Il mondo dove è bianco di Jemma Wadham – Una straordinaria vita tra i ghiacci

Quella tra Jemma Wadham e i ghiacci è un’autentica, appassionata storia d’amore. Di quelle che capitano raramente e che segnano per la vita. E di certo i ghiacciai hanno profondamente segnato la vita di Wadham, geografa e glaciologa di fama mondiale impegnata da più di vent’anni nello studio di questi giganti terrestri, tristemente destinati a sparire nell’arco di qualche decennio. Nel saggio Il mondo dove è bianco. Viaggio nelle terre dei ghiacciai tra allarme e stupore (Aboca, 2022), Wadham ripercorre le principali tappe che l’hanno portata a divenire una ricercatrice entusiasta, determinata a scoprire come funzionano i ghiacciai e a investigarne l’importanza per gli esseri umani “come in un grande romanzo giallo”, intrecciando la storia accademica a quella personale e familiare e costruendo una narrazione avvincente e mai scontata. Come lei stessa sostiene, i primi passi su un ghiacciaio non si scordano mai e chiunque abbia mai provato questa esperienza sa bene di cosa parla. L’emozione dello scricchiolio sotto i piedi, del brivido di paura che scorre al calpestio di una superficie tanto solida quanto fragile, del fascino di ritrovarsi di fronte al blu dell’immensità di una natura che sembra inerme e immobile ma che, invece, muta, scorre, comunica e brulica di vita. A tal proposito uno dei passaggi che più mi ha colpita è quello in cui l’autrice descrive i ghiacciai come esseri vivi e attivi, di fatto il luogo ideale per migliaia di microrganismi, ossia “la forma di vita più adattabile e resiliente esistente sulla Terra”. Sotto i ghiacciai, infatti, scorrono fiumi in piena e dove c’è acqua, ricorda Wadham, c’è vita.

La prima volta che ci si sveglia in un posto nuovo sulle montagne è sempre un evento esplosivo per i sensi. Trascinandomi fuori dal mio umile sacco a pelo, in quella prima mattina alpina, notai come, ad attendermi, c’era un panorama che rimane uno dei più memorabili della mia vita. P.27

Attraverso le emozionanti parole del suo saggio, Wadham riesce a rendere tangibile l’amore per la ricerca che è poi quello che l’ha condotta più e più volte a intraprendere più di venticinque incredibili spedizioni tra i ghiacciai di tutto il mondo, dall’Haut Glacier di Arolla sulle Alpi svizzere al Finsterwalderbreen delle Svalbard, dalla Groenlandia all’Antartide passando per la Patagonia e la catena Himalaiana. La storia accademica che Jemma Wadham ripercorre è talmente avvincente da tenerci incollatə per più di duecento pagine di fronte al susseguirsi di avventure non prive di rischi, pericoli e incidenti alquanto impressionanti. Come quella volta che l’autrice racconta di essersi trovata faccia a faccia con un’orsa polare e il suo cucciolo, avventuratisi a due passi dall’accampamento di fortuna che lei e la sua squadra avevano messo in piedi alle Svalbard. O come quando, “in una disastrosa occasione”, il team di ricerca perse quasi tutta l’attrezzatura a causa di una “gigantesca inondazione dovuta allo svuotarsi improvviso di un lago intrappolato sul fronte glaciale, che gettò a valle iceberg grandi come automobili”. “Fu così tragico da sembrare quasi divertente”. Chiunque abbia mai svolto un periodo di ricerca sul campo ha ben chiaro quello di cui Wadham parla, comprese le sensazioni di spaesamento e demoralizzazione che a volte sopraffanno ma anche quelle di sorpresa e felicità che inspiegabilmente fanno visita a chi passa la propria vita a studiare e fare ricerca. 

Capii subito una cosa fondamentale del lavoro sul campo: se pensi di essere lì per lavorare, ti sbagli di grosso. In realtà, sei lì per sopravvivere e per fare qualche ricerca di tanto in tanto, se sei fortunato. P.78

Il mondo dove è bianco, inoltre, è anche una straordinaria quanto allarmante testimonianza delle trasformazioni che i ghiacciai stanno subendo a causa dell’aumento di temperature, conseguenza dei cambiamenti climatici antropogenici. I ghiacciai di marea della Groenlandia, ad esempio, si sono ritirati in media di oltre 100 metri all’anno tra il 2000 e il 2010 e gli effetti dello scioglimento iniziano a farsi sentire anche lontano da quell’area: si stima, infatti, che la fusione della calotta glaciale della Groenlandia sia il motore principale dell’innalzamento globale del livello del mare. E mentre la Groenlandia fonde, gli oceani che la circondano si raffreddano rallentando e indebolendo l’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), ossia la corrente oceanica responsabile del clima mite europeo che, quindi, potrebbe diventare più tempestoso e freddo. L’assottigliamento dei ghiacciai, inoltre, rende anche esplicita la minaccia per la vita di coloro che, per la loro sussistenza, dipendono dai mari intorno alla Groenlandia, come il popolo Inuit e in particolare gli Inuit di Thule (regione della Groenlandia). Come osserva Wadham, “la loro vita è indissolubilmente legata alle ricchezze del mare, alla caccia di foche e narvali” ma il ghiaccio marino in via di estinzione rende tutto questo sempre più complesso e ricco di sfide, specie alla luce di un maggiore collegamento tra la loro economia e quella globale e degli interessi politici in gioco. Pensiamo semplicemente alla corsa all’Artico da parte di paesi, multinazionali commerciali e compagnie estrattive, desiderosi di mettere la mani su un’area ricca di risorse indispensabili alle tecnologie moderne, e in particolare ad alcune tecnologie “verdi” come scrive Romaric Godin su Mediapart (qui l’articolo tradotto da Federico Ferrone per Internazionale). Lo scioglimento dei ghiacci, infatti, sta portando alla luce diversi giacimenti minerari così come nuove rotte potenzialmente sfruttabili per il commercio globale via nave. Insomma, la questione è altamente complessa e vede interfacciarsi diversi attori, ciascuno portatore di interessi molto diversi per lo più in conflitto tra loro. In un certo senso, il futuro della Groenlandia è destinato a dettare le sorti del resto del pianeta su diversi fronti, sottolineandone l’importanza strategica e invitando anche a ripensare le logiche dello sviluppo.

Infine, l’avvincente resoconto del percorso accademico che l’autrice descrive si intreccia alle difficoltà riscontrate in prima persona nel contesto universitario in quanto donna. Wadham, infatti, è tra le poche a far parte di un settore, quello della glaciologia, tendenzialmente maschile e maschilista (come molti altri, è evidente). Il gender gap a livello lavorativo non è una novità ma risulta ancor più evidente per determinati settori come quello delle scienze naturali, matematiche e ingegneristiche per cui farti strada, se sei donna, è una vera impresa a causa di storture strutturali e stereotipi culturali che faticano a essere rilevati e modificati. Secondo uno studio dell’American Association of University Women, ad esempio, solo il 28% delle posizioni lavorative nelle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) è ricoperto da donne. La storia di Jemma Wadham non fa eccezione e testimonia l’invisibile quanto pervasiva tossicità degli squilibri di genere in ambito lavorativo: dalle battute sull’aspetto fisico, alle discriminazioni vere e proprie che, di fatto, restringono e riducono le possibilità per le donne che vogliono farsi strada “in un territorio di uomini”. La storia di Wadham è il racconto di chi ce l’ha fatta. Ma la sensazione che non dovrebbe essere così difficoltoso raggiungere la meta è costante e aumenta pagina dopo pagina.

Nel corso degli anni, ho sopportato tante smorfie e battute acidule che andavano da “non sembri una glaciologa” a “come fai a sopportare il freddo, non avendo molto grasso addosso?”. P.161

La targa commemorativa fissata su un masso un tempo sepolto sotto gli strati del ghiacciao Okjökull, Islanda.

Insomma, oltre a essere una spontanea, sincera ed emozionante lettera d’amore ai ghiacci della Terra, tanto meravigliosi quanto in estremo pericolo, il saggio di Jemma Wadham getta luce su diversi aspetti in dialogo tra loro, dalla ricerca accademica alla vita privata, dalle questioni di genere alle cause storiche e strutturali della crisi climatica globale. Un racconto avvincente corredato da un bellissimo portfolio fotografico che ritrae i più bei ghiacciai del mondo al cui destino è indissolubilmente intrecciato quello della vita sul Pianeta. Finora, diversi sono stati i funerali celebrati per dire addio ai ghiacciai in modo simbolico e d’impatto. La domanda che sorge spontanea è quanti ancora se ne celebreranno in futuro prima di comprendere che ridurre le emissioni è di vitale importanza per loro così come per noi.

Questi cambiamenti continueranno nel futuro, ma la loro portata dipenderà, molto francamente, dalla nostra preparazione individuale e collettiva a enormi cambiamenti in ogni aspetto della nostra vita, da ciò che mangiamo, a come riscaldiamo le nostre case, a quanto viaggiamo e con quali mezzi, e così via. In sostanza, ci troviamo a un bivio nel percorso che determinerà il destino dei ghiacciai. È davvero l’ultimo capitolo per loro?. P.272.   

Ph Credit: TheGuardian.com

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