Il 27 febbraio del 1991: sospensione delle operazioni belliche in Kuwait

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La guerra del Golfo segna l’apertura di un’era strategica nuova, che succede all’ordine nucleare bipolare degli anni della guerra fredda. A partire dal 1980, gli stati di Medio Oriente avevano seguito la logica terroristica della «dissuasione povera».

Nelle guerre del Libano e in quella Iran-Iraq erano stati praticati il sequestro di ostaggi, i lanci di missili sulle popolazioni civili, il ricorso alle armi chimiche. Nel frattempo, soprattutto in Pakistan e in Iraq, si tentava di costituire un potenziale nucleare autonomo, anche per far fronte alle armi atomiche e agli abituali raids di rappresaglia degli israeliani. Una situazione minacciosa, non solo per gli interessi occidentali nelle zone a grande produzione petrolifera, ma anche per l’U.R.S.S., ormai indebolita.

L’invasione irachena del Kuwait è il risultato di un grave conflitto: il Kuwait e gli Emirati Arabi, aumentando unilateralmente le vendite oltre i limiti fissati dall’O.P.E.C. (Organization of the Petroleum Exporting Countries), avevano provocato un ribasso del prezzo del greggio. Gravato da debiti ingenti, l’Iraq non era in grado di provvedere alla propria ricostruzione dopo il conflitto con l’Iran e neppure di smobilitare le truppe, destinate ad incrementare la disoccupazione a causa della recessione economica.

Con pressioni diplomatiche e militari, Saddam Hussein aveva ottenuto un rialzo dei prezzi e un prestito di 10 miliardi di dollari da Kuwait e Arabia Saudita. Ma il Kuwait reclamava una revisione delle frontiere. L’Iraq, dal canto suo, faceva affidamento sulla neutralità americana in caso di conflitto: da anni esisteva un’alleanza Iraq-Stati Uniti in funzione anti-iraniana. Ma l’invasione del Kuwait si è dimostrata anacronistica, in una congiuntura non più dominata da dallo scontro tra i due blocchi. Illusorio si rivelerà anche il tentativo iracheno di rompere l’ampia coalizione formatasi sotto l’egida dell’O.N.U. con la minaccia di una escalation del conflitto arabo-israeliano.

Nel novembre del 1990, dunque  sostenendo discutibilmente l’ormai prossima costituzione da parte dell’Iraq di un arsenale atomico, il partito della guerra ha il sopravvento negli U.S.A. su quello dell’embargo prolungato.

In realtà, decidendo nell’agosto di inviare 250 000 uomini in Arabia Saudita, il presidente Bush si era di fatto obbligato a lanciare l’offensiva prima che il necessario turn-over dei militari professionisti impiegati rendesse necessaria una riduzione del contingente oppure il ricorso alla coscrizione obbligatoria.

L’operazione «desert schield» (scudo del deserto), decisa per proteggere l’Arabia Saudita, mantenere il controllo delle riserve petrolifere e condannare l’invasione irachena, viene concepita da Bush senior come l’inizio di un «nuovo ordine mondiale», più «giudiziario» che militare. Discorso dell’11 settembre del 1990:

L’embargo contro l’Iraq, l’invio di 450 000 soldati americani, la campagna aerea prolungata («desert storm») e la successiva campagna terrestre sono l’applicazione in tempo reale di una manovra alla quale il Pentagono si preparava, fin dalla presidenza di Carter, in previsione di un attacco sovietico o iraniano. Come risultato si avranno perdite umane estremamente sproporzionate nei due campi, dell’ordine di 150 soldati americani uccisi contro 150 000 iracheni.

Gli Stati Uniti, diventati ormai i leader incontrastati del pianeta nonostante la grave crisi economica interna, tendono a trarre il massimo profitto dalla loro superiorità militare. La guerra del Golfo è stata il banco di prova di una dottrina strategica nuova, che si articola attorno a tre punti principali:

  1.  dopo la scomparsa del “nemico sovietico”, è possibile programmare il disarmo e la riduzione dei contingenti fino ad una «forza di base»; nel contempo occorre organizzare una vigilanza tecnologicamente avanzata, che consenta, in caso di nuove minacce, di lanciare una pronta reazione industriale e militare;
  2. la regionalizzazione delle responsabilità dovrà essere compiuta sotto controllo americano. Nel Medio Oriente, in particolare, la guerra ha finito per rendere necessaria una presenza militare americana permanente, il che implica una progressiva subordinazione agli Stati Uniti di Israele e Turchia;
  3. occorre perseguire un tipo nuovo di preponderanza militare: il primato degli armamenti e delle strategie di guerra aerea ha relegato la Marina ad un ruolo secondario. Il fondamento della superiorità militare assoluta è dato oggi dalla possibilità di disporre di aerei come gli F115, non intercettabili con i radar ordinari, di missili come i Tomahawk, dotati di mira ultraprecisa, e di satelliti in grado di gestire il controllo operazionale degli obiettivi di guerra.

Interessante è il documentario che fu realizzato dalla BBC a cura degli storici Peter and Dan Snow:

https://www.youtube.com/watch?v=1r3lZohzaUs

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