Il fotografo Richard Mosse e la mostra fotografica Displaced

Stavolta, ve lo assicuro, la Fondazione MAST di Bologna si è superata. Ha aperto la prima mostra antologica del talentuoso fotografo Richard Mosse ed è fenomenale. Displaced non ci parla solo di migrazione, conflitto, natura e cambiamento climatico, ma le 77 fotografie di grande formato esposte rilanciano la fotografia documentaria, quella dei reportage.

Richard Mosse, anno 1980, di origini irlandesi, abita a New York. Si occupa fin da giovanissimo di fotografia, addirittura prima di finire gli studi universitari. Nelle prime serie fotografiche giovanili esplora il concetto di confine. Dai primi lavori scattati in Bosnia, Kosovo, nella Striscia di Gaza, lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti caratterizzati dall’assenza quasi totale di figure umane, che documentano le zone di guerra dopo gli eventi. Interessante per esempio la serie Nada Que Declerar sul passaggio illecito fra Messico e Stati Uniti – prima che ci fosse un muro. Questa serie documenta il mondo dopo il climax, dopo l’evento. Non mostra il conflitto, il passaggio di uomini, ma il mondo che segue l’evento. La serie raggruppa immagini emblematiche, allegoria della distruzione, della sconfitta, della perdita.

La mostra è stata curata da Urs Stahel e da un team di professionisti che accompagnano lungo tutta l’esposizione guidandoti attraverso i quattro progetti esposti: Infra, Heat Maps, Ultra e Tristes Tropiques. Richard Mosse si serve di pellicole e fotocamere molto particolari: più che macchine fotografiche, sono strumenti militari, in alcuni casi vere e proprie armi. Nelle mani di Mosse sono strumenti per generare arte e per denunciare i conflitti dell’uomo contro l’uomo e la natura. Le immagini sembrano attirarci a sé. Ci costringono ad avvicinarci, a scendere dalla vista d’insieme al particolare e le sue opere sono piene di particolari.

La prima serie della mostra è Infra, ambientata in Congo utilizzando la Kodak Aerochrome, una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi, messa a punto per localizzare i soggetti mimetizzati. La pellicola registra la clorofilla presente nella vegetazione e la riporta in toni rosa e rosso. Il risultato sono paesaggi surreali e maestosi, scene con ribelli, civili e militari, le capanne in cui la popolazione, sempre in fuga, trova momentaneo riparo da un perenne conflitto combattuto con machete e fucili. Mosse svela non solo il contrasto tra gli uomini, ma anche tra la magnifica natura della foresta della Repubblica Democratica del Congo e la violenza dei soldati dell’esercito nazionale e dei ribelli, che disgregano le comunità e costringendo le famiglie a trasferirsi, spesso in tutta fretta. Questa situazione resta invariata dal genocidio in Ruanda del 1994.

La serie fotografica Heat Maps e l’installazione audiovisiva Incoming sono lavori realizzati tra il 2014 e il 2018 dove Mosse si è concentrato sulla migrazione di massa e sulle tensioni causate dalla dicotomia tra apertura e chiusura dei confini, tra compassione e rifiuto, cultura dell’accoglienza e rimpatrio. Sono immagini straordinarie dei campi profughi Skaramagas in Grecia, Tel Sarhoun e Arsal in Libano, Nizip in Turchia, Tempelhof a Berlino e molti altri: qui Mosse impiega una termocamera in grado di registrare le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi. Si tratta di una tecnica militare che consente di individuare le forme di vita fino a una distanza di trenta chilometri, di giorno come di notte. Le immagini sono apparentemente nitide, precise e ricche di contrasto. A un esame più attento, invece, non si riescono a distinguere i dettagli ma solo astrazioni: persone e oggetti sono riconoscibili solo come tipologie, nei loro movimenti o nei contorni, ma non nella loro individualità e unicità perché Mosse intende osservare gli scenari del fallimento politico, del sistema di segregazione e di emarginazione. Per Skaramagas, uno dei campi profughi meglio organizzati della Grecia situato accanto a un porto per navi container, ha scattato 1.500 fotografie, rimontate insieme in mesi di lavoro per creare l’illusione di un grandangolo.

Richard Mosse

Tra il 2018 e il 2019, Mosse comincia a esplorare la foresta pluviale sudamericana dove per la prima volta concentra l’obiettivo sul macro e sul micro, spostando l’interesse di ricerca dai conflitti umani alle immagini della natura. In Ultra, con la tecnica della fluorescenza UV, Mosse scandaglia il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore e, alterando lo spettro cromatico, trasforma questi primi piani in uno spettacolo pirotecnico di colori fluorescenti e scintillanti. La biodiversità viene descritta minuziosamente tra proliferazione e parassitismo, tra voracità e convivenza, per mostrarci la ricchezza che rischiamo di perdere a causa dei cambiamenti climatici e dell’intervento dell’uomo.

Tristes Tropiques è la serie più recente di Mosse: documenta con la precisione della tecnologia satellitare i delitti ambientali, la distruzione dell’ecosistema ad opera dell’uomo. Mosse ha scattato queste fotografie di denuncia lungo il Pantanal, il fronte di deforestazione di massa nell’Amazzonia brasiliana. Ogni mappa mostra i delitti ambientali perpetrati su vasta scala, diventando per il fotografo un archivio che li documenta.

Oltre a queste straordinarie immagini, la mostra propone anche due monumentali videoinstallazioni immersive, The Enclave (2013) e Incoming (2017), un grande video wall a 16 canali Grid (Moria) (2017) e il video Quick (2010).

La mostra, a ingresso gratuito su prenotazione, terminerà il 19 Settembre 2021 e rappresenta un percorso di straordinario impatto, un’esperienza immersiva di rara intensità. Mosse filtra la realtà, la proietta in una dimensione surrealmente teatrale. Trasforma un racconto per immagini complesso, frammentario, che non offre alcun tipo di catarsi o di soluzione. Lo sguardo di Mosse entra nel mondo per documentarlo, contestualizza l’immagine del mondo trasformandola radicalmente per denunciare i crimini e le ingiustizie dell’uomo.

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