naufraghi-rebelle-ediizioni

Anche noi siamo i Naufraghi di Laura Pérez e Pablo Monforte

La seconda pubblicazione di Rebelle Edizioni è fatta per strapparci il cuore e, allo stesso tempo, metterlo al sicuro in un nido di ovatta. Perché Naufraghi, graphic novel illustrata da Laura Pérez e sceneggiata da Pablo Monforte, è un’ode a una nostalgia così onnipresente che si può toccare, a quella delicatezza che si forma nella solitudine, alla fiducia tradita, al rituale quotidiano di perdersi in una città. E, soprattutto, all’amore che manchiamo di poco, ma per sempre.

In Naufraghi, tutto – tanto le azioni quanto i sentimenti – si muove su due piani temporali e spaziali distanti, sfalsati, quasi impermeabili l’uno all’altro.

Uno è la Madrid degli anni Ottanta: ha una luce calda, quasi un po’ seppiata, che accompagna il finire della primavera e l’inizio dell’estate. Alejandra si rifugia in biblioteca quando il mondo sembra farsi troppo soffocante, quando osservarlo e pensarlo diventano azioni troppo dolorose più che un rito calmante. Julio sta per trasferirsi con i genitori a Saragozza perché il padre ha ottenuto un nuovo lavoro, ma così dovrà lasciare non solo gli amici ma anche la redazione de Il giardino metallico, un’autoproduzione su cui Julio scrive racconti.

È la scrittura di Julio, entrata nel mondo attraverso la fanzine, a portare Alejandra da lui. Bussa un giorno alla porta dove si riuniscono Julio, Sergio e lə altrə del Giardino metallico, proponendosi come collaboratrice, ma prima di tutto vorrebbe sapere una cosa: «Quella storia, Naufraghi, è geniale. Chi di voi la scrive?». E se lo chiederà, più avanti, Alejandra, se si sia innamorata più della scrittura di Julio che di Julio persona, lei così abituata a vivere tra pagine dei libri e tra i corridoi silenziosi di una biblioteca, a osservare i passanti a distanza e la città da un finestrino della metro.

E poi c’è la Barcellona degli anni Novanta, fredda del freddo che arriva a inizio inverno, che si stende a strati pesanti sulla città, che si indossa come un cappotto per proteggersi e nascondersi dallə altrə. Qui Julio fa un lavoro che non lo soddisfa – è contabile – tra persone che non lo interessano – di un’azienda di telecomunicazioni a conduzione familiare –, sta con una donna per cui forse non prova più nulla, rispetto alla quale rimane sempre un po’ indietro – nella corsa in un parco e nelle tappe della vita, che lei vorrebbe rispettare con rigore e alle quali Julio invece guarda con confusione.

E in questa città, in questo tempo, si trova anche Alejandra: si è trasferita a Barcellona a metà degli anni Ottanta con la madre, che va a trovare con regolarità, e nel frattempo scrive e lavora in una libreria. È sola, ma dice di stare bene. Ritroviamo la stessa Alejandra delle prime pagine, un’osservatrice nata, che ha ripristinato quella condizione che le era necessaria: avere una stanza tutta per sé.

Per caso, mentre Julio si allontana dai suoceri per vagare da solo in quella che sembra proprio la Barceloneta e Alejandra è andata a cercare il mare per riprendere fiato, le loro strade si incontrano ancora una volta.

Ho sempre pensato che avvertire una mancanza dovrebbe coinvolgere entrambe le persone, per legge.

Alejandra, Naufraghi

Dovrebbero essere le famose sliding doors di cui non ho mai visto il film eponimo, che ancora una volta li fanno mettere l’uno sul cammino dell’altra. Per Julio è una rivelazione: una seconda chance, più per se stesso che per loro due, arrivata al momento giusto per liberarlo da doveri e timori. Per Alejandra, è un modo delicato e a suo modo positivo per chiudere definitivamente una porta che già da anni aveva imparato ad accostare da sola, ferita dall’abbandono e dal silenzio.

Julio: «Il mio naufrago si alimenta di speranza, tu puoi fare lo stesso.»

Alejandra: «Beh, il guaio della speranza è che non sai mai quando devi rinunciarci, vero?»

Naufraghi

Perché ci diventa presto chiaro che, ancora una volta, i due piani su cui si incontrano sono sfalsati e sono destinati a rimanere tali. Nessuna sliding door, quindi: nei dieci anni che li hanno separati si sono susseguiti dolori e sconfitte personali che li hanno resi ancora più estranei. Come dice bene Alejandra, in comune hanno solo quei ricordi dai colori caldi in cui potranno continuare a rifugiarsi, ognuno per conto proprio.

Quella che racconta Naufraghi (Rebelle Edizioni, 2022) è una storia che mi ha fatto subito pensare a Il gusto del cloro di Bastien Vivès o Cinquemila chilometri al secondo di Manuele Fior, ma con qualcosa in più. Non con degli anti–eroi ma con delle persone terribilmente normali, imperfette, sbagliate e sbaglianti, il cui dolore affiora sulla superficie della pagina e diventa palpabile, terzo personaggio di questa storia da leggere e rileggere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.