Cambiamenti climatici e disuguaglianze sociali – Scopriamo la gentrificazione climatica

Negli ultimi decenni i processi di gentrificazione hanno interessato e attraversato diverse realtà urbane, sia in Italia sia all’estero. Con l’emergere della crisi climatica come questione non solo ambientale ma anche profondamente socio-culturale, gli esempi di gentrificazione legati agli effetti dell’aumento delle temperature iniziano a essere sempre più visibili e a destare sempre più preoccupazione. Non a caso, recentemente si è iniziato a parlare di gentrificazione climatica per identificare quei processi attraverso cui persone generalmente abbienti decidono di trasferirsi verso aree meno a rischio e meno vulnerabili all’impatto di eventi climatici estremi come l’innalzamento del livello del mare. Questo fa sì che, mentre interi quartieri si svuotano, altri inizino a riempirsi con un conseguente aumento dei prezzi degli immobili e una progressiva e radicale trasformazione dell’assetto architettonico e del tessuto sociale. E tutte quelle persone che non possono far fronte al brusco rialzo dei prezzi? Il punto è proprio questo. Tutti coloro che non possono permettersi di vivere nei quartieri trasformati, sono automaticamente obbligati a occupare gli spazi lasciati vuoti, ossia quelli più esposti agli effetti diversificati e in parte ancora sconosciuti dell’estremizzazione climatica globale.

Ma cosa si intende per gentrificazione? Con questo termine si fa generalmente riferimento a un concetto sociologico emerso a partire dagli anni Sessanta per indicare tutti quei processi attraverso cui un quartiere cittadino viene sottoposto a una serie di trasformazioni che ne modificano di fatto l’aspetto estetico ma anche e soprattutto la composizione socio-culturale di chi lo abita. Anche se una definizione univoca di questo fenomeno non esiste, è possibile individuare alcuni tratti comuni a diversi processi di gentrificazione in atto in molte città. Innanzitutto un aumento dei prezzi degli alloggi e una trasformazione del loro uso. Molti edifici, infatti, sono riconvertiti a uffici, ristoranti e boutiques di lusso, andando a sostituire di fatto la funzione, di uno o più quartieri, da popolari e residenziali a luoghi di produzione, svago ma soprattutto consumo. In poche parole, si assiste a una vera e propria brandizzazione del territorio che omogenizza, appiattisce e, soprattutto, esclude. L’altro punto fondamentale dei processi di gentrificazione, infatti, è proprio l’allontanamento di quegli individui e di quei gruppi sociali che non fanno parte del “brand” che, invece, è pensato per utenti ricchi e facoltosi. Sgomberi, dislocazioni e riqualificazione estetica, dunque, diventano pratiche diffuse attraverso cui si declina la gentrificazione urbana, spesso spacciata per riqualificazione da chi governa. Attraverso la gentrificazione, dunque, i quartieri cambiano volto e diventano teatro di un vero e proprio ricambio sociale. Alcuni esempi? Il quartiere della Bolognina (Bologna), di Testaccio (Roma), Isola, CityLife o NoLo (Milano, in questo caso sono state coniate addirittura nuovi toponimi). Ovviamente l’elenco è decisamente più lungo e include anche diversi esempi legati alle aree periurbane e rurali.

Ma cosa c’entra esattamente il cambiamento climatico con la gentrificazione? Diversi studi hanno iniziato a indagare il ruolo che il rischio climatico e, soprattutto, la percezione che se ne ha riveste nell’influenzare la decisione delle persone (quelle più ricche, che nel 1964 Ruth Glass aveva definito appunto gentry, piccola nobiltà) nel trasferirsi verso aree interne e più elevate, considerate più sicure perché protette dagli effetti dell’innalzamento del livello dei mari (erosione costiera, inondazioni, maree più intrusive…). Tutto questo fa sì che il mercato immobiliare dell’area di destinazione subisca notevoli variazioni in termini di aumento di prezzo degli immobili e geografie sociali, obbligando i residenti abituali a pagare cifre sempre più alte o, nella maggior parte dei casi, a trasferirsi verso le zone che hanno subito una svalutazione anche perché più vulnerabili all’impatto dell’estremizzazione climatica. Negli Stati Uniti questo fenomeno inizia a essere particolarmente evidente e tutto lascia pensare al fatto che ne sentiremo parlare sempre più anche da noi. Tra gli esempi più evidenti vi è il caso di Miami.

Qui, Keenan, Hill e Gumberg (2018) hanno osservato come, a partire dagli anni 2000, i prezzi degli affitti e delle vendite di immobili nelle aree più elevate siano lievitati in modo direttamente proporzionale all’aumento di eventi climatici estremi che hanno interessato le aree costiere più esposte e scarsamente preparate da un punto di vista infrastrutturale. Lungi dallo stabilire una relazione di causalità tra la percezione del rischio e le preferenze dei consumatori, gli autori si interrogano in merito a questa eventualità, esprimendo preoccupazione in merito alla possibile interferenza del cambiamento climatico sull’aumento di valore di alcune aree e, conseguentemente, sull’ulteriore incremento di vulnerabilità socio-economiche per le comunità più povere e svantaggiate. Secondo l’IDMC, Internal Displacemente Monitoring Centre, solo nel 2019 quasi un milione di persone si è spostato negli Stati Uniti in seguito a disastri climatici e come insegna l’esperienza dell’uragano Katrina che ha colpito New Orleans nel 2005, a rimetterci sono sempre le comunità a basso reddito, emarginate e socialmente vulnerabili che, solitamente, abitano proprio i territori più fragili. Come hanno mostrato diversi studi, infatti, in occasione del disastro innaturale di Katrina, residenti e famiglie a basso reddito, appartenenti in larga parte alla comunità afroamericana, hanno subito gli effetti maggiori non solo perché residenti in aree della città più a rischio ma anche perché, essendo sprovvisti di mezzi privati, hanno visto ridursi drasticamente le possibilità di fuggire dalla città (nel caso di Katrina, infatti, l’evacuazione, è stata completamente demandata all’auto privata). Un altro esempio citato è quello della città di Los Angeles, dilaniata da incendi sempre più devastanti favoriti da lunghi periodi di siccità. Qui, la gentry sta progressivamente abbandonando le prestigiose colline per spostarsi verso quartieri popolari, fino a oggi considerati periferici e poco attrattivi. E anche qui, saranno i meno abbienti a pagarne le conseguenze.

Nell’articolo, inoltre, si fa esplicito riferimento anche a Venezia, menzionata perché attraversata da dinamiche molto simili che vedono l’abbandono della città da parte di chi non può permettersi costose opere infrastrutturali a difesa della propria abitazione e delle proprie attività economiche. Oltre ai processi di turistificazione a cui Venezia è soggetta da decenni, la città rischia di svuotarsi anche a causa dei cambiamenti climatici e dell’incapacità politica di gestirne gli effetti. Questo dimostra che anche al di qua dell’Atlantico non siamo immuni dai processi di gentrificazione climatica anche se per ora se ne parla ancora poco. Alcuni riferimenti possono essere trovati sul Report 2019 del Ministero dell’Ambiente (pardon, della Transizione Ecologica), sul Piano di Adattamento della città di Milano e in un recente documento del CMCC, il Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici. In entrambi, si sottolinea il rischio insito nel cambiamento climatico di esacerbare le disuguaglianze socio-economiche nei confronti di chi non ha le risorse per affrontarne gli “effetti collaterali” come, appunto, quelli sulla composizione sociale delle città. Pertanto, è necessario formulare e adottare dei piani di adattamento che includano e integrino le variabili sociali ed economiche accanto a quelle ambientali.

Al di là delle classifiche che decretano le zone più attrattive per chi può permettersele e dei titoli sensazionalistici della stampa mainstream, non sarebbe più utile parlare proprio di come integrare queste variabili nella pianificazione urbanistica, evitando il verificarsi di fenomeni di gentrificazione climatica? Non sarebbe forse più prezioso parlare di cosa si intende per transizione socio-ecologica, spiegando anche come si intende realizzarne una inclusiva, giusta, eticamente responsabile e attenta alle sfaccettate declinazioni, materiali e non, del cambiamento climatico? Ad esempio, non sarebbe il caso di parlare apertamente di come una certa gestione dell’adattamento non stia facendo altro che ampliare le disparità socio-economiche, trascurando le cause strutturali della vulnerabilità (anzi, riproducendole) e contribuendo a esporre milioni di persone a rischi solo parzialmente noti? 

PhCredit: Ilmanifesto.it, sinistraxmilano.org, pinterest.it, sitn.hms.harvard.edu, cnbc.com

Articoli citati: Keenan J. M., Hill T., Gumber A. (2018), Climate Gentrification from theory to empiricism in Miami-Dade County, Florida, Environmental Research Letters, 13, 054001.

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