“Il corpo incantato” di Roberto Peregalli

C’è un libro, quasi un manuale, che mi ha incuriosita per l’esito raffinato e colto, Il corpo incantato edito da La Nave di Teseo, l’ultimo libro di Roberto Peregalli, filosofo e architetto, che scrive un omaggio profondo al corpo femminile e alle sue “sublimi” sfaccettature. In un mondo in cui l’imperfezione viene ripudiata, filtrata dall’irrealtà dei social, la donna viene vista da un’angolatura segreta, messa a nudo nella sua fragilità e nella sua profondità misteriosa.

Gli argomenti del libro sono strettamente legati, dalle forme del corpo agli atti che lo manifestano. Sono pensieri, aforismi, appunti di viaggio legati da un fil rouge comune: l’imperfezione della bellezza e la sua forza lucente, ma anche il senso della bellezza effimera e sottile del corpo della donna e del fascino che ha sempre suscitato. La bellezza non è solo un ideale, ma una forma concreta con varianti molteplici e infinite che creano l’unicità di ogni corpo, la sua specialità, il suo fascino, il suo mistero.

Dopo averci condotto negli abissi della parola “invisibile” esplorando la vera conoscenza che è quella delle cose invisibili con il suo libro La corazza ricamata. I greci e l’invisibile, nei giochi metafisici di una memoria in cui il passato nelle sue innumerevoli sfaccettature influenza il nostro presente ne I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione e dopo averci guidato nei meandri della Recherche di Proust, Peregalli scrive questa quarta tappa di un suo percorso personale. Questa sua riflessione ha a che fare con il passato, il divenire, il pensiero umano e la conoscenza. Per i Greci antichi il corpo della donna, la sua bellezza plastica ideale rappresentava l’armonia e le sue curve disegnavano il mondo.

Il corpo incantato è definito dall’autore stesso un “piccolo manuale (quasi) pornografico“. In realtà questo libro non è solo personale ma ci svela la donna vista da un’angolatura segreta, raffinata, messa a nudo dallo sguardo dell’autore. Il corpo femminile è analizzato in ogni sua curva, guardato, desiderato, vissuto. Dodici sono i capitoli, brevi e intensi, in cui il testo viene accompagnato da poesie e dipinti.

Gustave Courbet, “L’origine del mondo”, 1866

Il corpo femminile è avvolto dai temi della nascita, dell’anima e dell’amore ma c’è qualcosa di più come «Lo aveva capito Courbet quando ha dipinto L’origine del mondo. Per questo avvicinandosi a quella tela si prova sgomento, come di fronte all’abisso. In qualche modo il corpo di una donna nella sua verità è un’esperienza indicibile» (1). Questo sgomento lo aveva provato Lacan stesso che avevo acquistato il dipinto nel 1955, che lo teneva nel suo studio, nascosto da un velo perché i pazienti non lo vedessero.

L’immagine di copertina del libro è l’immagine speculare proprio del dipinto di Courbet. Il viaggio che è dietro al libro è lungo il corpo femminile tolto dalla cornice di un quadro. L’intimità del corpo è descritta in modo pudico contrariamente alla pornografia, cioè cruda materialità del corpo, che è spiattellata invece con nonchalance quotidiana. Da una parte è stato detto troppo sul corpo femminile, da secoli, dall’altra è ancora un argomento tabù per certi versi. La pornografia propone continuamente immagini violente e forti suscitando sdegno o desiderio, ma «non ha la forza del corpo vero e proprio davanti a sé, né della visione del quadro di Courbet, perché si muove all’interno di un recinto di schemi che limita il suo risultato» (2). Scrivere del corpo della donna non è affatto facile per questo motivo.

Jenny Saville, “Plan”, 1993

Il corpo diventa una cosa codificata dentro canoni o cornici ben definiti ma per rivelare il proprio mistero deve liberarsi da queste catene. Il decadimento fisico punitivo derivato dal cristianesimo, che ha costituito l’ossatura della ricerca sul nudo femminile nell’arte, si salda in un’unica sostanza magmatica in cui il corpo non idealizzato si mostra nella sua carnalità disadorna. Questo avviene a partire da Courbet fino alle opere di alcuni importanti pittori degli ultimi decenni, come per esempio Jenny Saville. I corpi raffigurati dalla pittrice sono deturpati, ingranditi e storpiati: la carne, anche spappolata, assurge a una costruzione monumentale, la lacerazione dei tessuti corporei crea un rapporto di osmosi tra l’esterno e l’interno dei corpi, nell’unità della carne. Nelle accademie ottocentesche la donna nuda era un soggetto tra i più accreditati per imparare a disegnare e modellare come fosse una natura morta. Dalla Venere di Botticelli all’Olympia di Manet la donna si mostra sulla tela in tutta la sua florida bellezza senza censure, ma senza al tempo stesso entrare in una metafisica del corpo, dietro quella cortina di superficie smaltata, oltre cui si nascondono gli orifizi che fanno della donna un mistero assoluto.

È nella nudità che però nasce un’opera d’arte involontaria che è carne:

«Se da una parte la nudità non si lascia costringere nel recinto delle convenzioni, dall’altra il potere che ha su di noi la pone ai margini della vita sociale. Se esposta in pubblico la nudità è scandalo, trasgressione. In privato lo diventa, perché apre le porte di un mondo segreto in cui la fusione dei corpi, il loro intra-allacciamento, ne costituisce l’ultimo atto. Il fatto di non tenere in considerazione la nudità, lasciarla passare davanti a te senza che susciti un’emozione, questo sì è un prodotto delle convenzioni, ed è una reazione forzosa, innaturale.» (3)

Per Peregalli non esiste un paesaggio più bello ed emozionante di quello del corpo della donna. Viviamo come tabù la nudità che diventa indifferente quando è nella quotidianità della vita, come passare davanti a opere mirabili senza nemmeno soffermarsi o vivere un miracolo senza rendersene conto. Altro tabù legato al corpo della donna è quando è malato.

«Non ci si vuole far vedere nudi, nemmeno di fronte alla morte.» (4)

L’autore ha visto morire la madre, ha visto il suo corpo che l’ha fatto nascere e che aveva visto nudo nell’infanzia. La prima apparizione delle forme femminili nella sua vita, poi non l’aveva più osservato se non vestito, a parte il volto e le mani, le cui rughe tracciavano i segni del tempo. Quando guardava la madre nel corso degli anni, la osservava come si osserva un oggetto che appartiene alla nostra vita. Quel corpo non gli parlava più. Era diventato uno dei tanti che si incontrano nella vita di tutti i giorni, per strada, al ristorante o in un negozio. Luoghi e corpi infatti si intersecano in un intreccio intriso di nostalgia e di ammirazione. Peregalli scrive da esteta dannunziano pescando dai suoi abissi interiori memorie, sogni, desideri, immagini che si imprimono sulla retina del nostro sguardo interiore.

Il corpo incantato è un libro quasi scandaloso che contravviene a tutte le regole e categorie  non so dove potreste trovarlo collocato in libreria! Un libro colto che crea un percorso verso il mistero della donna tra la sua sublimazione e il desiderio, tra la banalità della consuetudine e l’ovvietà della pornografia. Il bacio o l’abbraccio di una donna sono atti metafisici. Il corpo femminile è vivo, vero, bello solo perché imperfetto ad ogni età.

Note

Come immagine di copertina il quadro Étude de fesses di Felix Vallotton dipinto nel 1886. Nell’immagine di copertina del libro una foto di questo dell’autore stesso.

(1) Roberto Peregalli, Il corpo incantato, La Nave di Teseo, 2020, pag. 16

(2) Ivi, pag. 35

(3) Ivi, pag. 22

(4) Ivi, pag. 79

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