Queste montagne bruciano. Distruggere per ricostruire

“Sentiva sempre questa inquietudine quando arrivava al limitare del Boundary. I confini erano strani – cosa appartiene a chi, chi appartiene a cosa – tutte queste cose immaginarie trattate come concrete, per cui le nostre vite sono governate da stupidaggini.”

Nel noir americano il confine è sempre stato una cosa seria. Che fosse fisico come un esotico viaggio in Messico o metaforico come un bacio dato alla persona sbagliata, l’atto stesso del crossing a line – peraltro espressione proverbiale con cui gli anglosassoni indicano l’andare oltre un limite consentito – non ha mai rappresentato un semplice “varco della soglia” di vogleriana memoria. Se ci spingiamo alle radici del genere – anni Trenta e Quaranta del Novecento – vediamo come il confine sia fin dalla prima ora un tòpos ben codificato, perché apre la via a tutti quei dualismi su cui il noir è fondato, come bene e male, luce e ombra, verità e menzogna e così via.     

Quindi, a circa novant’anni di distanza, definire i confini come “stupidaggini che governano le nostre vite” è una cosa altrettanto seria. E qui sta la forza di Queste montagne bruciano, romanzo con il quale Jimenez Edizioni porta in Italia lo scrittore americano David Joy. Un solido noir che racconta le storie intrecciate di un padre, un tossicodipendente e due poliziotti, usando il pretesto narrativo di un traffico di droga interstatale che in qualche modo li unisce.

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Non è iconoclastia quella di Joy, ma forse una naturale necessità di far crescere questo tipo di letteratura di genere, superando e demolendo certi cliché. Inizialmente i suoi personaggi si trovano ingabbiati nei consueti schemi narrativi e mentali, ossessionati come sono dall’idea di un prima e un dopo nella vana speranza di isolare l’attimo preciso in cui le loro vite sono deragliate; ma lui riesce a liberarli da confini, dualismi, turning point – le “stupidaggini”, insomma – con un gesto allo stesso tempo anarchico, responsabilizzante e lontano da qualsiasi moralismo. Non c’è alcuna pretesa etica tra le pagine del libro, nessun destino da tragedia greca tipicamente noir punirà le nefandezze dei protagonisti o la loro incapacità di sostenere situazioni più grandi di loro; il processo di crescita e di ricerca di sé dei personaggi passa attraverso lo scorrere della vita, l’ignoto del quotidiano, il gesto delicato di toccare i contorni delle cose per dare loro un senso, il dettaglio straziante di un piede nudo dalla pianta annerita. Così facendo Joy porta i personaggi alla consapevolezza che il loro presente è sì la diretta conseguenza delle scelte che hanno fatto o subito fino a quel momento, ma che il passato non può e non deve fagocitare il loro futuro. Una presa di coscienza che permette di spazzare via il pessimismo cronico e la rassegnazione, per provare a scorgere una luce anche fioca in fondo al tunnel.

David Joy
Emerson1983, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons

Queste montagne bruciano è un libro sulla responsabilità, un low concept dove l’intreccio è solo il riflesso delle azioni dei personaggi, uomini e donne comuni con le loro colpe e le loro imperfezioni. Joy è bravissimo a fare un ulteriore dispetto al genere lasciando spesso fuori campo la violenza e le scene d’azione, per poi riassumerle in poche righe nei capitoli successivi e lasciare i protagonisti a fare i conti con sé stessi e le conseguenze di ciò che hanno fatto.

In fondo sono queste le storie nere di cui oggi sentiamo la necessità, e il recente successo dei documentari true crime è lì a dimostrarlo: è finita l’epoca dei marescialli, dei commissari, dei detective che, pur evoluti e tridimensionali con le loro zone d’ombra e le loro macchie indelebili, hanno il conforto della risposta giusta e della soluzione in tasca. Accompagnato da una buona dose di voyeurismo e morbosità, si è sviluppato un bisogno diffuso di gente qualunque, di personaggi anche negativi: figure con cui ci possiamo identificare, o dalle quali prendere le distanze per sentirci egoisticamente migliori. Le domande con cui il pubblico oggi si approccia al crime non sono più “chi è stato?” o “come ne uscirà?”, ma “come si arriva a quel punto?” e “cosa avrei fatto io?”.

Infine – ed è qui che l’autore concede una tregua alle regole del noir, dove lo sfondo si fa personaggio e diventa specchio tematico della vicenda – Queste montagne bruciano è un romanzo sul declino della provincia americana, che sacrifica valori e cultura in nome della ricerca del profitto. La conseguenza, perché sempre di questo si tratta, è una società violenta e selvaggia fatta di rapporti che si consumano tra parole non dette, in un territorio informe dove i confini statali vengono annullati dalla corruzione, le comunità vivono ripiegate su loro stesse come i tossicodipendenti che le abitano e le tribù Cherokee hanno progressivamente annullato la loro identità per sopravvivere. Il tutto sotto un cielo indifferente e invisibile, appestato dal fumo degli incendi che devastano i monti Appalachi.

Un fuoco sacrificale che David Joy accende per i suoi personaggi e la sua terra, invitandoli a fare quel che lui fa con la scrittura: distruggere per ricostruire.

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