Il mito del deficit spiegato da Stephanie Kelton

In un mondo afflitto da numerose crisi sistemiche, aggravate dall’emergenza Covid-19, l’economista americana Stephanie Kelton parla da tempo de Il mito del deficit e qualche settimana fa per Fazi Editore è finalmente uscita la versione italiana de The Deficit Myth: Modern Monetary Theory and the Birth of the People’s Economy. Rappresenta forse il libro di economia divulgativa più discusso del 2020, probabilmente nel mondo. Naomi Klein definisce Kelton come una fonte indispensabile di chiarezza morale sulla moneta, sul debito e sul deficit fornendo gli strumenti per un futuro sicuro per tutti, in particolar modo per la ripresa economica post-Covid.

Per fare ciò abbiamo bisogno di smontare pezzo per pezzo tutti i miti dell’economia neoliberale, mostrandoci come nell’attuale scenario abbia mostrato i suoi limiti motu proprio. Ed è proprio quello che questo libro fa. La teoria economica dominante mainstream ha per anni avuto la meglio, anzi una supremazia incontrastata. Oggi però viene minacciata dalla teoria monetaria moderna o MMT (Modern Monetary Theory).

La MMT ci invita a ripensare completamente il funzionamento della finanza pubblica: il bilancio dello Stato non è come quello di una famiglia o di un’impresa privata. Contrariamente a questi, lo Stato può emettere il denaro che spende disponendo della sovranità monetaria – di cui però l’Italia non dispone non controllando la propria valuta ma ne parleremo. Teoricamente gli emittenti di valuta possono creare dal nulla tutto il denaro che vogliono e non possono mai finire i soldi né possono essere costretti a fare default sui loro titoli di debito. Per esempio l’America emette il denaro (il dollaro USA), mentre famiglie, aziende, governi locali e soggetti esteri semplicemente lo utilizzano.

Gli Stati che dispongono della sovranità monetaria possono creare “dal nulla” tutto il denaro di cui hanno bisogno. Questi governi, dal punto di vista tecnico, hanno una capacità di spesa illimitata: possono cioè acquistare senza limiti tutti i beni e servizi disponibili nella valuta nazionale. I deficit pubblici non danneggiano le future generazioni né pregiudicano la crescita a lungo termine per la Kelton. Le politiche sociali non compromettono la sostenibilità fiscale dello Stato: finché questo si impegna a effettuare i pagamenti può sempre permettersi di supportare queste politiche. Ciò che conta è la capacità di lungo termine di produrre i beni e i servizi reali di cui le persone hanno bisogno. 

E il ruolo delle tasse allora? Per la MMT le tasse esistono perché hanno la funzione di creare una domanda per la moneta dello Stato. Il governo può definire la moneta nei termini della propria unità di conto (dollaro, yen, peso, eccetera…) e poi dare valore ai propri biglietti di carta richiedendoli in pagamento sotto forma di obblighi di pagamento come le tasse. Non sono i nostri soldi che il governo desidera ma qualcosa di reale: il nostro tempo. Kelton spiega che affinché noi produciamo cose per lo Stato, questo inventa degli obblighi di pagamento come le tasse. Warren Bruce Mosler, il padre ideatore della formulazione più recente della MMT, spiegava come la maggior parte di noi ha sempre avuto in mente la sequenza sbagliata: non sono i contribuenti che finanziano lo Stato ma è lo Stato che finanzia i contribuenti. Nell’economia che Kelton immagina, la spesa pubblica aumenterebbe e diminuirebbe in conformità con il ciclo economico seguendo i principi keynesiani di base: spendere durante le flessioni e le crisi, che si assottigliano quanto più l’economia raggiunge la piena occupazione.

La MMT costituirebbe la base di un nuovo approccio del fare politica oltre gli attuali orizzonti. Kelton descrive un altro mito per il quale i deficit sono la dimostrazione di un eccesso di spesa. Ciò si scontra con la realtà per Kelton: se vogliamo sapere se ci troviamo di fronte a un eccesso di spesa, guardiamo all’inflazione. Una leggera inflazione è considerata innocua ed è persino qualcosa che gli economisti vedono di buon occhio in un’economia sana e in crescita. Se però i prezzi cominciano a salire più velocemente dei redditi della maggior parte della popolazione questo vuol dire che si sta verificando una diffusa perdita di potere d’acquisto. 

Contrariamente a quanto si possa pensare, Kelton non sostiene che l’inflazione non sia un problema, ma raccomanda un approccio diverso, più attento con la mitigazione preventiva dei rischi. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo il nostro problema non è l’inflazione quanto la possibile deflazione causata dalla mancanza di consumi da parte dei privati e di investimenti da parte delle aziende. Per Kelton a generare l’inflazione non è la creazione di moneta ma la scarsità di beni, di lavoro o una capacità produttiva non sufficiente.

Stephanie Kelton

Stephanie Kelton

Per costruire una società più giusta e più prospera, per Kelton non possiamo continuare a portare avanti una narrazione continua di scarsità ma dovremmo iniziarne una di opportunità. Il mito del deficit rappresenta un fondamentale contributo ai dibattiti americani di stampo progressista. Non è un caso che Stephanie Kelton con una brillante carriera accademica sia a capo della task force economica del neo presidente americano Joe Biden (prima era stata consulente economico per il senatore Bernie Sanders nella sua corsa alla nomination democratica per le presidenziali), che sia stata ex economista capo presso la minoranza democratica della Commissione bilancio del Senato statunitense e che sia la divulgatrice più nota della MMT. 

Sappiamo che quello che si dibatte in America poi ha un’onda di propagazione anche in Europa e nei dibattiti sulla moneta unica europea. L’Italia è un paese industrializzato altamente sviluppato e tecnicamente avanzato ma senza sovranità monetaria. Utilizza quella che è a tutti gli effetti una valuta estera, si indebita cioè in una valuta che non controlla. Ed è per questo che la capacità di spesa dei nostri governi dall’entrata dell’euro è effettivamente dipendente in larga parte dalle entrate fiscali, dalla capacità di emettere titoli sui mercati e dalla BCE, un’istituzione indipendente sovranazionale che è soggetta a serie limitazioni per quello che concerne la sua capacità di offrire un supporto illimitato e incondizionato ai mercati sovrani della zona euro (a differenza delle altre banche centrali). 

In qualsiasi trasmissione che parli di economia o politica ci ripetono che siamo terzi al mondo per peso del debito pubblico pro capite. Per Kelton, nella prefazione italiana del suo libro, l’Italia senza autonoma gestione della politica di bilancio ha rinunciato alla possibilità di poter perseguire un’agenda politico-economica che serva al meglio gli interessi dei cittadini, sollevando anche seri problemi di legittimità democratica.

La politica italiana negli ultimi anni ha continuato a essere dominata dallo spettro dello “spread” – il differenziale tra i tassi di interesse dei titoli di Stato italiani e quelli dei titoli di Stato tedeschi –, in base all’assunto errato secondo cui i tassi di interessi sono fissati dai mercati, i quali necessitano di essere “rassicurati” dai governi per mezzo di politiche fiscali “responsabili”, quando in realtà, come spiego nel libro, i tassi di interesse sui titoli di Stato sono una variabile che dipende sempre dalla politica monetaria della banca centrale (anche quando quest’ultima sceglie, per ragioni politiche, di lasciare che siano i mercati a determinare i tassi, come ha spesso fatto la BCE in passato).

Secondo Kelton la BCE può sempre impedire che l’aumento del deficit (o dei livelli del debito) spinga all’insù i tassi di interesse. Se lo avesse voluto, la BCE avrebbe potuto scegliere di stabilizzare i tassi di interesse italiani durante le turbolenze politiche italiane degli ultimi anni, consentendo così il regolare svolgimento del processo democratico, invece di lasciare che i mercati obbligazionari influenzassero l’agenda politica. 

Ho trovato molto interessanti i suoi ragionamenti sulla situazione dell’eurozona e del nostro paese, nel libro troverete passaggi e argomentazioni ben più complesse. Spesso Kelton ha una visione radicalmente differente rispetto al pensiero economico più diffuso in alcuni passaggi. Gli spunti sono molto interessanti e vengono spiegati dei concetti che ogni cittadino che fa parte di uno Stato (soprattutto europeo) dovrebbe sapere con coscienza. Per non parlare anche di quale è il peso dell’approccio neoliberista e quanto abbia assoggettato la nostra sfera privata alle logiche del mercato, in particolare nelle recenti crisi dal 2008 in poi. 

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