Tributi alla terra

La pianta del mondo di Stefano Mancuso – Ripensare la società partendo dal mondo vegetale

La letteratura ambientale attrae sempre più interesse da parte di giovanə e meno giovanə. Il desiderio di comprendere le contraddizioni del mondo in cui viviamo, infatti, passa anche dal narrarlo. Da qui nasce la rubrica Tributi alla terra, un nuovo spazio dedicato alla recensione di romanzi, saggi, fumetti (e molto altro) dove l’ambiente è protagonista in tutte le sue sfaccettature. Ogni mese, Tributi alla terra – titolo ispirato dall’omonimo graphic novel del fumettista Joe Sacco – vi terrà compagnia con nuove storie da leggere per (ri)conoscere le disfunzionalità del nostro tempo e provare a trasformarle prima di tutto con nuove parole e nuove immagini.

Le piante rappresentano l’85% della biomassa del pianeta. In pratica, sono ovunque. Eppure, spesso, tendiamo a non vederle, a raccontare storie ignorandole e continuando a guardare il mondo come fosse il campo da gioco dell’essere umano, colpevole di credersi al di sopra della Natura. Fortunatamente, a riequilibrare la narrazione antropocentrica ci pensa Stefano Mancuso con il suo saggio La Pianta del mondo (Editori Laterza, 2020). In questo testo, Mancuso (scienziato, professore di arbicoltura generale all’Università di Firenze e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) si fa portavoce di una tesi tanto semplice quanto potente: secondo lo scrittore è impossibile raccontare storie senza accorgersi dell’ubiquità delle piante e di quanto le loro avventure siano profondamente intrecciate alle nostre. All’inizio di ogni storia, infatti, c’è una pianta.

Proprio come accade nel bosco, in cui ogni albero è legato a tutti gli altri da una rete sotterranea di radici che li unisce formando un super-organismo, così le piante costituiscono la nervatura, la mappa (o pianta) sulla base della quale è costruito il mondo in cui viviamo.

Allo stesso modo, ciascuno degli otto capitoli de La pianta del mondo è dedicato a un albero specifico, di cui Mancuso ci racconta storie, aneddoti, funzioni pratiche e significati metaforici, accompagnando la narrazione da bellissime illustrazioni. Addentrandoci tra le pagine del saggio scopriamo, ad esempio, cosa sono gli alberi della libertà, piantati durante la Rivoluzione francese in ogni luogo della Francia come simbolo intangibile degli ideali rivoluzionari. Una pratica che trasse ispirazione dalla Rivoluzione americana, durante la quale vi furono diversi atti di ribellione alla Corona inglese che videro protagonisti persone riunitesi proprio intorno ad alberi enormi, spesso olmi, denominati Liberty Trees. A partire da questa nuova usanza, soprattutto in Francia scattò una vera e propria corsa agli alberi della libertà, da estirpare e piantumare nei pressi di un centro abitato a simboleggiare lo spirito patriottico del tempo. Tuttavia, la ricerca affannosa di alberi imponenti portò a tagliarne molti sprovvisti di un buon apparato radicale, cosa che ne provocò la morte nell’arco di poco tempo oltre a lasciare un paesaggio desolato e ben poco dignitoso per propagare certi ideali. La natura, infatti, doveva essere viva e produttiva, simboleggiare la libertà che germogliava e si espandeva. E così, pian piano, si iniziò a scegliere alberi forti per resistere ai climi freddi, alberi imponenti, frondosi, di lunga vita e in grado di crescere in solitudine. Tutte caratteristiche proprie di un albero in particolare, la quercia. Lentamente, furono le querce a divenire il simbolo centrale delle spinte rivoluzionarie che presero vita sulle due sponde dell’Atlantico. Al contempo, però, le grandi querce della libertà divennero anche bersagli di rappresaglie, tagli, mutilazioni e incisioni durante la Restaurazione, periodo in cui i Liberty Trees furono eliminati insieme alla loro valenza politica.

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Ma ogni volta, al variare del regime politico, proprio agli alberi veniva presentato il conto: facili da tagliare, fanno un bel fracasso quando cadono e non oppongono soverchia resistenza. Così, i sopravvissuti di quella stagione in cui gli alberi univano i popoli sono davvero pochi, non censiti e di solito ubicati in villaggi o paesini sperduti della Francia o dell’Italia.

Nel saggio di Mancuso il mondo vegetale è protagonista indiscusso di qualsiasi nodo della storia del mondo, finalmente al centro di una narrazione che spesso tratta le piante solo come merce o come ornamento. Non vi è dubbio, tuttavia, che le piante meritino un trattamento migliore, colmo di gratitudine, rispetto e maggiore attenzione soprattutto per il prezioso ruolo che rivestono nella continuazione della vita in ogni sua forma. Le città del futuro, ad esempio, dovranno essere sempre più ricoperte dalle piante ricorda Mancuso. Le città, finora costruite sulla base di una linea netta tracciata tra ciò che sta dentro (da proteggere) e ciò che sta fuori, sono state pensate per escludere una natura relegata a mero serbatoio di estrazione. La società globale così come organizzata, costituita da individui sempre più ammassati all’interno di nicchie urbane sepolte da cemento, aria irrespirabile, mobilità caotiche e temperature in rapido aumento deve necessariamente ripensare il modello di funzionamento della città oltre all’idea stessa di centro urbano. Attraverso un racconto avvincente e affascinante, Stefano Mancuso ci porta a scoprire come l’ecologia possa essere una tra le chiavi di volta di un ripensamento radicale della pianificazione urbanistica, informata dai principi del mutuo appoggio proprio del mondo vegetale. Se sono le leggi dell’evoluzione biologica e dell’organizzazione sociale i motori principali della vita di una città, occorre riconoscere che la presenza delle piante all’interno dell’organismo urbano è fondamentale. Oggi, tuttavia, in molti centri storici, la superficie occupata dal tessuto vegetale è talmente impercettibile da passare inosservata. Un dato a cui prestiamo troppa poca attenzione e di cui ci ricordiamo solo in estate, quando non dormiamo a causa di temperature – sempre meno metaforicamente – asfissianti.

In città ogni superficie dovrebbe essere coperta di piante. […] letteralmente ogni superficie: tetti, facciate, strade; ogni luogo dove è immaginabile mettere una pianta deve poterla ospitare. Di nuovo, l’idea che le città debbano essere dei luoghi impermeabili, minerali, contrapposti alla natura, è soltanto un’abitudine. Nulla vieta che una città sia completamente ricoperta di piante. Non esistono problemi tecnici o economici che possano davvero impedire una scelta del genere. E i benefici sarebbero incalcolabili.

Come illustra in modo sapiente e ironico Mancuso, prendere a modello la sorprendente vita di un bosco per costruire le città del futuro è sempre meno un’utopia. Se sapremo cooperare rinunciando a competere proprio come gli alberi, parte di comunità estese connesse attraverso fitti apparati radicali, le occasioni di costruire un mondo più giusto non mancheranno di certo. Parte della soluzione, come apprendiamo da La pianta del mondo è smettere di guardare al mondo vegetale con noncuranza oltre che con quel senso di superiorità che in più occasioni ha accompagnato la nostra specie, ripercuotendosi sulla nostra visione del mondo come un luogo in cui i conflitti e le privazioni sono forze basilari.

Finché non capiremo con esattezza qual è la nostra posizione fra i viventi, la stessa sopravvivenza della nostra specie poggerà su basi insicure. Sta di fatti che i modelli ecologici basati sulla competizione animale sono diventati i modelli con cui descriviamo il mondo dei viventi, mentre i modelli basati su una visione cooperativa della vita, poiché provengono in prevalenza dal regno vegetale sono ignorati.

Attraverso tantissime curiosità dal mondo delle piante – sapete, ad esempio, perché si dice scivolare su una buccia di banana?! –, aneddoti personali, cura scientifica e una grande capacità divulgativa, Stefano Mancuso ci conduce in un viaggio labirintico alla scoperta di alberi millenari, semi lunari e vivaci comunità vegetali, riposizionando il nostro sguardo su esseri viventi tutt’altro che silenti, fisiologicamente capaci di un’intensa attività mentale oltre che di una dinamica vita sociale.  

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