(Quando) le parole possono tutto – Il nuovo fumetto di Silvia Vecchini & Sualzo

Ci sono storie che sono come dichiarazioni d’amore. Nei confronti di una storia, una persona, di un evento, di un luogo o, come in questo caso, della potenza delle parole. Così, Le parole possono tutto, l’ultima graphic novel, pubblicata per Il Castoro Editrice di Silvia Vecchini e Sualzo, accoppiata vincente di cui vi avevo già raccontato a proposito di 21 giorni alla fine del mondo, è questo, una dichiarazione d’amore per quelle parole che sono in grado di far accadere le cose e creare mondi.

Sara non parla molto e ha un ciuffo di capelli che le copre metà faccia. Sara va sullo skate e scrive delle ‘S’ sui muri, per affermare la sua identità, per dire: io esisto. Sara farebbe a pezzi qualcosa, perché è lei a essere a pezzi. Sara è arrabbiata, sempre, perché ha perso la sua migliore amica, perché i suoi sono separati, perché c’è stato quell’incidente di cui porta i segni sulla pelle, quell’incidente che ha cambiato tutto. Sono troppe, le cose, che Sara deve affrontare, e lei le affronta nell’unico modo che conosce: nascondendosi, rovinando le cose. Scrivendo sui muri.

Ed è proprio per questo che finisce (ancora) nei guai, beccandosi una punizione che sa molto di ultima possibilità. Sara è costretta ai lavori sociali in un ricovero per anziani, e così, quasi per caso, si avvicina a un signore con una lunga barba e un paio di occhiali che se ne sta seduto da solo, intento a scarabocchiare strani segni su un foglio. È il signor T. della stanza 26, che le chiede di aiutarlo a scrivere tutto l’alfabeto.

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L’ho sempre detto, siamo fatti (anche) delle persone che incontriamo sul nostro cammino, dei pezzetti di sé che ci lasciano e delle visioni di mondo che condividono con noi. Tutti abbiamo bisogno di maestri e mentori, soprattutto quando ci troviamo in quel momento delicato della vita in cui ogni cosa è confusa e difficile e invece abbiamo bisogno di certezze. Quel momento in cui non sappiamo ancora bene chi siamo e cerchiamo modelli a cui ispirarci. Ecco, per Sara il signor T., con le sue bizzarre storie su tempi antichi e rabbini dai grandi poteri e con quel suo scrivere e riscrivere ostinato le lettere dell’alfabeto ebraico, diventa come un maestro, riuscendo, giorno dopo giorno, a scalfire quella crosta di rabbia e solitudine su ferite ancora fresche.

Comunque adesso il mio altrove è questo strano alfabeto, queste lettere con le quali non so ancora comporre nessuna parola ma che, a dare ascolto al signor T. della stanza 26, hanno dentro tutte le cose del mondo.

Le parole sono qualcosa di potentissimo e, come ci insegna il signor T., alcune lo sono più di altre, perché aiutano a plasmare il mondo. Il lettore, insieme a Sara, impara alcune delle lettere dell’alfabeto ebraico, perché ogni capitolo è introdotto da una doppia pagina che presenta una lettera – resa sia graficamente che anche rappresentata dal corpo di Sara – che sarà poi centrale nelle pagine successive. E così impariamo che, ad esempio, la lettera BET ha la forma di un recipiente chiuso da tre lati, «come una casa con la porta aperta», perché è la lettera della creazione, la casa da cui è uscito il mondo.

“Ma le parole possono essere così potenti?”
“Sara, Sara. Le parole possono tutto. In ebraico, dabarvuole dire ‘parola’, ma anche ‘cosa’. La parola fa, crea, fa esistere, accadere.”

La narrazione procede quindi su due binari paralleli: da una parte abbiamo Sara, quindi, che da adolescente arrabbiata e alla deriva intraprende un lento percorso di rinascita, e dall’altra c’è tutto un bacino di storie legate alla cultura ebraica e a quell’alfabeto che è più di un semplice alfabeto. Perché ogni lettera conta e contiene un mondo da esplorare, e può essere scomposta e analizzata nella sua forma, nel suo suono, nel suo valore numerico, come scrive la Vecchini nella postfazione. Ogni parola fa accadere le cose. Addirittura può creare golem, un fantoccio d’argilla che può prendere vita.

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Il tutto è accompagnato dalla scrittura eccezionale e così evocativa della Vecchini e dalle illustrazioni di Sualzo, che funzionano dalla prima vignetta all’ultima. Con un tratto semplice ma preciso e una palette di colori pastello e flat, l’illustratore muove il volto e il corpo di Sara in maniera impeccabile, facendo vivere attraverso le micro-espressioni e la gestualità una ricchezza emozionale incredibile. Insieme, i due autori funzionano benissimo e, ancora una volta, regalano una storia delicata, emozionante, poetica.

L’unica perplessità di questo titolo è il target. Data la complessità – non tanto della storia, che procede in maniera lineare, quanto piuttosto di quei riferimenti alle Scritture e all’alfabeto ebraico, piuttosto inusuali per i ragazzi – lo vedo forse adatto a un pubblico leggermente più adulto rispetto a quello per cui è stato pensato inizialmente. In questo senso, Le parole possono tutto potrebbe essere un buono strumento per gli e le insegnanti per far avvicinare studenti e studentesse ad alcuni temi importanti e ancora poco trattati nelle scuole, come quello dell’importanza della memoria storica, delle tradizioni di un’altra cultura lontana dalla nostra, come quella ebraica e, ovviamente, dell’importanza delle parole che, letteralmente, possono tutto.

In ogni caso, che sia più o meno giovane, penso che questa sia la lettura perfetta per chi sta cercando le sue, di parole, per chi ha qualcosa incastrato in un punto profondo e inaccessibile di sé e deve liberarlo. Per chi non desidera altro che far nascere il proprio mondo, come un golem dal fango.

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