e che  si trasforma in prigione. 

Basta un attimo, solo un piccolo momento di distrazione e siamo persi

E a perdersi e confondere, a incrociarsi e sovrapporsi ci sono tutte le voci di questa storia: quelle del condominio, del quartiere, dei media e dei personaggi che inquietano per quanto reali. La voce della protagonista, che le scivola via per essere diretta da quella della casa, un vero e proprio personaggio che sembra controllare il tempo della vita di Francesca e che le parla, mettendo in crisi ogni sua scelta. 

La casa, con le sue mura che si allargano e si restringono, che si sgretolano e che mostrano le crepe dei pensieri, è il luogo in cui anche noi veniamo rinchiusi dal magistrale tocco hitchcokiano dell’autrice, che riesce a farci sentire imprigionati come la protagonista a tal punto che in ogni momento in cui lei si muove in altri posti, anche noi torniamo a respirare. 

Il piano narrativo è magistrale, chi legge ha sempre un dubbio: qual è la verità? Impossibile capirlo se si è circondati dal sospetto

Dopo qualche tempo dall’incidente che segna il punto di non ritorno in diversi sensi nel romanzo, compaiono le pesanti tende in tutti i balconi. È già tardi: Francesca sa che quella famiglia, quella setta che lei odia, condannerà chi non ne ha mai fatto parte, in una frattura insanabile tra un noi e un loro, dove la verità sta solo da una parte. Qui la Lattanzi si sposta su un altro piano ancora e mostra quanto le voci degli altri possano influenzare il nostro giudizio e farci perdere la capacità critica, catturandoci nonostante il nostro ribellarci. Persino l’amore più coinvolgente crolla di fronte alle dicerie e al terrore del diverso e tutto il romanzo sembra quasi chiederci se saremmo in grado di trovare la forza dentro di noi per salvarci aggrappandoci disperatamente a una possibile libertà, come tenta di fare la sua protagonista.

Piccolo gioiello è il prologo, in cui l’autrice spiega la genesi del libro, e che è esattamente quel cancello rosso davanti al quale ci mette all’inizio: una porta che si apre e che ci accompagna nella storia. Da rileggere una volta terminato il romanzo per gustarne ancora una volta la perfezione. 

A tre anni da Una storia nera, Antonella Lattanzi torna con un libro potentissimo, in cui indaga le contraddizioni profonde delle relazioni, la curiosità morbosa che ci spinge a chiederci cosa nascondano le tende del nostro vicino, la sensazione che i posti conservino il nero di quello che vi è accaduto e che ingloberà anche chi li attraversa, la difficoltà di un confronto onesto con noi stessi e quello pericoloso e impattante con la realtà, il più abile dei nemici. Un libro che è vivo, respira, urla, che non si può lasciare fino all’ultima riga e che ci resta legato addosso come un piccolissimo braccialetto rosso sul polso di una bambina che gioca in cortile, nonostante la pioggia.


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