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Perché non abbiamo una città femminista

Per vivere più femministə: libri, podcast, arte, musica, newsletter e fonti per allargare gli orizzonti e aprire le menti. Oggi proviamo a immaginare come sarebbe una Feminist City con Leslie Kern (Verso Books, 2020).

Da poco arrivato in Italia grazie alla traduzione di Natascia Pennacchietti per Treccani Libri, La città femminista è un saggio della geografa femminista di origine canadese Leslie Kern, un’indagine su come e perché le città di oggi non siano strutturalmente adatte alle donne o, a tutti gli effetti, a chiunque non sia un maschio bianco etero cis abile borghese.

Eppure, dagli studenti ai lavoratori, dai professionisti a chi esordisce, da sempre le città sono un polo attrattivo che richiama migliaia di persone ogni anno: sono il luogo del sapere, del potere economico e politico, delle decisioni, delle occasioni e delle possibilità – ma non per tuttə. Questo perché, storicamente, le città sono disegnate e vissute proprio da chi detiene questo sapere e questo potere: sono quindi strutture intrinsecamente patriarcali e capitaliste, e per la perpetuazione di patriarcato e capitalismo agiscono.

La misura in cui unə può semplicemente “stare” nello spazio urbano ci dice molto su chi detiene il potere, su chi sente che il proprio diritto a vivere e sperimentare la città sia naturale e scontato, e su chi sarà sempre considerato fuori posto.1

Leslie Kern, Feminist City

Per molto tempo, la soluzione delle femministe è stata quella di aggiungere una donna alle discipline dominate dagli uomini: ecco una donna in giunta comunale, un’altra all’urbanistica, una in uno studio di architettura. Oggi bisogna cercare aiuto e guida altrove perché, quasi sicuramente, anche la donna che si trova nella stanza dove si prendono le decisioni è privilegiata. Oggi, dobbiamo far sì che il femminismo sia intersezionale: quando Kern parla di donne parla anche di coloro che ho deciso di chiamare qui “lə altrə”. Kern, analizzando la città da diversi punti di vista – della maternità, delle amicizie, dell’anonimato, delle proteste, della paura, delle possibilità –, propone di spostare l’attenzione su chi si deve muovere e deve abitare questa realtà ogni giorno, a discapito della non adesione alla norma che la città stessa richiede. Dalla pericolosità del prendere un mezzo pubblico a Delhi in pieno giorno al cercare di spingere un passeggino in centro a Milano, sembra quasi che la città si opponga fisicamente a chi voglia abitarvi e non sia il poster boy per l’uomo di successo, minacciando ed escludendo, relegando e facendo sentire indesideratə.

Le mie esperienze urbane di ogni giorno sono profondamente legate al genere. La mia identità di genere condiziona come mi muovo nella città, come vivo la mia quotidianità, e le scelte che sono a mia disposizione.2

Leslie Kern, Feminist City
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Come e perché la città tiene le donne “al loro posto”

«Le donne sono sempre state viste come un problema per la città moderna», anche dal punto di vista morale: le donne devono essere angeli del focolare, prendersi cura della famiglia e della casa, il loro luogo naturale è nei suburbs. Non a caso, una “donna di città” è quasi paragonabile a una libertina, mentre l’espressione “donna della strada” si riferisce a un certo tipo di prostituzione, tra l’altro ad alto rischio: un modello ben lontano dalla donna borghese idolatrata dalla società e dall’economia, ma anche dalla libertà e dalla sicurezza a cui aspiriamo quando chiediamo che venga riconosciuta la nostra presenza nella città.

Le donne hanno paura in spazi chiusi e aperti; in luoghi affollati e vuoti; sui mezzi e mentre camminano; da sole sotto una luce intensa o invisibili nel buio.4

Leslie Kern, Feminist City

La verità è che alla città serve che abbiamo paura: piuttosto che modificare un sistema perpetuato da secoli, ripensare il tessuto metropolitano e reinventare gli spazi, è molto più comodo regolare e diminuire la libertà dellə altrə, lasciare loro la responsabilità di dover gestire se stessə e chi lə attacca verbalmente o fisicamente, di dover affrontare le difficoltà fisiche e mentali, di doversi piegare. «Si aspettano che limitiamo la nostra libertà di camminare, lavorare, divertirci e avere uno spazio nella città»5, dobbiamo essere noi a farci da parte, a coprirci, a non uscire, a rinunciare: il nostro corpo, lo strumento che ci permette di attraversare la città, diventa il nostro primo nemico, il nostro primo ostacolo, un fardello. E questo avviene già quando siamo persone abili: anzianə, persone incinte, disabili sono ulteriormente svantaggiatə; per non parlare di chi è saltuariamente visibile o invisibile, a seconda di cosa serva al pubblico sguardo, perché bipoc. Qualunque nostro tratto distintivo aumenta il nostro pericolo, mentre programmiamo in anticipo, in modo più o meno conscio, i modi in cui possiamo e, soprattutto, ci è consentito muoverci per poter sopravvivere un altro giorno con il minor trauma possibile.

La donna che passeggia, la flâneuse, è rara e privilegiata: è Virginia Woolf, è Clarissa Dalloway, ma non siamo noi che stiamo andando al lavoro dall’altra parte della città perché dove abbiamo preso casa gli affitti sono più bassi, che torniamo da solə la sera perché un taxi costa troppo, che andiamo in stazione all’alba perché non possiamo permetterci di arrivare troppo tardi, che abbiamo paura a essere troppo isolatə e, contemporaneamente, ad attirare troppo l’attenzione. La città spinge le donne e lə altrə ai margini a colpi di lavoro e costi, chiede loro di essere invisibili e silenziosi ma di rimanere sempre al servizio, esigendo da loro (noi) continui sforzi: «la quantità di tempo, denaro e lavoro emotivo richiesto»6 alle donne e allə altrə per vivere in città e avere esperienza della stessa lə prosciuga di forze fisiche ed economiche, di coraggio e di innocenza, di spontaneità e, in definitiva, di vita.

Per la maggior parte, le donne non vanno in giro e hanno fortuna. Camminiamo e ci muoviamo usando la nostra intelligenza, con decisione, grazie alla nostra esperienza e alla nostra saggezza.7

Leslie Kern, Feminist City

Ma «il posto di una donna è nella città»8 ci ricorda Kern, citando Gerda R. Wekerle: non è però il posto che ci ha riservato l’economia capitalista, che vede nella donna la consumatrice per eccellenza – i department store sono stati creati come luogo “consono” alle donne per stare in pubblico –, ma quello che le donne e lə altrə decidono di prendersi. Ha un tipo diverso di potere e di logiche da quelle in atto, ha un diverso linguaggio e diversi modi di operare: è un posto coraggioso e sovversivo, in cui c’è spazio per tuttə.

Il potere delle amicizie e la gioia delle proteste

Due capitoli molto importanti sono dedicati alle amicizie e agli atti di protesta: entrambi sono fondanti per Leslie Kern come persona, come donna e come cittadina.

L’amicizia è vista da Kern non solo come uno strumento per sopravvivere alla città: è anche la più valida e importante alternativa al legame eterosessuale del matrimonio, sul quale la vita suburbana borghese e la società capitalista si fondano e perpetuano. Un legame che risulta oggi imbarazzatamente datato: il precariato economico e lavorativo in cui versiamo da decenni non si possono più coniugare con il vecchio sistema borghese della famiglia eterosessuale. Nemmeno le periferie sono più abitate da questo tipo di nucleo familiare: gli appartamenti e le villette ospitano innumerevoli coinquilinə, intere comunità, diversi gradi di parentela o di lontananza, quindi perché il resto della città dovrebbe seguire una logica diversa? Come si possono ripensare la città e i suoi spazi per accomodare questo (non) nuovo tipo di socialità, per sostenerlo e dargli forza, in modo che continui a dare forza a noi che per primə lo abbiamo creato ed è l’unica modalità in cui ci possiamo permettere di esistere nella città stessa?

Avere un gruppo di amicə «permette di prendere spazio, sperimentare con l’identità, essere diversə, essere rumorosə, essere se stessə»9, creare un luogo fisico ed emotivo in cui le regole e i costrutti sociali decadono per lasciare posto a qualcosa di diverso, all’espressione di sé. Citando Erin Wunker, Leslie Kern propone «l’amicizia come opposizione all’ideologia capitalista, amicizia come una propria forma economica»10 che sostiene la persona non come produttore o consumatore, ma in quanto se stessa.

Un’altra modalità di espressione è quella della protesta: un nuovo modo di vivere le strade della città, di prendere spazio e di far sentire la propria voce a «una società sessista, razzista, transomofobica e abilista»11 che esclude lə altrə e le donne non solo dalle decisioni ma anche dai diritti, persino quello di essere in quella strada in quel momento a manifestare il proprio disappunto, il proprio disagio, la propria sofferenza. Non siamo relegatə, insieme la paura a cui ci hanno condannatə si fa meno. Far sapere che esistiamo, anche quando il potere – il maschio bianco etero cis abile borghese – vorrebbe che non ci fossimo e prova a voltarsi dall’altra parte: questo è il nostro compito.

La città femminista è un esperimento ancora in itinere per vivere diversamente, vivere meglio e vivere in modo più giusto in questo mondo urbano.12

Lelie Kern, Feminist City

da Leslie Kern, Feminist City. Claiming Space in a Man-Made World, Verso Books, luglio 2020

1. The extent to which anyone can simply “be” in urban space tells us a lot about who has power, who feels their right to the city is a natural entitlement, and who will always be considered out of place.
2. My everyday urban experiences are deeply gendered. My gender identity shapes how I move through the city, how I live my life day-to-day, and the choices available to me.
3. Women have always been seen as a problem for the modern city.
4. Women are afraid in enclosed and open spaces; in busy places and empty places; on transit and while walking; isolated under a bright light or invisible in the dark.
5. We’re expected to limit our freedom to walk, work, have fun, and take space in the city.
6. The amount of time, money and emotional labour required.
7. For the most part, women aren’t walking around being lucky. We’re walking around being smart, bold, experienced and wise.
8. A woman’s place is in the city.
9. […] allowed me […] to take up space, experiment with identities, be different, be loud, be myself.
10. Friendship as a counter to capitalistic ideology. Friendship as its own economy.
11. A sexist, racist, trans and homophobic, ableist society.
12. The feminist city is an ongoing experiment in living differently, living better, and living more justly in an urban world.

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